
Luigi Pirandello è stato sicuramente uno dei più grandi – se non forse, in assoluto, il più grande – dei drammaturghi in lingua italiana: le sue commedie grottesche e le sue tragedie hanno saputo scandagliare i recessi dell’animo umano, le difficoltà degli uomini moderni, così bistrattati tra dissoluzione dell’io e difficoltà di riconoscersi. Una capacità che, per una volta, è stata ampiamente riconosciuta anche all’estero, come dimostra il premio Nobel che lo scrittore siciliano si aggiudicò nel 1934, due anni prima della sua scomparsa.
Opere da riscoprire
Nonostante lo si studi ampiamente a scuola, dove si leggono estratti delle sue opere teatrali e, più spesso, qualcuno dei suoi romanzi (Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila su tutti), non sempre le sue opere sono così note al grande pubblico, che si accontenta di ricordare due o tre fatterelli tratti dalle varie antologie, senza approfondire più di tanto.
Le sue commedie e più in generale le sue opere teatrali, invece, meriterebbero ancora grande attenzione, sia per la precisione della scrittura e dei tempi scenici, sia per la capacità di cogliere dissidi che spesso ci accompagnano ancora oggi, a quasi un secolo di distanza dalla stesura dei testi.
Allora, ripercorriamo assieme le opere teatrali più riuscite di Luigi Pirandello.
Indice
1. Così è (se vi pare)
La verità che forse non esiste
Così è (se vi pare) è uno dei drammi più noti di Pirandello, per vari motivi: in primo luogo, è quello che apre la fase del teatro umoristico e grottesco, non più scritto in lingua siciliana ma in italiano, scelta che avrebbe dato a Pirandello una grande e immediata fama.
Rappresentato per la prima volta a Milano nel giugno del 1917, il dramma era tratto da una novella – La signora Frola e il signor Ponza, suo genero – che fu adattata abbastanza fedelmente nella prima parte, ma che fu modificata nella seconda, soprattutto con l’aggiunta di un personaggio che rappresentasse il pensiero dell’autore.
L’invisibile moglie di Ponza
La storia è quella del signor Ponza e di sua suocera, appunto la signora Frola, che si trasferiscono in un nuovo paese di provincia dopo il terribile terremoto che ha colpito la loro terra d’origine, la Marsica.
Assieme a loro sembra esserci anche la moglie di Ponza nonché figlia di Frola, ma nessuno la vede mai, e quindi in paese iniziano a girare le prime voci e i primi pettegolezzi: esisterà? E perché il marito la tiene segregata in casa? Qual è il mistero che si cela dietro a questa famiglia?
Mentre il saggio Laudisi, alter ego di Pirandello, ride di tutte queste domande, che rivelano l’incapacità di cogliere il mistero che sta dietro ognuno di noi, si arriva ad una serie di chiarimenti sia con Ponza che con la Frola, senza però che la verità venga realmente chiarita.
2. La patente
Lo jellatore e il giudice
Sempre del 1917 era anche La patente, una breve commedia in atto unico che Pirandello aveva scritto in siciliano per l’attore Angelo Musco, che l’aveva portata in giro per l’Italia; il successo spinse il drammaturgo a tradurla subito in italiano e a presentarla in questa nuova versione nel febbraio del 1919 a Roma.
Il protagonista è infatti tale Rosario Chiarchiaro, un uomo che ha fama di jettatore e che si presenta davanti ad un giudice non tanto con lo scopo di avere giustizia delle malelingue, quando di vedere riconosciuta ufficialmente la sua capacità di portar sfortuna.
Lo scopo della causa
Chiarchiaro ha infatti querelato il figlio del sindaco e un assessore, che hanno fatto ampi scongiuri al suo passaggio, ma in realtà vuole perdere la causa, perché il suo obiettivo è ottenere una sorta di patente che certifichi la sua particolare abilità.
Se infatti questo è il modo in cui la gente continua a vederlo, pensa il protagonista, tanto vale cercare di trarne qualche vantaggio: Chiarchiaro, infatti, vorrebbe far pagare una piccola tassa ai suoi compaesani per evitare di incrociarlo sul loro cammino.
D’altro canto, il menagramo ha perso il lavoro proprio per la sua fama e le sue figlie non riescono a trovare marito. Alla fine, proprio un episodio sfortunato convincerà il giudice, che pure all’inizio non voleva sentir parlare di jella, che forse la fama di Chiarchiaro non è campata per aria.
3. Il giuoco delle parti
Morire per la necessità di assumere il proprio ruolo
Molto celebre è pure Il giuoco delle parti, altra commedia degli anni ’10 – la prima rappresentazione avvenne nel dicembre del 1918 a Roma – che si sviluppa grazie a un intreccio basato sull’immagine pubblica che ogni persona dà di sé e sul confronto col proprio vero io, ammesso che esista.
