Cinque memorabili citazioni del Mahatma Gandhi in italiano e inglese

Cinque memorabili citazioni di Gandhi

I grandi personaggi lasciano spesso grandi parole. Ma i personaggi ancora più grandi lasciano a volte una serie di citazioni sbagliate. Gandhi – o, al secolo, Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma – è ad esempio uno di quei personaggi che durante la loro vita scrivono e parlano moltissimo, spesso in maniera così emblematica da far entrare le loro parole nella storia, ma per ogni bella frase che effettivamente pronunciano sembrano essercene almeno due mai dette.

«Sii il cambiamento che speri di vedere nel mondo», ad esempio, è una delle citazioni che si trovano più spesso attribuite al grande politico indiano, ma non c’è prova che Gandhi l’abbia mai veramente pronunciata o scritta; e così è anche per «Prima ti ignorano, poi ridono di te, poi ti combattono, poi vinci», spesso riportata e ricondivisa all’infinito sui social network, o per «L’occhio per occhio renderà cieco il mondo intero» che almeno, in quest’ultimo caso, pare sia stata scritta da un suo biografo già negli anni Cinquanta come personale commento all’etica gandhiana.

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Anche per questo, abbiamo deciso di preparare un articolo sulle più memorabili frasi del padre dell’indipendenza indiana facendo bene attenzione a non correre rischi dal punto di vista della correttezza dell’attribuzione, rifacendoci direttamente all’originale inglese, che vi riportiamo assieme alla nostra traduzione. Cominciamo.

 

La vittoria raggiunta con la violenza…

La presa di coscienza

Gandhi da giovaneLa vita di Gandhi, come vedremo con la frase che abbiamo scelto per concludere la nostra lista, fu un continuo percorso di presa di coscienza di sé, della situazione politica indiana e delle migliori strategie per risolvere i problemi del popolo. Abbiamo scelto, infatti, di presentare le cinque citazioni in ordine cronologico perché – nonostante tutte derivino dalla fase ormai matura dell’esperienza di vita di Gandhi – ci sembra possano sottolineare questo percorso, questo cammino verso la nonviolenza.

La vittoria raggiunta con la violenza è equivalente a una sconfitta, perché è momentanea

Dopo un’educazione tutto sommato tradizionale tra l’India e la Gran Bretagna, infatti, il primo “risveglio”, se così possiamo chiamarlo, della coscienza politica di Gandhi avvenne in Sudafrica, dove si recò e visse per qualche tempo a causa di un incarico come avvocato. Nel paese, dove già allora vigeva un rigido e durissimo sistema di apartheid, viveva infatti una cospicua comunità indiana, importata dagli inglesi per svolgere determinati lavori ma privata spesso dei propri diritti. Qui il futuro leader capì per la prima volta che bisognava trovare una nuova strada per mettere alle strette le classi dominanti, una strada che non sfruttasse semplicemente la lotta legale a cui era stato abituato fino ad allora.

Victory attained by violence is tantamount to a defeat, for it is momentary


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Nacque quindi l’idea – sviluppata anche tramite la lettura di Henry David Thoreau e Lev Tolstoj – della disubbidienza civile e della lotta nonviolenta per ottenere il riconoscimento da parte del governo legittimo e la cessazione della repressione. Una lotta nonviolenta che per essere efficace, ovviamente, non poteva ammettere deroghe e che rifiutava tutti i propositi bellicosi che pure venivano portati avanti all’interno sia dell’India, sia dello stesso partito di Gandhi; non erano pochi, infatti, gli indiani che pensavano che l’unica strada verso l’indipendenza passasse attraverso il terrorismo o l’appoggio alle potenze nemiche della Gran Bretagna durante le varie guerre (e non è un caso che questa frase sia del 1919, appena terminata proprio la Prima guerra mondiale).

