Cinque interessanti biografie di premi Nobel per la fisica

Alcuni dei più importanti fisici di inizio Novecento impegnati nella conferenza di Solvay

Albert Einstein, Niels Bohr, Marie Curie, Enrico Fermi e Guglielmo Marconi sono scienziati che hanno conquistato, in periodi diversi del Novecento, il premio Nobel per la fisica e di cui tutti più o meno conosciamo vita, morte e miracoli. Ma dal 1901 ad oggi di premi ne sono stati assegnati più di 200. E anche le vite degli altri studiosi che l’Accademia Reale Svedese ha deciso di encomiare sono spesso ricche di spunti e aneddoti che la maggioranza di noi ignora.

Mettendo da parte quei grandi personaggi che citavamo all’inizio (tre dei quali sono riconoscibili anche nella foto qui sopra, scattata alla quinta Conferenza di Solvay del 1927 a cui presero parte anche Schrödinger e Dirac, di cui parliamo oltre), abbiamo quindi deciso di preparare una breve biografia per cinque fisici che a nostro avviso presentano una vita interessante o curiosa.

Speriamo così di farvi conoscere e ricordare questi grandi scienziati non solo per le loro scoperte ma anche, in maniera più ampia, per la loro vita.

 

1. Erwin Schrödinger

Vincitore del premio Nobel nel 1933

Tra tutti gli esperimenti mentali della storia della scienza, quello del gatto di Schrödinger è uno dei più celebri e citati, anche se, forse, meno capiti. Usato per criticare l’interpretazione di Bohr e Heisenberg all’intreccio quantistico, portava a una conclusione paradossale, con un gatto chiuso dentro ad una scatola che poteva essere contemporaneamente vivo e morto.

Quando elaborò il celebre esperimento, nel 1935, però Schrödinger aveva già vinto il Nobel. Era stato infatti premiato nel ’33 per le funzioni d’onda con cui a partire dal 1926 aveva cominciato a rappresentare le particelle all’interno della meccanica quantistica.

Erwin Schrödinger nel 1933

La vita del viennese Schrödinger si dipanò tra il 1887 e il 1961. Figlio di un produttore di tela cerata, appassionato degli scritti di Arthur Schopenhauer, completò i suoi studi poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, alla quale partecipò come ufficiale d’artiglieria sul fronte italiano. Tra il 1920 e il 1921 ottenne la cattedra universitaria a Breslavia e si sposò con Annemarie Bertel. un matrimonio che sarebbe però stato tormentato, a causa del carattere del marito, incapace di dedicarsi a una sola donna per volta.


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Convinto che la sua creatività scientifica fosse legata al sesso, ebbe tre figlie da tre diverse amanti, spesso molto giovani. Con la prima e più fedele di queste amanti cercò di creare una famiglia allargata, vivendo quasi da bigamo assieme a lei, alla figlia e alla moglie ufficiale. Anche per questo motivo, visto che in molti paesi la sua scelta di vita non era apprezzata, cambiò spesso sede d’insegnamento. Nel 1922 era a Zurigo, nel 1927 a Berlino nella cattedra che era stata di Max Planck.

Nel 1933, quando Hitler salì al potere, si spostò in Inghilterra non accettando le politiche antisemite dei nazisti. Fu, quindi, prima a Oxford e poi negli Stati Uniti, insegnando per qualche tempo a Princeton. Lì gli venne offerta una posizione permanente, ma ancora una volta la sua “famiglia allargata” lo costrinse ad andarsene, e ritornò in Europa, a Graz.

Via dall’Austria

Quando l’Austria fu annessa alla Germania hitleriana fu tra quelli che esaltarono l’evento, forse per cercare di alleggerire la sua posizione dopo la fuga del ’33. L’iniziativa ebbe però scarso successo, visto che rimase un osservato speciale del regime. Poté lasciare l’Austria solo grazie alla nomina all’Accademia Pontificia delle Scienze, che gli permise di arrivare in Italia e da lì partire di nuovo per Oxford. Si stabilì poi per un periodo di 17 anni a Dublino, in Irlanda, l’unico altro paese oltre all’Austria, a suo dire, a permettergli di vivere come voleva.

Qui insegnò fino alla pensione ed ebbe due delle sue tre figlie di cui parlavamo prima, oltre a prendere la cittadinanza irlandese. Nel 1955 fece infine ritorno a Vienna, dove morì pochi anni dopo di tubercolosi, malattia della quale era affetto fin dagli anni ’20. Fu per tutta la vita appassionato di filosofie orientali legate all’induismo, anche se si riteneva ateo.