Si tratta di Leone Gala, un annoiato marito che si diletta di filosofia; di sua moglie Silia, che lo vorrebbe veder morto; e dell’amante di lei e, di fatto, compagno di vita, Guido Venanzi, che pagherà lo scotto di tanti comportamenti assurdi.
Il fastidio di Silia
Silia è infatti infastidita dal marito ufficiale, che ha già lasciato da tempo ma che continua a farle visita per mantenere le apparenze. Infastidita dal suo modo razionale di interpretare la realtà e lei stessa, che sembra permettergli di prevedere ogni sua mossa.
Per questo motivo, quando una combriccola di uomini la scambia, per un banale errore di indirizzo, per una prostituta, la donna ordisce un piano: ritenutasi offesa dagli uomini, pretende che il marito ne sfidi uno a duello per preservare il suo onore.
Il marito Leone, consapevole del tentativo della moglie di fargli trovare la morte, manda però al duello l’amante di lei, ormai marito “di fatto”, pur non ricevendo alcuna gioia dalla morte di Guido.
4. Sei personaggi in cerca d’autore
Il più estremo dei drammi pirandelliani
Il più celebre, e sicuramente più apprezzato anche all’estero, dramma di Luigi Pirandello è però datato 1921 e porta tutti gli elementi di cui abbiamo parlato finora alle estreme conseguenze.
Che questa sia la più estrema delle opere del narratore siciliano, però, è evidente anche dall’esito che ebbe quella prima rappresentazione nel maggio ’21 al Teatro Valle di Roma, luogo che già aveva celebrato vari suoi successi.
Durante la prima, vari spettatori contestarono l’opera, mettendosi ad urlare “Manicomio! Manicomio!”, esito che si ripeté in alcuni altri teatri almeno per qualche anno.
Una famiglia distrutta
La storia, per l’epoca, era effettivamente provocatoria. Al centro della scena ci sono infatti degli attori che stanno per provare il secondo atto del già citato Il giuoco delle parti, interpreti che vengono raggiunti però da ulteriori sei attori, portatori di un dramma che vorrebbero fosse rappresentato.
La storia è infatti quella di una famiglia distrutta, in cui il Padre abbandona la Madre dopo che questa ha trovato un altro uomo, rinunciando anche al proprio Figlio. In cui nascono ulteriori figli alla donna, ovvero la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina.
In cui il nuovo compagno però muore e la Figliastra è costretta a prostituirsi per mantenere la famiglia, finendo per incontrare, inconsapevole, il Padre.
Ma non è tanto la trama in sé a costituire il punto centrale del dramma, quanto l’idea della rappresentazione: il capocomico, infatti, una volta sentita la storia prova a farla rappresentare ai suoi attori, ma la messa in scena risulta falsa alla stessa Figliastra, che decide di sostituirsi ai professionisti.
Insomma, il confine tra realtà e finzione, tra maschera e verità è ormai completamente scomparso.
5. Enrico IV
La pazzia e la pantomima
Concludiamo la prima parte dell’articolo con una tragedia che fu rappresentata poco dopo il difficile esordio di Sei personaggi in cerca d’autore, che ne riprende i temi anche se in una cornice narrativa probabilmente meno estrema e che in Italia è stata a lungo pubblicata, da Mondadori, proprio assieme all’altro capolavoro di Pirandello.
Stiamo parlando di Enrico IV, la cui prima rappresentazione avvenne nel febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano.
Un protagonista senza nome
L’Enrico IV del titolo è proprio quest’uomo – il cui vero nome non viene mai menzionato – che, durante una festa in maschera, batte la testa e si convince di essere davvero l’imperatore tedesco Enrico di cui portava il costume, quello che durante la lotta per le investiture fu costretto ad umiliarsi a Canossa per chiedere il perdono del papa.
Ma la storia è ambientata molti anni dopo questi fatti, ed Enrico è ormai guarito, pur non avendolo mai confessato a nessuno.
Così, tutte le persone che continuano a fingersi uomini del Medioevo per assecondare la sua pazzia diventano i rappresentanti di una pantomima grottesca, che lo stesso Enrico guarda con sconforto ma che non ha il coraggio di interrompere, anche perché gli può servire per ottenere una sua particolare vendetta privata.
Altre 6 commedie e opere teatrali di Luigi Pirandello, oltre alle 5 già segnalate
Pirandello è stato un autore molto prolifico. Ha scritto decine di novelle, ha composto alcuni romanzi e poi ha messo in scena anche svariate opere teatrali, spesso di buon successo e di grande impatto sulla storia del teatro italiano. Per questi motivi, abbiamo deciso di ampliare un po’ la nostra lista, includendo altri sei suoi drammi.
Liolà
Spesso Pirandello prendeva spunto, per le sue commedie e le sue opere teatrali, da novelle che aveva pubblicato nei primi anni della sua attività. Altre volte, ad ispirarlo era un passo di un suo romanzo. Così è accaduto anche con Liolà, commedia ispirata ad un episodio raccontato ne Il fu Mattia Pascal.
La commedia fu composta inizialmente nel 1916, in piena Prima guerra mondiale. Non era un momento facile della vita di Pirandello: il figlio era prigioniero di guerra, mentre la malattia mentale della moglie si era notevolmente aggravata.
La storia si rivelò però allegra e spensierata, pur ricollegandosi ai classici temi pirandelliani. Liolà era un bracciante che era solito sedurre e ingravidare le ragazze. Una di esse, rimasta incinta, decideva di sfruttare la gravidanza per imbrogliare un ricco possidente privo di figli legittimi, ma Liolà riusciva a mettere incinta anche la moglie dell’uomo.
Il berretto a sonagli
Il berretto a sonagli fu scritta nel 1917, prima in una versione dialettale in siciliano e solo qualche anno dopo, in traduzione, in italiano. Ad ispirare Pirandello erano state anche in questo caso due sue novelle di qualche anno prima, La verità e Certi obblighi.
Tutto prendeva avvio da un tradimento: la signora Beatrice Fiorica veniva a sapere che suo marito, il potente Cavaliere, la tradiva con una donna, moglie del suo segretario Ciampa. Per questo decideva di denunciare l’adulterio – che allora costituiva reato – e di far quindi arrestare il marito fedifrago.
In breve, però, la situazione diventava insostenibile per tutti, perché lo scandalo travolgeva entrambe le famiglie coinvolte. E Beatrice, convinta dagli altri, si rassegnava a rinnegare la denuncia e la verità e a fingersi pazza per rimettere le cose a posto.
Il piacere dell’onestà
Anche Il piacere dell’onestà, come molte commedie pirandelliane, si fonda sugli equivoci derivanti dalle varie maschere che la società ci spinge ad indossare. In questo caso, questi equivoci vengono messi in luce da un matrimonio di facciata, utile a nascondere – o a rendere rispettabile – una gravidanza inaspettata.
Il protagonista della storia è Angelo Baldovino, un uomo all’apparenza mediocre che acconsente a sposare la giovane Agata, messa incinta da un marchese già ammogliato. Il matrimonio – che doveva essere solo un pro-forma – viene preso però molto sul serio da Angelo, cosa che rischia di far fallire i piani del marchese.
Quest’ultimo voleva infatti continuare a frequentare Agata, e cerca pertanto continuamente di mettere in cattiva luce Angelo, senza peraltro riuscirci. Il dramma venne composto, in tre atti, nel 1917 a partire ancora una volta da una novella dello stesso Pirandello, Tirocinio.
Ciascuno a suo modo
Sei personaggi in cerca d’autore, il celebre dramma di cui abbiamo già parlato, viene di solito considerato dai critici il primo tassello di quella che è in realtà una trilogia. La trilogia del “teatro nel teatro” che vede i suoi capitoli successivi in Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto, le due prossime opere che vi presenteremo.
Ciascuno a suo modo fu scritta nel 1924 ed è sicuramente la meno famosa delle tre commedie. Un fatto, questo, dovuto forse alla sua difficoltà e al suo essere decisamente in anticipo sui tempi. Sul palcoscenico veniva rappresentata, indirettamente, una storia di infedeltà tra amanti, ma questo era solo uno degli elementi della storia.
Perché, a inframezzare la trama principale, Pirandello metteva sul palco gli stessi spettatori che commentavano la vicenda rappresentata, e poi anche i personaggi reali a cui quelli della storia erano ispirati. La quarta parete veniva quindi più volte sfondata, in un turbinio provocatorio che si concludeva con la mancata rappresentazione del terzo atto.
Questa sera si recita a soggetto
A chiudere la trilogia, come detto, è Questa sera si recita a soggetto, messa in scena per la prima volta nel 1930, prima in Germania in una traduzione tedesca e subito dopo a Torino. Il testo è tratto ancora una volta da una novella di vent’anni prima, Leonora, addio!
Il problema è che prima e dopo la trama principale – focalizzata sulla gelosia di un uomo verso una moglie che, in gioventù, si era data ad una vita spensierata – avvengono delle discussioni tra gli attori e il regista (fittizio) dello spettacolo, il dottor Hinkfuss.
Quest’ultimo vorrebbe infatti che la compagnia lavorasse su un copione preciso, tratto sì dalla novella di Pirandello ma allo stesso tempo con indicazioni chiare per ogni scena e per ogni attore. Gli attori, al contrario, vorrebbero recitare “a soggetto”, dando libero sfogo alle loro doti di improvvisazione.
I giganti della montagna
I giganti della montagna è una commedia incompiuta di Luigi Pirandello, che morì prima di mettervi la parola fine. