Cinque maestosi quadri impressionisti

Caillebotte - Strada di Parigi, giorno di pioggia

L’impressionismo è stato sicuramente il movimento artistico più importante della seconda metà dell’Ottocento, capace di rivoluzionare, in Francia come nel resto d’Europa, gli stilemi tradizionali e di aprire la strada alle numerose avanguardie che si sarebbero imposte nel secolo successivo.

Gli elementi fondamentali del movimento sono noti: tentativo di catturare l’impressione che la luce dava scendendo sulle cose, la pittura en plein air favorita anche dall’invenzione del cavalletto portatile e dei colori ad olio in tubetto, l’uso di pennellate veloci e di colori forti.

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In cerca della luce migliore

Certo fu però anche un movimento composito, dove trovavano spazio i paesaggi di Monet e gli interni dei bar di Manet, le strade di Parigi ma anche scene di vita borghese; dove, a partire da un ideale teorico e da una tecnica simile, ognuno cercava la propria strada. Qualche mese fa ci siamo concentrati sugli esiti più minuti – per dimensione delle tele – di questa corrente; oggi, per fare il paio con quell’articolo, vorremmo invece presentarvi i quadri più maestosi, cioè quelli più grandi, che almeno in una delle due dimensioni superassero i due metri di misura. Ecco i cinque che ci sembrano più belli e rappresentativi.

 

Manet – Colazione sull’erba

1862-1863, conservato al Musée d’Orsay di Parigi

Colazione sull'erba di ManetTradizionalmente, la data d’inizio dell’Impressionismo è fissata attorno al 1874, quando, nello studio del fotografo Nadar, si tenne la prima mostra degli artisti indipendenti. In verità, però, il movimento era già nato da almeno una decina d’anni e aveva già cominciato ad esporre, provocando perlopiù grande scandalo.

Nel 1863, infatti, l’Accademia di Belle Arti di Parigi, responsabile dell’organizzazione del Salon, la biennale d’arte che si teneva da due secoli nella capitale, escluse una gran messe di opere dall’esibizione, provocando le proteste di molti artisti; davanti a questo scontro – che avrebbe portato anche alla chiusura definitiva del Salon – cercò di intervenire l’imperatore Napoleone III, organizzando il Salon des Refusés (salone dei rifiutati), una mostra parallela dedicata a tutti quegli artisti che non avevano trovato spazio nell’esposizione ufficiale. Tra questi figuravano i primi grandi impressionisti: Claude Monet, Camille Pissarro e soprattutto Edouard Manet, che era la vera pietra dello scandalo.

Un quadro scandaloso

Era stato infatti un suo dipinto, Colazione sull’erba, a ricevere il rifiuto più sdegnato dell’Accademia, ma anche a dominare la scena critica dell’epoca: la sua composizione era infatti scandalosa da diversi punti di vista, sia perché presentava una ragazza nuda seduta assieme a ragazzotti borghesi, sia perché non rispettava minimamente i canoni prospettici, lo studio classico delle ombre, le regole della composizione della scena.

Nonostante venisse sbeffeggiato dai critici e perfino dai parigini che si recavano alla mostra, il quadro di Manet – assieme ad un’altra sua scandalosa creazione, l’Olympia – è rimasto negli annali come forse il primo dipinto che portava in scena una mentalità nuova, antiaccademica e aperta. È conservato al Museo d’Orsay di Parigi e misura 208 x 264 centimetri.

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Pissarro – L’Hermitage a Pontoise

1867, conservato al Guggenheim Museum di New York

Camille Pissarro - L'Hermitage a PontoiseHermitage, che in francese significa “eremo”, è il nome con cui era noto, attorno alla metà dell’Ottocento, un piccolo insieme di case a Pontoise, una cittadina francese poco a nord di Parigi, che oggi probabilmente sarebbe dimenticata se non fosse per Camille Pissarro, uno dei padri dell’Impressionismo francese, che lì risiedette tra il 1866 e il 1883.

