
Il calcio è uno sport ciclico. Ci sono dei periodi in cui – o per la disponibilità economica, o per particolari congiunture – si riesce a costruire una squadra molto solida, e a concorrere per i principali trofei internazionali, ed altri in cui le cose non sembrano mai andare per il verso giusto.
Il Milan, oggi, si trova probabilmente a metà del guado. Esaurito un ciclo che si era rivelato particolarmente vincente negli anni Duemila, è incappato negli ultimi tempi in una serie di annate tutto sommato dignitose, ma deludenti per i tifosi, abituati da tempo a vedere la loro squadra lottare per le posizioni di vertice. I motivi del parziale declino sono vari: la minor disponibilità economica, qualche scelta di mercato non azzeccata, anche una certa dose di sfortuna.
Una storia gloriosa
I tifosi si possono però in parte consolare con la storia del club. Una storia che insegna che i periodi bui si alternano sempre a quelli di grandi vittorie, e che la squadra ha un blasone che le permetterà presto di tornare grande. Una storia che può anche essere guardata, però, con occhio nostalgico, ricordando i trionfi del passato.
Ma quali sono stati quelli più memorabili? Quali le coppe vinte dal Milan il cui ricordo merita di sopravvivere alla polvere del tempo? Effettuare una scelta non è facile, perché ogni vittoria porta con sé un certo carico di entusiasmo e soddisfazione. Abbiamo però provato a isolare una cinquina: eccola.
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Indice
Coppa dei Campioni 1962/63
Il primo trionfo continentale, contro il Benfica di Eusebio

Partiamo dagli inizi. Dall’epoca d’oro degli anni ’60, dal Milan di Nereo Rocco, di Giovanni Trapattoni, di Cesare Maldini, di un giovanissimo Gianni Rivera. L’ossatura della squadra si era formata negli anni ’50, quando il Milan aveva cominciato realmente ad essere una realtà importante del calcio italiano.
Il trio svedese che formava il Gre-No-Li aveva gradualmente ceduto il posto a Maldini, a Gigi Radice, a José Altafini, a Gianni Rivera. In campo europeo nel 1958 era arrivata una finale di Coppa di Campioni, persa però col grande Real Madrid.
L’inizio dell’era Rocco
Nel 1962 era arrivato l’ottavo titolo nazionale, il primo con Rocco in panchina, appena giunto dal Padova. Dopo un inizio di stagione incerto, nel girone di ritorno la squadra aveva infilato 15 vittorie su 17 partite e conquistato il titolo davanti all’Inter di Helenio Herrera. Anche il cammino in Coppa Campioni, l’anno dopo, iniziò agevolmente, superando l’Union Lussemburgo con 14 reti fatte e 0 subite nel doppio incontro.
Il primo grosso ostacolo arrivò negli ottavi di finale, dove i rossoneri incontrarono i campioni d’Inghilterra dell’Ipswich Town. Di per sé, la squadra britannica era abbordabile: si era aggiudicata lo scudetto da neopromossa, e la sua sorpresa era destinata a non durare a lungo (retrocesse appena due anni dopo il titolo).
[wpzon keywords=”nereo rocco” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”3″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]Il suo punto di forza era però l’allenatore, il mitico Alf Ramsey, che poco dopo l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni avrebbe lasciato la squadra per mettersi ad allenare la Nazionale inglese. Nazionale che nel 1966 avrebbe condotto alla vittoria della Coppa del Mondo.
Ai quarti il Milan superò tranquillamente il Galatasaray, mentre in semifinale si sbarazzò senza troppi problemi degli scozzesi del Dundee. Il rivale più difficile arrivò quindi in finale. La squadra di Rocco si trovò di fronte il Benfica di Eusebio.
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La squadra portoghese aveva vinto le due edizioni precedenti della massima competizione europea, superando il Barcellona di Sándor Kocsis, László Kubala e Luis Suárez e il Real Madrid di Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskás e Francisco Gento.