 

I sette peccati sociali

L’attività di giornalista

Cinque memorabili citazioni di GandhiIl mezzo principale attraverso cui Gandhi riuscì a veicolare le sue idee furono indubbiamente le manifestazioni e gli scioperi di massa, ma per velocità e diffusione niente riusciva ad essere efficace come i giornali e gli articoli. L’India era – allora come oggi – un paese immenso e diversissimo, che lo stesso Gandhi aveva imparato a conoscere completamente solo nel 1915 quando, rimpatriato definitivamente dal Sudafrica, accettò di passare un anno lontano dalla politica attiva per dedicarsi a conoscere i 700mila villaggi che costituivano il tessuto del suo grande paese.

Sette peccati sociali: politica senza principi, benessere senza lavoro, piacere senza coscienza, conoscenza senza carattere, commercio senza moralità, scienza senza umanità e adorazione senza sacrificio


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Quell’esperienza gli consentì di acquisire un’immagine più completa della realtà in cui era cresciuto e che ora voleva guidare verso la libertà, ma anche di saggiare i mali della sua cultura e del suo tempo, di cui in parte egli stesso era già stato vittima in gioventù. La pratica dei matrimoni infantili – lui stesso fu fatto sposare a 13 anni – e il sistema delle caste, a cui si ribellò andando a studiare a Londra, gli sembravano ad esempio privi di senso, ma erano soprattutto alcune tendenze della civiltà moderna a preoccuparlo.

Seven social sins: politics without principles, wealth without work, pleasure without conscience, knowledge without character, commerce without morality, science without humanity, and worship without sacrifice

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La frase che abbiamo citato è presa proprio da un articolo che scrisse nel 1925 e ne costituisce l’elenco finale. In esso, sperando di raggiungere tutti i suoi compatrioti tramite la carta stampata (che era all’epoca il più economico ed efficace mezzo per propagare rapidamente le idee), elencava quindi i sette, nuovi “peccati sociali”: non la politica, né il benessere, né il piacere, né la conoscenza, né il commercio, né la scienza, né l’adorazione religiosa, ma tutte queste pratiche slegate dalla moralità. Niente era sbagliato, se fatto con un intento morale, così come tutto era sbagliato se privato di questo afflato.

 

Il perdono è l’attributo del forte

La visita in Europa

Bhagat SinghCol passare degli anni l’influenza di Gandhi sul mondo non solo indiano si faceva sempre più forte. I primi anni Trenta furono anzi il periodo forse di sua massima popolarità e attivismo a livello internazionale, anche grazie alla fase di pace – incerta e fragile, certo, ma effettiva – che si visse in Europa e in generale nel mondo.

Il debole non può mai perdonare. Il perdono è l’attributo del forte

Nel 1931 passò addirittura qualche mese nel vecchio continente, principalmente a Londra per discutere con gli interlocutori internazionali sul futuro dell’India, ma anche girando e visitando vari paesi. Per qualche giorno fu pure in Italia, dove fu ricevuto da Mussolini (che gli lasciò l’impressione di una persona che voleva a tutti i costi spaventare l’interlocutore) ma non dal papa, che non volle esporsi incontrando una personalità di così grande prestigio morale ma non cattolica; e ovviamente concedeva continuamente interviste per propagandare l’importanza della propria causa.


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Proprio in quel 1931 l’India era però scossa dal triste destino di un altro attivista, Bhagat Singh, notevolmente più giovane di Gandhi: dopo aver militato da adolescente nelle fila del movimento nonviolento, infatti, Singh aveva deciso di darsi alla lotta violenta, disilluso dalle repressioni e dai massacri perpetrati dagli inglesi. Arrestato per omicidio in seguito ad un attentato contro un poliziotto britannico, venne condannato a morte e impiccato in fretta e furia, generando un grande risentimento nel paese, tanto è vero che per qualche settimana le sue immagini vennero vendute in tutto il paese e la sua popolarità superò quella dello stesso Gandhi.

The weak can never forgive. Forgiveness is the attribute of the strong

Molti indiani volevano vendetta per quello che consideravano un giovane martire, ma Gandhi, intervistato proprio riguardo a quell’esecuzione, invitò tutti alla calma e a non far degenerare la protesta in lotta armata.

