Cinque tra i migliori album del 2013

Cinque tra i migliori dischi del 2013

Se siamo tra quelle ormai rare persone che amano circondarsi di prodotti culturali e/o d’intrattenimento, in un anno ci troviamo a maneggiare libri, fumetti, dischi, dvd, videogiochi, device tecnologici, telecomandi, registrazioni e quant’altro.

Vediamo film, leggiamo romanzi, ci innamoriamo di serie TV, eppure raramente a fine anno siamo portati a stilare la classifica dei dieci film che ci sono piaciuti di più, o delle puntate che ci hanno più impresso; ma lo facciamo quasi sempre per la musica, come se gli album si prestassero maggiormente ad essere inseriti in una lista, ad essere messi in scala, ad essere promossi o bocciati.

Le classifiche

In effetti, se ci pensate, esistono classifiche per ogni mezzo di comunicazione (l’Auditel per la TV, la classifica dei bestseller per i libri, i dati d’incasso per i film), ma è solo nella musica che le graduatorie si moltiplicano. Se siamo anche solo vagamente interessati all’argomento, può darsi benissimo che conosciamo a menadito la classifica italiana, inglese e americana, oltre a quelle, differenti, per il pop, l’alternative, il rock e così via.

Niente di tutto questo si verifica, invece, con gli altri media. Insomma, la musica sembra essere naturalmente portata ad essere inserita in liste e graduatorie, e per questo forse il nostro compito è oggi ancora più ingrato del solito, perché per ogni artista incluso nella nostra cinquina ce ne saranno almeno altri tre o quattro che avrebbero meritato di esserci ma sono stati tagliati.

Ciononostante, c’abbiamo provato, tenendo conto della qualità artistica ma anche del peso specifico dei dischi nel panorama globale. Ecco quindi i cinque migliori album usciti nel 2013 che ci sentiamo di consigliarvi (e, se volte dare un’occhiata alle altre nostre liste di fine anno, cliccate qui).

 

David Bowie – The Next Day

L’atteso ritorno del Duca Bianco

La storia del rock è piena di ritorni: le band si sciolgono ma a volte si riuniscono, i cantanti annunciano il loro ritiro ma spesso ci ripensano, le star sembrano crollare ma può capitare che risorgano. Raramente, però, questi ritorni sono all’altezza di ciò che li ha preceduti; a volte sono mere operazioni commerciali volte a sfruttare le poche idee rimaste, altre volte sono un pallido tentativo di rinverdire i fasti di un tempo, senza accorgersi che i tempi sono cambiati.


Leggi anche: Cinque tra i migliori album usciti nel 2014

In certi casi, però, il miracolo avviene, e dopo una lunga pausa si può ritornare sulle scene più forti di prima: ed è questo quello che sembra essere successo a David Bowie, assente dalla scena discografica dal 2003 – dai tempi di Reality – ma ritornato in gran spolvero dopo un decennio con The Next Day, un album che nessuno si aspettava sia perché la sua registrazione è stata mantenuta segreta fino all’ultimo, sia perché la qualità è ai livelli del periodo d’oro di Bowie.

Insomma, a 66 anni e dopo qualche problema di salute David Bowie non solo non sembra aver esaurito le idee, ma riesce ancora a presentarle con la forza e col vigore dei vent’anni, anche senza bisogno di un tour promozionale. Un vigore che, a quanto riferisce il suo produttore Tony Visconti, potrebbe produrre presto altro nuovo materiale inedito.

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Justin Timberlake – The 20/20 Experience

L’album quasi sperimentale della star del pop

Che il 2013 sia stato l’anno dei grandi ritorni non è dimostrato solo da David Bowie – che ha piazzato il colpo grosso – ma anche da altri artisti che nel loro genere sembrano avere ancora parecchie cartucce da sparare. Uno di questi è sicuramente Justin Timberlake, assente sul mercato dal settembre 2006, quand’era uscito Futuresex/Lovesounds, e che negli ultimi sette anni ha preferito dedicarsi più alla sua carriera cinematografica e all’amore con Jessica Biel, sposata lo scorso anno in Puglia, dopo un lustro di frequentazione.

In questo anno solare l’ex componente degli ‘N Sync ha però cercato di colmare la lacuna, sfornando addirittura due dischi, The 20/20 Experience a marzo e The 20/20 Experience – 2 of 2 a settembre, due album complementari anche se non baciati dalla stessa ispirazione (anche se entrambi di grande successo commerciale).

La dote del coraggio

A noi, e in generale alla critica, è piaciuto soprattutto il primo. Un album che non rompe più di tanto con lo stile che Timberlake ha scelto per la propria carriera solista, ma che dimostra anche – ed è il suo pregio maggiore – una discreta dose di coraggio, soprattutto negli arrangiamenti e nell’impostazione generale.

Se non stessimo parlando di una star di prima grandezza del pop mondiale, si potrebbe addirittura osare la parola “sperimentale”: le tracce mediamente durano più di 7 minuti, lontanissime dal formato usuale del singolo radiofonico, e soprattutto la scelta è di discostarsi dall’andamento generale, privilegiando sonorità soft, diremmo addirittura soul, con il classico che si mescola al moderno, l’R&B che sfocia nell’electropop, sempre mantenendo una grande eleganza.

Il tema, manco a dirlo, è sempre l’amore, coniugato in tutte le sue varianti, dal romanticismo alla sensualità, con una produzione equilibrata affidata al sempre fedele Timbaland e poche collaborazioni (solo Jay Z fa la sua comparsa in Suit & Tie).