Insomma, il Milan non era per nulla favorito e infatti andò in svantaggio già al 19′, subendo un bel diagonale di Eusebio. La squadra rossonera però non si abbatté e continuò ad attaccare, forte di un José Altafini particolarmente ispirato. Proprio l’attaccante brasiliano riuscì nel secondo tempo a siglare una doppietta, che lo confermò capocannoniere del torneo e che permise alla squadra di sollevare il suo primo trofeo internazionale
Coppa dei Campioni 1968/69
Quando il Milan superò il Manchester United di Best e l’Ajax di Cruijff

È targata Nereo Rocco anche il secondo successo in Coppa Campioni del Milan, quello fatto registrare nel 1969. La squadra era relativamente cambiata. Lo stesso Rocco era andato per qualche anno al Torino prima di rientrare in rossonero nel 1967. Il suo ritorno era stato immediatamente fruttuoso: nel primo campionato del Rocco-bis la compagine milanese si aggiudicò lo scudetto (cinque anni dopo il precedente) e la Coppa delle Coppe, superando in finale l’Amburgo.
Accanto ai veterani Trapattoni, Lodetti e Rivera (che comunque aveva ancora solo 25 anni), Rocco aveva introdotto il portiere Fabio Cudicini, l’esperto Kurt Hamrin e il giovanissimo Pierino Prati. La formula funzionò. La Coppa Campioni partì menomata, a causa del ritiro di un gruppo di squadre dell’est in seguito ai fatti della Primavera di Praga. Ai sedicesimi, il Milan superò gli svedesi del Malmö, perdendo l’andata ma recuperando ampiamente nella partita di ritorno.
[wpzon keywords=”george best” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”3″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]Gli ottavi i rossoneri non li disputarono, perché la competizione “a ranghi ridotti” portò due compagini alla promozione automatica per sorteggio. Molto difficili, però, furono le due partite successive. Ai quarti i rossoneri regolarono di misura il Celtic di Glasgow che solo un paio d’anni prima aveva vinto la Coppa; dopo lo 0-0 in casa, i ragazzi di Rocco riuscirono infatti a segnare un gol al Celtic Park. In semifinale, poi, arrivò uno dei più forti Manchester United di sempre, detentore della Coppa dei Campioni.
La squadra di George Best, Denis Law e Bobby Charlton (e allenata da Matt Busby) perse 2-0 a Milano, ma vinse 1-0 all’Old Trafford, facendo sudare i rossoneri. In ogni caso furono questi ultimi a qualificarsi per la finalissima di Madrid, dove incontrano un’altra squadra molto giovane: l’Ajax di Johan Cruijff. La squadra olandese non era mai andata nella sua storia oltre i quarti di finale della competizione europea, ma nel giro di due anni sarebbe stata pronta per aggiudicarsi per tre volte consecutive la Coppa dalle grandi orecchie.
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La partita fu dominata dalla difesa del Milan, che riuscì ad arginare tutte le folate del giovane asso olandese e a far ripartire rapidamente il proprio attacco, grazie anche alle giocate di Rivera. Pierino Prati siglò addirittura una tripletta, mentre un altro gol venne firmato da Angelo Sormani. Il risultato finale di 4-1 riportò i rossoneri sul tetto d’Europa per l’ultima volta prima di un digiuno ventennale.
Coppa dei Campioni 1988/89
L’impresa di Sacchi contro il Real Madrid e la Steaua Bucarest

La seconda parte degli anni ’70 e la prima degli anni ’80 furono un periodo piuttosto buio per i tifosi milanisti. I tentativi di risollevare le sorti della squadra fallirono uno dopo l’altro, mentre le vecchie bandiere si avviavano verso il ritiro e non venivano sostituiti da degni eredi (Franco Baresi a parte). Certo, ci fu lo scudetto della stella, nel 1979, ma già l’anno dopo una delibera del CAF relativa allo scandalo calcioscommesse portò la compagine rossonera in serie B.
La situazione migliorò con l’arrivo di Silvio Berlusconi, che immise nuovi capitali nella società. In panchina arrivò, dal Parma, Arrigo Sacchi, portatore di idee tecniche per l’epoca innovative. Il mercato, invece, fece giungere a Milano due olandesi destinati a scrivere la storia del calcio europeo come Marco van Basten e Ruud Gullit, oltre alla futura bandiera Carlo Ancelotti. Nel 1988 era così arrivato lo scudetto dopo una straordinaria rimonta sul Napoli di Diego Armando Maradona, e la squadra si era qualificata per la successiva Coppa dei Campioni.
[wpzon keywords=”arrigo sacchi” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”3″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]Nell’estate 1988 arrivò anche il terzo olandese, Frank Rijkaard, che rafforzò un centrocampo già stellare. In Europa i rossoneri esordirono regolando senza problemi il Vitosha Sofia, mentre fecero molta fatica agli ottavi contro la Stella Rossa di Belgrado. In quella squadra, non a caso, giocavano futuri campioni come Dragan Stojković, Dejan Savićević e Robert Prosinečki. In casa il Milan non andò oltre l’1-1, e a Belgrado andò sotto 1-0; fortunatamente la gara fu interrotta per nebbia e si dovette rigiocare il giorno dopo dall’inizio. Quella seconda partita finì di nuovo 1-1 e il Milan riuscì a passare solo ai rigori.
L’epica semifinale
Nei quarti di finale fu regolato il Werder Brema, non senza fatica, e si arrivò così alla semifinale col Real. Gli spagnoli si avviavano a vincere il quarto titolo consecutivo in patria e avevano conquistato, negli anni precedenti, due Coppe UEFA consecutive. Allenati da Leo Beenhakker, avevano in squadra campioni del calibro di Chendo, Michel, Bernd Schuster, Emilio Butragueño e Hugo Sánchez. Il Milan però fece l’impresa: al Bernabeu, davanti a 100mila spettatori, dominò in lungo e in largo l’incontro, anche se non riuscì a strappare più dell’1-1. Al ritorno a Milano invece si impose per 5-0, umiliando i campioni di Spagna e mandando in rete cinque marcatori diversi.
La finale, giocata al Camp Nou di Barcellona, fu una passeggiata, nonostante di fronte ci fosse la Steaua di Dan Petrescu, di Marius Lăcătuș e di Gheorghe Hagi. I rossoneri – per l’occasione in tenuta bianca – si imposero per 4-0 con doppietta di Gullit e di van Basten, i due assi olandesi dell’attacco. Il lungo digiuno era terminato.
Champions League 1993/94
L’epica finale col Barcellona di Guardiola, Stoičkov e Romário

Il periodo compreso tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 fu straordinario per il Milan. Quando la squadra non si imponeva in Europa lo faceva in Italia, e i nuovi campioni prendevano rapidamente il posto di quelli vecchi, senza soluzione di continuità. Sacchi lasciò nel 1991, dopo aver messo in bacheca 1 scudetto, 1 Supercoppa italiana, 2 Coppe dei Campioni, 2 Supercoppe UEFA e 2 Coppe Intercontinentali. A lui seguì Fabio Capello.
Il nuovo allenatore sembrò all’inizio riequilibrare Sacchi. Se quest’ultimo, infatti, aveva fatto benissimo a livello internazionale mentre in patria aveva raccolto meno del previsto, Capello cominciò vincendo subito tre scudetti consecutivi. In Europa, dopo la squalifica nel 1991/92, riuscì a qualificarsi nel 1993 per la finale della prima edizione della Champions League, perdendola però col Marsiglia di Fabien Barthez, Marcel Desailly, Didier Deschamps e Alen Bokšić.
[wpzon keywords=”milan -kundera” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”3″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]L’anno dopo però la squadra poté rifarsi. Nei sedicesimi di Champions superò, con qualche difficoltà di troppo, gli svizzeri dell’Aarau, mentre agli ottavi fu regolato il Copenaghen. I rossoneri accedettero quindi alla fase a gironi, dove dovettero confrontarsi con l’Anderlecht, col Porto e col Werder Brema.
Il Milan vinse il proprio girone con due vittorie e quattro pareggi e arrivò quindi alla semifinale (a turno unico), in cui si sbarazzò facilmente del Monaco di Emmanuel Petit, Youri Djorkaeff e dei veterani Enzo Scifo e Jürgen Klinsmann.
Il periodo d’oro del Barça
In finale, il 18 maggio ad Atene, la squadra di Capello avrebbe dunque trovato il Barcellona. I blaugrana erano in uno straordinario momento della loro storia. Da sette stagioni consecutive vincevano almeno un titolo, e dal 1990 avevano messo in bacheca tre volte la Liga.
D’altro canto, solo due anni prima avevano conquistato la loro prima Coppa dei Campioni, superando in finale la Sampdoria di Vialli e Mancini. Nella formazione allenata da Johan Cruijff figuravano Ronald Koeman, Pep Guardiola, Hristo Stoičkov, Romário e altri.