La biografia più interessante su Schrödinger è sicuramente quella di John Gribbin, Erwin Schrödinger. La vita, gli amori e la rivoluzione quantistica, tradotta e pubblicata a un prezzo più che accessibile proprio in queste settimane da Dedalo Edizioni. Per gli anglofoni, si trova anche A Life of Erwin Schrödinger di Walter John Moore.

 

2. Paul Dirac

Vincitore del premio Nobel nel 1933

Nell’immaginario collettivo, soprattutto recente, il genio scientifico è identificato con un tipo “alla Sheldon Cooper“: maniacale, con tratti autistici, nerd, totalmente dedito alla scienza e sessualmente inappetibile.

Ebbene, un modello reale per questo tipo di persona è stato indubbiamente l’inglese Paul Dirac, premio Nobel per la fisica nel 1933. Non a caso, Einstein disse di lui: «Ho problemi con Dirac. Procedere in equilibrio in questo vertiginoso cammino tra genio e pazzia è un’impresa terribile».

Dirac negli anni '30

Figlio di un immigrato svizzero insegnante di francese e di una bibliotecaria di Bristol, Paul nacque nel 1902, secondo dei tre figli della coppia (il primo, Felix, si sarebbe suicidato nel 1925). Fu educato in maniera molto severa dal padre, che voleva che gli si rivolgesse solo in francese.

Non riuscendo a farlo in maniera soddisfacente, il piccolo Paul decise a un certo punto di non dire più nulla, sviluppando una sorta di mutismo che diventò leggendario. Basti pensare che a Cambridge i suoi colleghi avevano inventato il dirac, un’unità di misura che indicava il numero di parole ogni sessanta minuti (1 dirac = 1 parola all’ora).


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Alle superiori frequentò il Merchant Venturers’ Technical College, dove insegnava il padre, una scuola a forte impronta tecnica. Da lì, infatti, si laureò in Ingegneria proprio a Bristol nel 1921, passando poi l’esame per entrare a Cambridge, anche se in un primo momento non poteva permettersi la retta. Passò quindi un paio d’anni a specializzarsi in matematica sempre a Bristol. Entrato finalmente a Cambridge, si laureò in fisica nel 1926 con una tesi, la prima al mondo, dedicata alla meccanica quantistica.

Una personalità fuori dal comune

Da lì in poi diventò uno dei padri della materia, formulando la Statistica di Fermi-Dirac, l’equazione Dirac, predicendo il positrone e dando importanti contributi sulle notazioni. Tutte queste innovazioni trovarono spazio nel libro I principi della meccanica quantistica che, pubblicato nel 1930, diventò subito un volume fondante della nuova disciplina.

Le storie sulla sua personalità sono numerose e divertenti. Oltre al mutismo (si attribuisce a Bohr la frase: «Questo Dirac sembra saperne un mucchio di fisica, ma non ne parla mai») e alla diceria che lo voleva autistico, in alcune biografie si racconta un aneddoto che risale al 1929. In viaggio in nave con Heisenberg verso il Giappone, dove i due dovevano tenere delle conferenze, Dirac rimase stupito di come il collega tedesco amasse circondarsi di ragazze e passare il tempo a ballare: «Perché balli?», chiese allora. «Perché è piacevole, quando ci sono ragazze piacevoli». «E come fai a saperlo prima, che sono piacevoli?».

Infine, molti anni più tardi, uno studente alzò la mano durante una sua conferenza e, ottenuta la parola, disse: «Non ho capito l’equazione in alto a destra sulla lavagna». Passarono molti secondi prima che il moderatore della conferenza trovasse il coraggio di chiedere a Dirac se voleva rispondere alla domanda del ragazzo: «Quella non era una domanda – puntualizzò il fisico –, era un commento».

Dirac fu titolare della cattedra di matematica a Cambridge dal 1932 al 1969. Si trasferì poi in Florida per star vicino alla figlia più grande, continuando a insegnare e fare ricerca all’Università di Miami e alla Florida State University. Nel frattempo, nel 1937, a sorpresa di tutti si era infatti sposato, con l’ungherese Margit Wigner, sorella del fisico Eugene Wigner, futuro premio Nobel.

Per approfondire, il libro migliore è L’uomo più strano del mondo. Vita segreta di Paul Dirac, il genio dei quanti, biografia scritta da Graham Farmelo e pubblicata in italiano da Raffaello Cortina Editore. Altrimenti esiste anche Paul Dirac: The Man and his Work, scritta in inglese a otto mani.

 

3. Percy Williams Bridgman

Vincitore del premio Nobel nel 1946

Se i primi due fisici che abbiamo presentato sono, in modo opposto, due personaggi a loro modo strani e divertenti, Bridgman fu invece un fisico integerrimo, logico e “normale”. Vinse il premio Nobel nel 1946, subito dopo la guerra, per i suoi studi sulla fisica delle alte pressioni. In particolare il premio arrivò per alcune innovazioni ai macchinari che venivano utilizzati nel settore, che prima potevano produrre pressioni di circa 3.000 kg/cm² mentre dopo di lui si poté moltiplicare di trenta volte questa quota, arrivando anche a pressioni di 100.000 kg/cm².

Nato nel 1882 a Cambridge, in Massachusetts, la città sede sia di Harvard che del MIT, era in un certo senso un predestinato. Figlio di un giornalista, entrò ad Harvard nel 1900, laureandosi velocemente in fisica, scalando le varie tappe del percorso accademico e diventando professore ordinario nel 1919. Nel 1912, nel frattempo, aveva sposato Olive Ware, figlia del fondatore dell’Università di Atlanta, in Georgia, e da lei aveva avuto due figli. Per celebrare il matrimonio della primogenita, nel 1948, sarebbe anche divenuto momentaneamente “Justice of Peace”.

Percy Williams Bridgman (a destra) col suo assistente ad Harvard.

Ateo e filosofo, scrisse varie opere di filosofia della scienza tra cui emerge La logica della fisica moderna del 1927. In essa, Bridgman proponeva la teoria dell’operazionismo, un modo di definire la fisica e le sue leggi basato quasi esclusivamente sull’empirismo e l’attività pratica che, tra l’altro, avevano contraddistinto anche tutta la sua carriera.


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Due eventi meno legati alle sue ricerche, comunque, nella sua vita colpiscono e ne fanno una figura ancora moderna. Il primo è il suo impegno per la pace. Già da ben prima della Seconda guerra mondiale rifiutò di lavorare a fianco di scienziati provenienti da nazioni totalitarie, ma il suo impegno si fece più forte nel dopoguerra.

Nel 1955, così, fu tra gli undici firmatari del manifesto Russell-Einstein per il disarmo nucleare, presentato pubblicamente a Londra in una conferenza stampa poco dopo la morte dello stesso Einstein.

La morte

Il secondo è legato alla sua morte. Sul finire degli anni ’50 gli fu diagnosticato un cancro alle ossa. Il 20 agosto 1961 si suicidò sparandosi con un fucile calibro 22 nella sua casa di Randolph, nel New Hampshire. Celebre e molto citato dai sostenitori del suicidio assistito il biglietto che lasciò, in cui scrisse: «Non è decente per la società spingere un uomo a fare questa cosa da solo. Probabilmente oggi è l’ultimo giorno in cui sarò in grado di farlo io stesso».

Mentre i libri di Bridgman vengono ancora ristampati con buon successo, mancano in Italia opere biografiche su di lui. L’unica fonte attendibile è un libro americano, per la verità di difficile reperibilità: Science and Cultural Crisis: An Intellectual Biography of Percy Williams Bridgman, di Maila L. Walter.

 

4. Luis Álvarez

Vincitore del premio Nobel nel 1968

Il fisico americano di origine spagnola Luis Álvarez ebbe un ruolo importante nella fisica mondiale, ma può essere ricordato anche come una specie di scienziato-detective. Per tutta la sua vita fu infatti attratto da vari problemi non-scientifici che riguardavano le piramidi, i dinosauri e l’omicidio Kennedy a cui cercava di dare però una risposta con gli strumenti della fisica.

Nato a San Francisco nel 1911, crebbe tra la California e il Minnesota, dove il padre, medico, si trasferì per lavoro quando lui aveva 15 anni. L’università la fece a Chicago, dove ad appena 21 anni riuscì a costruire un macchinario che gli permise di misurare l’East-West effect. Grazie alla mediazione della sorella, che lavorava come segretaria per un altro premio Nobel, Ernest Lawrence, riuscì ad entrare al Radiation Laboratory di Berkeley, dove conobbe anche Robert Oppenheimer.

Luis Alvarez

Proprio quest’esperienza lo portò pochi anni dopo, durante la Seconda guerra mondiale, a collaborare con l’esercito. A lui si deve la creazione di nuovi e più precisi radar che permisero la comparsa dei moderni controllori di volo in grado di supportare i piloti nell’atterraggio.


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Nel 1943, infine, fu coinvolto nel Progetto Manhattan, collaborando alla formazione della bomba al plutonio e partecipando, come misuratore scientifico, alle spedizioni su Hiroshima e Nagasaki. Nel dopoguerra applicò molte delle scoperte di quegli anni ai vari ambiti civili, ma va ricordato anche per i contributi extrascientifici che citavamo all’inizio. Tra il 1964 e il 1969 si dedicò allo studio delle piramidi, ideando un sistema basato sulla fisica delle particelle per individuare stanze segrete all’interno delle grandi costruzioni egiziane.

Inoltre nel 1966 studiò a lungo alcune foto ed un filmato dell’omicidio Kennedy e riuscì a dimostrare, sulla base di vari studi ottici, che l’attentatore doveva trovarsi in una posizione alle spalle dell’auto e che quindi probabilmente si trattava realmente di Lee Harvey Oswald.

Gli ultimi anni

Infine, tra il 1979 e il 1980 collaborò col figlio geologo Walter Álvarez, spiegando che l’iridio trovato in alcuni scavi effettuati a Gubbio, in Italia, dovevano provenire dallo spazio. In questo modo fu il primo ad avanzare l’idea che l’estinzione dei dinosauri sia stata dovuta a un grande meteorite.

Morto di cancro nel 1988, ha voluto che le sue ceneri fossero disperse nella baia di Monterey, vicino a San Francisco. Forse troppo vicino a noi, forse meno appariscente di certi colleghi, Luis Álvarez non ha ancora una seria biografia a lui dedicata. In commercio esiste solo un libriccino, Luis Alvarez: Wild Idea Man, che in realtà è una biografia didattica per ragazzi.

 

5. Pëtr Kapica

Vincitore del premio Nobel nel 1978

Dopo tanti studiosi anglofoni o che finirono per lavorare negli Stati Uniti, concludiamo con uno che fu sì anglofono, ma al mondo occidentale dovette rinunciare. Stiamo parlando di Pëtr Leonidovič Kapica, premio Nobel nel 1978 per i suoi studi sulla superfluidità e nella fisica delle basse temperature.

Nato nel 1894 a Kronštadt, città-fortezza alle porte di San Pietroburgo, da un ufficiale dell’esercito zarista, compì gli studi nell’allora Pietrogrado, laureandosi al Politecnico nel 1918, nonostante avesse servito durante la guerra come autista di ambulanze.

Kapica durante una visita in India

Nel 1922 però il padre fu ucciso dai bolscevichi e lui scappò all’estero, trovando rifugio in Inghilterra, dove entrò nello staff del laboratorio Cavendish diretto a Cambridge da Ernest Rutherford. Qui studiò i campi magnetici e fece le sue prime importanti scoperte sull’elio liquido. Nel frattempo il suo nome si faceva strada nell’ambiente e dall’Unione Sovietica in molti cercavano di convincerlo a rientrare in patria.

Ci riuscirono nel 1934 grazie alla mediazione di Maksim Gor’kij, scrittore molto vicino a Stalin, che gli assicurò che avrebbe potuto tornare in Inghilterra quando voleva. La promessa non fu mantenuta e Kapica non poté lasciare l’Unione Sovietica per molti anni, avendo anche di tanto in tanto aspri contrasti con lo stesso Stalin. Il dittatore, comunque, gli aveva fatto ricostruire a Mosca il suo laboratorio inglese e aveva autorizzato la costruzione dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca.

Gli attriti con Stalin

Il momento di maggior attrito col dittatore arrivò nel 1946, quando Kapica si rifiutò di continuare la ricerca a scopo bellico, che in quel momento iniziava ad orientarsi contro i paesi occidentali. Per questo motivo passò anche un certo periodo agli arresti domiciliari. Dopo la morte di Stalin fu riabilitato e partecipò attivamente al progetto Sputnik, ma rimase fino alla sua morte l’unico membro dell’Accademia Sovietica delle Scienze a non essere iscritto al Partito Comunista.

Inutile che cerchiate informazioni più approfondite altrove. Di Kapica, e della sua importante e spesso silenziosa battaglia contro il totalitarismo sovietico, non c’è traccia per ora nei cataloghi delle librerie.

 

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