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The National – Trouble Will Find Me

Il perfezionamento della forma-canzone

Come abbiamo già iniziato a vedere, ma come diverrà ancora più chiaro a fine articolo, quest’anno è stato soprattutto un anno di rivisitazioni, di decostruzione e ricostruzione del mito, di reinvenzione estrema. Gli artisti e le band, o almeno quelle di maggior impatto, hanno sentito l’esigenza di rinnovarsi, di tentare strade diverse, di aprire nuovi scenari; lo si potrebbe dire, in questo senso, un anno interlocutorio, che potrebbe portare verso direzioni nuove che però per ora non si sono ancora appieno concretizzate.

Fa eccezione, in tutto questo discorso, l’album che i National hanno fatto uscire a metà maggio, lo splendido Trouble Will Find Me, quello che personalmente mi ha colpito di più e più in fretta in questi dodici mesi che si avviano alla conclusione.

Il ruolo delle canzoni

Fa eccezione perché la band capitanata da Matt Berninger non ha cambiato nulla della sua tipica impronta che si è venuta a delineare in questi anni, cercando piuttosto di perfezionare una forma-canzone che, almeno in quest’album, marcia come una perfetta macchina da guerra, equilibrata senza essere costruita a tavolino, densa ed emozionante come sempre ma anche musicalmente intrigante.

Tutti gli ultimi dischi della band di Cincinnati, da questo punto di vista, rappresentano un crescendo, una presa di coscienza sempre più ferma delle proprie possibilità – compositive e di esecuzione – e un continuo aggiustamento che, ci pare, culmina qui, in queste tredici tracce che continuano a parlare di problemi, amori tristi e unioni emotive.

Il rischio, ora, è piuttosto quello di aver raggiunto un apice che non sarà più possibile perfezionare senza correre il rischio di diventare l’imitazione di se stessi, di diventare autoreferenziali e ridondanti. Ma questo sarà un problema da affrontare tra qualche mese, e che ci riguarda solo in parte; noi, per ora, continuiamo a goderci questo disco.

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Daft Punk – Random Access Memories

Il mix di tutto e del contrario di tutto

Concludiamo la triade dei ritorni da top-5 con quello che probabilmente ha conquistato, almeno qui in Italia, più di tutti la risonanza mediatica e radiofonica: il Random Access Memories dei Daft Punk, che addirittura dal 2005 non producevano inediti – se si eccettua la colonna sonora di Tron: Legacy.

Se il ritorno di David Bowie, per quanto riuscito, era già a priori – a sessantasei anni suonati – un ritorno destinato a sconvolgere i cuori solo dei vecchi fan e quello di Justin Timberlake ad avere ripercussioni più sul mercato americano che su quello europeo, l’album dei Daft Punk è forse quello che ha saputo più di tutti unire i fan di vecchia data e quelli nuovi, gli ascoltatori europei e quelli americani, gli amanti della disco e quelli del pop.

Novità e continuità

Ed ha potuto farlo, ci sembra, perché ha saputo mescolare sapientemente tutto e il contrario di tutto, rimanendo fedele alla storia del duo parigino ma anche lasciandosela alle spalle, non rinnegando le proprie radici ma contemporaneamente cercando di guardare oltre ad esse.

Ne è uscito, se quanto abbiamo scritto è vero, un album così vario e ricco da accontentare tutti, dove si limita l’uso di strumentazioni elettroniche, si abbonda con le citazioni del passato – omaggiando tra gli altri anche Giorgio Moroder – e si cerca di trovare una nuova umanità, libera o comunque autonoma dalle macchine, nel ricordo che casualmente ci investe.

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Sigur Rós – Kveikur

Rinnovarsi o perire

Se dovessimo indicare le cinque band del decennio scorso – e forse un giorno lo faremo – un posto di riguardo sarebbe indubbiamente riservato ai Sigur Rós, i veri maestri del post-rock, capaci di segnare un intero decennio di musica alternativa cantando un po’ in islandese e un po’ in una lingua completamente inventata.

Ma, come abbiamo mostrato ampiamente finora in questa cinquina, non si vive di ricordi, e prima o poi bisogna dismettere i panni che si sono indossati fino a quel momento e indossarne di nuovi, pur senza rinnegare ciò che si è e ciò che si è stati.

Una scommessa vinta

Quest’esigenza, Jónsi e soci, probabilmente la sentivano bene, in prima persona. Takk…, il disco della consacrazione, è del 2005 e dopo il buono ma interlocutorio Með suð í eyrum við spilum endalaust era arrivato, l’anno scorso, un album non del tutto convincente come Valtari, seguito dall’addio del tastierista e arrangiatore storico Kjarri. Kveikur era quindi il disco della resa dei conti, del “rinnovarsi o perire”, e la scommessa gli islandesi sembrano averla pienamente vinta.

Nelle nove tracce non c’è più il sound un po’ rassicurante e in parte prevedibile che aveva iniziato a caratterizzare i loro lavori, ma emerge una nuova inquietudine, una nuova durezza, un confronto a viso aperto col proprio pubblico che mette da parte il recente successo commerciale e lo sbarco ad Hollywood e sembra tornare alle radici della band, ad una visione meno edulcorata di loro stessi e del loro sound. A tutto vantaggio della musica, che ricomincia a stupire.

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Segnala altri grandi dischi usciti nel 2013 nei commenti.

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