Il Milan aveva mantenuto la difesa delle stagioni precedenti (con Tassotti, Maldini, Costacurta, Filippo Galli e Baresi, assente però quest’ultimo nella finale), ma aveva rinnovato il centrocampo e l’attacco, con l’introduzione di Albertini, Desailly, Boban e Savićević. La finale fu dominata dai rossoneri. Già nel primo tempo Massaro riuscì a segnare due reti, mettendo al sicuro il risultato. Nella ripresa poi Savićević (con un gol memorabile) e Desailly resero più rotondo un risultato tra i più netti in una finale di Champions.
Champions League 2002/03
La sfida tutta italiana con Inter e Juventus

Due sono stati i grandi successi continentali degli anni Duemila: quello del 2003 e quello del 2007. Se quest’ultimo aveva il sapore della vendetta, visto che fu ottenuto prendendosi la rivincita col Liverpool di Benítez, il primo è rimasto però forse più forte nella memoria dei tifosi rossoneri. Perché una cosa è battere, finalmente, una squadra straniera che ti aveva scippato un titolo, ma un’altra cosa è imporsi su due rivali del proprio paese, con cui si vivono intensi derby (uno addirittura letterale).
In campionato, negli anni precedenti al 2003, la situazione non era stata delle più rosee. L’ultimo titolo risaliva al 1999, con Zaccheroni in panchina. Poi erano arrivati un 3°, un 4° ed un 6° posto. Nel 2001 si era tentata pure la carta Fatih Terim, con esiti insoddisfacenti, e in corsa gli era subentrato Carlo Ancelotti. Un allenatore destinato a rimanere sulla quella panchina per 7 stagioni e mezzo e a portare nuovi trofei in bacheca.
[wpzon keywords=”milan” sindex=”Apparel” sort=”relevancerank” listing=”3″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]Il primo arrivò subito nel 2003. L’avventura in Champions dovette cominciare dal turno preliminare, in cui il Milan si confrontò con lo Slovan Liberec, squadra ceca che riuscì a superare solo grazie ai gol fuori casa. Nella fase a gironi finì accoppiato con Deportivo La Coruña, Lens e Bayern Monaco, riuscendo ad agguantare il primo posto grazie alla miglior differenza reti nei confronti degli spagnoli.
Anche la seconda fase prevedeva i gironi e di nuovo il Milan risultò primo, superando il Real Madrid di Zinédine Zidane, Raúl, Ronaldo e Luís Figo, detentore della Coppa, ma anche la Lokomotiv Mosca e il Borussia Dortmund.
I quarti e la semifinale
Ai quarti arrivarono così tre spagnole e tre italiane. Mentre la Juventus superava ai supplementari il Barcellona e l’Inter si imponeva sul Valencia, il Milan se la giocò con l’Ajax dei giovani Cristian Chivu, Rafa van der Vaart, Wesley Sneijder e Zlatan Ibrahimović, riuscendo a segnare il gol decisivo nel recupero della partita di ritorno, grazie a Jon Dahl Tomasson.
La semifinale si trasformò quindi nel più classico dei derby di Milano, contro l’Inter. All’andata, in casa del Milan, finì 0-0. Nella gara di ritorno Shevchenko siglò il vantaggio rossonero nel recupero del primo tempo, gol che fu poi pareggiato da Oba Oba Martins.
Grazie alla rete fuori casa il Milan poté così accedere alla finale, dove se la dovette vedere con la Juventus di Marcello Lippi, Gianluigi Buffon, Alessandro Del Piero e David Trezeguet. Pavel Nedved, forse il più in forma tra i bianconeri, non poté invece giocare la partita perché squalificato.
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Il Milan opponeva una formazione tra le migliori di sempre. In porta, un Dida al massimo della forma. In difesa, Nesta, Costacurta e Maldini. A centrocampo il lavoro di Gattuso controbilanciato dalla fantasia di Rui Costa, Seedorf e Pirlo. In attacco, l’ex Inzaghi e Shevchenko. La partita, molto combattuta, finì sullo 0-0 anche dopo i supplementari.
Si dovettero tirare i rigori. Per il Milan, sbagliarono al secondo e al terzo tiro sia Seedorf che Kaladze, ma la Juventus riuscì a fare di peggio, con gli errori di Trezeguet, Zalayeta e Montero. La Coppa era ancora rossonera.