 

Diverse strade che convergono

La dottrina sulle religioni

Il Mahatma GandhiDal punto di vista religioso, Gandhi mantenne sempre una posizione particolarmente equilibrata, dimostrandosi rispettoso di tutti i culti e impegnandosi a considerare tutte le religioni come un diverso percorso per arrivare alla Verità. Perfino durante la visita in Italia che abbiamo citato prima, in cui il papa si guardò bene dal riceverlo, Gandhi si recò comunque alla Cappella Sistina, e invece di rimanere estasiato dai dipinti di Michelangelo, fissò a lungo il crocefisso dell’altare, in cui il Cristo era rappresentato come particolarmente umile, magro, sofferente, dicendo poi che non ci si poteva non commuovere fino alle lacrime.

Le religioni sono diverse strade che convergono nello stesso punto. Cosa importa che prendiamo diverse strade, finché raggiungiamo lo stesso obiettivo? Dove sta il motivo per litigare?


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D’altro canto, il padre della nazione indiana non volle mai legarsi troppo ad un unico culto. Cresciuto secondo i dettami dell’induismo, studiò per tutta la vita anche le altre religioni, dal cristianesimo all’islam passando per il buddismo, cercando di coglierne con grande curiosità e spirito di ricerca il messaggio più profondo. Del cristianesimo apprezzava in particolare il “porgi l’altra guancia” e il discorso della montagna, in cui Gesù prometteva il regno dei cieli ai più umili, che lui nella società indiana identificava con i paria.

Religions are different roads converging to the same point. What does it matter that we take different road, so long as we reach the same goal. Wherein is the cause for quarreling?

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Ma in generale mantenne sempre una posizione di indipendenza, apertura e confronto pacifico tra i vari culti. Subito dopo l’indipendenza, l’India fu infatti colpita dal conflitto religioso tra indù e musulmani, conflitto che portò alla nascita del Pakistan e alla guerra tra i due paesi confinanti. La frase di Gandhi, datata 1946, deriva proprio da quel periodo ed è un invito alla pacificazione tra le due religioni. Un invito che gli sarebbe costato la vita: il suo ultimo sciopero della fame fu infatti portato avanti per costringere lo stato indiano a rispettare degli accordi firmati proprio col Pakistan; una mossa che non venne vista di buon occhio dagli integralisti indù, uno dei quali finì proprio per sparargli nel gennaio del 1948.

 

La mia vita è il mio messaggio

Un esempio costante

Il Mahatma Gandhi all'arcolaioL’ultima frase che abbiamo scelto fu pronunciata dal Mahatma Gandhi a un giornalista negli ultimi anni della sua vita. «Qual è il messaggio che vuole lasciare al mondo?», gli avevano infatti chiesto. E la risposta era stata – quasi parafrasando in anticipo Marshall McLuhan – che la sua stessa vita era il messaggio.

La mia vita è il mio messaggio

D’altronde la sua vita era davvero stata perfino più importante delle sue parole. Aveva viaggiato per tutta l’India, aveva sposato le cause della libertà e dell’indipendenza proponendo per la prima volta delle tecniche nonviolente, aveva ispirato ammiratori ed attivisti in tutto il mondo. Tra i primi anni del Novecento e la fine della Prima guerra mondiale aveva poi messo a punto uno stile di vita che lo rendeva quasi un eremita moderno e gli consentiva di dedicare tutto il suo spirito alla causa.

My life is my message


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Tra le tante misure che aveva adottato c’era la pratica del silenzio, a cui si dedicava completamente per un giorno ogni settimana; c’era la rinuncia ad ogni forma di ricchezza, che si esplicitava in particolare nell’umile veste che si cuciva da solo e che divenne la divisa ufficiale di tutto il Partito del Congresso, fino a quando la ruota dell’arcolaio che veniva usato per cucirlo non entrò addirittura nella bandiera indiana; c’era la castità, data dal fatto che dai 36 anni in poi rinunciò ad ogni pratica sessuale; c’era un vegetarianismo rigoroso, al quale si era avvicinato già ai tempi di Londra, motivato non tanto da questioni religiose ma etiche e di purificazione interiore; c’era, infine, la pratica del digiuno, usata sia come tecnica politica per mettere alle strette i vari governi, sia come strumento per purificare il proprio corpo e renderlo indipendente dai sensi.

 

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