
C’è stata un’epoca in cui il romanzo era la principale forma di narrazione: ancora non c’erano il cinema, la televisione, i fumetti, internet o i videogame, e l’unico modo per vivere un’avventura non direttamente sulla propria pelle era quello di acquistare un volume, o una di quelle riviste in cui i romanzi uscivano a puntate.
Questo dava, indubbiamente, alla letteratura un grande potere: quello di potersi rivolgere in maniera pressoché esclusiva a un pubblico forse non ancora amplissimo, ma certamente avido di informazioni e conoscenza. Per questo, già dall’Ottocento i romanzi divennero il mezzo preferito dai polemisti e da chi voleva portare avanti delle accese istanze sociali.
Accanto ai romanzi di formazione e a quelli picareschi, nasceva così il genere dei romanzi sociali, che tanto peso ha avuto dalla metà dell’Ottocento fino almeno alla metà del Novecento. Scopriamo insieme i suoi capolavori.
Indice
1. Charles Dickens – Tempi difficili
Il narratore che ha raccontato l’Inghilterra industriale
Il maestro e il padre del romanzo sociale non può che essere Charles Dickens, il grande scrittore inglese: praticamente ogni suo lavoro, infatti, è a suo modo un romanzo di denuncia sociale, e la nostra cinquina avremmo potuto costruirla anche esclusivamente con libri da lui firmati.
Pubblicato per la prima volta nel 1854 a puntate sulla rivista Household Words, anche per risollevarne le sorti editoriali, non era certo il primo lavoro di successo di Dickens, che aveva dato già prova di grandi doti umoristiche ne Il Circolo Pickwick e di attenzione ai temi sociali in Le avventure di Oliver Twist e David Copperfield.
Qui, però, sfogò tutta la sua rabbia nei confronti del sistema economico e della filosofia utilitarista – basata sui fatti e sulle statistiche, non lasciando spazio alla fantasia – che dominava la scena nella pedagogia britannica del tempo.
Ambientato nell’immaginaria città di Coketown, mostra con pagine indimenticabili la dura realtà della fabbrica, ma non manca di rivolgere anche critiche al sindacato e di raccontare la fuga di molti verso l’America.
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2. Victor Hugo – I miserabili
Capolavoro assoluto della letteratura dell’Ottocento, I miserabili non è solo un romanzo sociale, ma un grande affresco sulla Francia dopo la caduta di Napoleone e durante la Restaurazione, nel periodo che va dal 1815 al 1833.
Non a caso, l’autore, Victor Hugo, vi lavorò, tra pause e ripensamenti, per più di quindici anni, cercando di condensare in questo volume le varie cause sociali che si erano dipanate nella sua mente già dai tempi della scrittura de L’ultimo giorno di un condannato a morte e che a suo modo di vedere andavano affrontate dal punto di vista degli ultimi della società.
La prima edizione dell’opera uscì così solo nel 1862, ricevendo recensioni contrastanti – fu attaccata dalla stampa vicina a Napoleone III – e incontrando però un grandissimo favore popolare non solo in Francia ma anche negli altri paesi europei, nelle cui lingue fu subito tradotta.
Dalle galere francesi alle barricate di Parigi
La storia, più volte ridotta anche in pellicole cinematografiche e sceneggiati televisivi, è piuttosto nota: il protagonista assoluto è Jean Valjean, un uomo che in gioventù, per indigenza, aveva rubato un tozzo di pane e per questo era finito in carcere, scontando – a causa anche dei suoi numerosi tentativi di fuga – ben 19 anni.
Sotto falso nome, diventava così un filantropo e soccorreva anche la prostituta Fantine, giurandole di salvare la di lei figlioletta Cosette, cosa che però poté fare solo dopo essersi autodenunciato e dato di nuovo alla fuga per impedire l’incarceramento di un innocente.
Infine, cresceva e proteggeva Cosette, finché lei non s’innamorava del giovane rivoluzionario Marius che, in un concitato finale, lo stesso Valjean riusciva a salvare da un tentativo di suicidio nonostante il terribile ispettore Javert, suo storico avversario, gli desse la caccia.
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3. Émile Zola – Germinale
Sempre francese, anche se uscito circa una ventina d’anni più tardi, è Germinale, celebre capolavoro di Émile Zola, massimo esponente di quel naturalismo che si ispirava ai dettami filosofici del positivismo e avrebbe influenzato, e non poco, il verismo italiano di cui parleremo ancora.
D’altro canto, lo stesso Zola aveva a lungo studiato quell’ambiente, recandosi più volte nella più importante miniera dell’epoca, quella di Anzin, nel nord del paese, quasi al confine col Belgio.
Tra i minatori del nord della Francia
Il protagonista è Étienne Lantier, un giovane disoccupato che decide di partire proprio per il nord della Francia in cerca di un nuovo impiego, impiego che trova alle miniere di Montsou, nelle quali le condizioni di lavoro sono però spaventose.
Man mano che si integra coi colleghi di lavoro, Lantier inizia a diffondere idee nuove, a sindacalizzare i compagni, portandoli anche ad uno sciopero in seguito ad una riduzione dei salari imposta dalla compagnia.
La lotta, che si fa più accesa col passare del tempo, viene repressa coi modi duri dalle forze dell’ordine e causa anche parecchie morti, tra cui quella della sua amata Catherine, finalmente liberata dal rude marito Chaval. Étienne, uno dei pochi sopravvissuti, torna infine a Parigi, persuaso che la lotta continuerà e potrà cancellare le ingiustizie.
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4. Ignazio Silone – Fontamara
Anche in Italia, il genere del romanzo sociale ha avuto degli esponenti importanti. I prodromi si possono già individuare nel realismo, che aveva cercato – come ad esempio in Verga – di raccontare le condizioni delle classi più umili, ma mancava lì forse ancora la spinta al cambiamento.
A dimostrare questa nuova tendenza fu, tra i primi, Ignazio Silone, che nel 1933 pubblicò, dall’esilio svizzero, il suo capolavoro, Fontamara, in cui denunciava i soprusi legalizzati a cui erano invariabilmente sottoposti i contadini – o, come li chiamava lui, i “cafoni” – della Marsica, negli Abruzzi.
Le ingiustizie del fascismo e i contadini abruzzesi
Il libro, ambientato nella immaginaria località che gli dà il titolo, prende spunto da alcuni fatti reali che Silone – originario proprio di quei luoghi – aveva sedimentato nella propria memoria: il nuovo podestà della zona, appoggiato dal fascismo, infatti deviava il corso del fiume che dava l’acqua ai contadini, cercando con varie furberie di prevaricare i loro diritti.
Un abitante del luogo, il forte Berardo, partiva quindi per Roma in cerca di giustizia, ma finiva presto in carcere, rendendosi conto della matrice politica delle varie ingiustizie che la sua gente stava subendo, senza avere però il tempo di approfondire la sua lotta.
Il libro, ignorato ed osteggiato per lungo tempo in Italia a causa delle vicissitudini personali di Silone (ex funzionario di alto livello del PCI, ne fu espulso già negli anni ’30 in seguito a contrasti con Togliatti), ebbe fin da subito uno straordinario successo in tutta Europa, soprattutto per la capacità di raccontare un’umanità immobile ma dignitosa come quella dei “cafoni”.
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5. John Steinbeck – Furore
Concludiamo spostandoci avanti nel tempo e abbracciando quella che è stata una delle stagioni socialmente più dure del Novecento, cioè la crisi economica che negli Stati Uniti scoppiò dopo il crollo di Wall Street del 1929.
Il romanzo-simbolo di quella stagione fu probabilmente Furore di John Steinbeck, uscito nell’aprile del 1939 e subito baciato da un grandissimo successo in patria, sia di vendite che di critica.
L’autore, all’epoca trentasettenne, aveva già pubblicato alcuni romanzi, ottenendo un ottimo successo con Pian della Tortilla e soprattutto Uomini e topi, un libro che aveva sì un contenuto fortemente sociale, ma era anche e prima di tutto una tragedia sul destino dell’uomo.
L’America rurale dopo la crisi del ’29
Furore, invece, raccontava la trasmigrazione della famiglia Joad, che, prostrata dalla crisi economica, abbandonava l’Oklahoma e si dirigeva verso la California, sperando là di potersi ricostruire una vita. Ma anche la California, che veniva raggiunta assieme ad altre famiglie dopo varie vicissitudini, si rivelava ben lontana dall’ideale sperato.
Tom, il personaggio principale, incappava suo malgrado in un omicidio ed era costretto a darsi alla fuga, visto che era già stato in carcere e rilasciato sulla parola; la sua famiglia, d’altro canto, subiva una inondazione che ne minava la appena trovata stabilità economica, mentre Rosa Tea, la giovane moglie, partoriva un bambino nato morto.
In Italia, anche per via di una traduzione datata (rivista recentemente, nel 2013, a più di settant’anni dalla prima uscita, che era stata anche censurata in alcune parti dal fascismo), il successo è stato minore, ma il libro merita ora di essere riscoperto.