Pissarro era nato nel 1830 nelle Isole Vergini allora dominate dai danesi, figlio di padre francese (ma di origini ebraico-portoghesi) e di madre creola; scappato prima in Venezuela e poi in Francia, cominciò a frequentare l’École des Beaux-Arts di Parigi, conoscendo, sul finire degli anni Cinquanta, Claude Monet, e poi anche Paul Cézanne e Jean-Baptiste Guillaumin. Fu tra i fondatori del gruppo degli impressionisti e, per il suo buon carattere, è anche considerato il pittore che più di tutti riuscì a tenere uniti degli spiriti tanto diversi e autonomi. Tra l’altro, fu uno dei pochi a rendersi conto del talento di Vincent van Gogh.

I canoni del paesaggio impressionista

Il quadro, conservato oggi al Guggenheim di New York, misura 151 x 200 centimetri ed è uno dei più grandi della produzione del pittore; l’aspetto forse più importante, però, è che fu uno dei primi quadri impressionisti, che aiutò quindi a definire l’estetica del paesaggio della nuova corrente: infatti vengono messi da parte gli elementi storici e banalmente naturalistici, per puntare tutto sull’uso di pennellate espressive e sugli effetti della luce e dell’ombra.

Importante, infine, è anche la scelta delle poche persone rappresentate: si tratta di soggetti presi dalle classi più popolari, una scelta che all’epoca poteva venir giudicata volgare, ma che si sposa con l’approccio semplice e non sentimentale all’esistenza di Pissarro; un approccio che sfidava la pittura accademica, ormai sempre più staccata dalla realtà, e cercava di rappresentare il mondo nella sua verità momentanea.

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Bazille – Paesaggio sulla riva di Lez

1870, conservato al Minneapolis Institute of Arts

Frédéric Bazille - Paesaggio sulla riva di LezPer quanto l’imporsi della nuova arte impressionista fosse una questione difficile e combattuta, quasi tutti gli esponenti di questa corrente invecchiarono incontrando sempre maggiori onori. Ad alcuni, però, non andò così bene: Jean-Frédéric Bazille, uno dei fondatori del movimento, infatti morì troppo presto per poter godere del successo che avrebbe meritato.

Nato a Montpellier nel 1841, Bazille era arrivato a Parigi per studiare medicina, abbandonando però quasi subito gli studi per frequentare una scuola di pittura. Nel giro di pochi mesi divenne amico di Monet, Renoir (che ospitò anche per qualche tempo) e Sisley e iniziò ad esporre con loro i quadri che realizzava nella villa di campagna di famiglia. Proprio quando, però, il suo stile cominciava a maturare e a staccarsi definitivamente dalle regole della pittura classica, scoppiò la Guerra franco-prussiana: Bazille decise di arruolarsi volontario e trovò la morte nella sua prima battaglia, a ventinove anni non ancora compiuti.

En plein air

Proprio in quello stesso 1870 che gli fu fatale, l’artista aveva realizzato quello che è forse il suo capolavoro, il Paesaggio sulla riva di Lez, dipinto ai sobborghi di Montpellier durante una visita alla famiglia. Oggi conservato all’Istituto delle Arti di Minneapolis, negli Stati Uniti, e alto 138 centimetri per 201 di larghezza, il dipinto è un classico paesaggio impressionista en plein air, in cui domina un verde chiaro dato dal pieno sole che scendeva sulla pianura.

La forte verticalità del quadro, data da questi alberi alti e protesi, non era nuova nella pittura di Bazille: già alcuni suoi ritratti di interni, oltre che ovviamente quelli ambientati all’aperto, avevano esplorato scene maestose in cui lo spazio veniva scandito da elementi verticali, a tratti più frequenti e a tratti più radi, come a dare un certo ritmo alla scena; qui lo schema ritorna, anche se la divisione della tela è sottolineata anche dalle nuvole, che riempiono la zona lasciata libera dagli alberi.

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Caillebotte – Strada di Parigi, giorno di pioggia

1877, conservato all’Art Institute di Chicago

Caillebotte - Strada di Parigi, giorno di pioggiaLa vita di Bazille, seppur breve, fu importante all’interno del movimento non solo per il contributo artistico che l’artista di Montpellier seppe portare, ma anche per le possibilità economiche del giovane pittore, che ospitò e supportò alcuni dei più talentuosi – e spiantati – impressionisti dell’epoca. Un destino simile toccò pure a Gustave Caillebotte, assai ricco di famiglia e per questo benefattore dei vari Renoir, Degas e Monet, che nei primi tempi faticavano ad imporsi.

Nato a Parigi nel 1848, era ancora molto giovane quando, terminati gli studi di diritto, si avvicinò alla pittura, per la verità non direttamente a Parigi ma addirittura a Napoli, dove si era recato col padre e dove aveva conosciuto il nostro Giuseppe De Nittis. Una volta ritornato in patria si iscrisse alla Scuola di Belle Arti e in breve entrò nell’ormai consolidato circolo degli impressionisti, cercando anche di tenerlo insieme quando, sul finire degli anni Settanta, cominciarono a spuntare invidie e antipatie.

I capolavori del mecenate

In quegli anni arrivarono anche i suoi capolavori: Les raboteurs de parquets, del 1875, giocava abilmente sul riflesso della luce su un pavimento di legno, mentre Strada di Parigi, giorno di pioggia, realizzato due anni più tardi in imponenti dimensioni (212 x 276 centimetri), si dedicava a un esterno borghese in cui i giochi della luce venivano esaltati dal fondo stradale bagnato per la pioggia.

In questo quadro vari sono i motivi di interesse: da un lato, si mostra la nuova Parigi disegnata dal celebre urbanista Barone Haussmann che, su incarico di Napoleone III, aveva demolito l’intricata rete di vicoli medievali e edificato una serie di ampi viali; dall’altro, si mostra la ricca borghesia della capitale che Caillebotte conosceva molto bene, essendone anch’egli un esponente. Questo gusto per i grandi viali e per le abitudini dei parigini era, d’altronde, comune tra gli impressionisti: lo stesso Caillebotte dipinse svariate opere con un’inquadratura che scendeva direttamente dal terrazzo di casa sua, ma anche Pissarro eseguì numerose vedute di Boulevard Montmarte in diversi periodi del giorno e dell’anno e perfino Monet si cimentò nel genere con il suo La calle Montorgueil en París.

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Monet – Le ninfee

1920-1926, conservato al Museo dell’Orangerie di Parigi

Claude Monet - Le ninfeeConcludiamo proprio con Claude Monet, quello che fu probabilmente il vero capofila degli impressionisti, sia perché fu l’artista che in un certo senso diede il nome al movimento, sia perché nella sua pittura si trovarono per molti decenni, con costanza, tutti gli elementi della poetica impressionista.

Com’è noto, dopo le fatiche giovanili, nei primi anni Ottanta dell’Ottocento Claude Monet abbandonò la capitale francese per trasferirsi in campagna, di sicuro più lontano dalla polemica artistica ma anche maggiormente a contatto con la natura che voleva sempre più intensamente rappresentare; comprò una tenuta a Giverny e cominciò a realizzarvi un grande giardino giapponese, con tanto di ponte e stagno di ninfee.

Una tela di 6 metri

Per tutta l’ultima parte della sua vita il pittore francese scelse quasi ossessivamente come soggetto proprio queste ninfee, che rappresentò in almeno 250 dipinti, a volte anche di grandi dimensioni; quello che abbiamo scelto è il gigantesco Le ninfee (2,19 metri di altezza per ben 6,02 di larghezza), realizzato tra il 1920 e il 1926, anno di morte dell’artista, e oggi ospitato al Museo dell’Orangerie.

Qui lo studio della luce e dell’impressione che essa può dare allo spettatore arrivano, dopo tanta ricerca, a compimento: lo sguardo dell’osservatore è ormai ravvicinato, anzi concentrato solo sull’acqua e sulle ninfee, tanto che tutti gli elementi di contorno che comparivano nei primi quadri della serie sono esclusi dalla tela; ed è ancora più emblematico che Monet abbia realizzato questo lavoro nonostante fosse vittima di una cataratta che ne inficiava le possibilità visive.

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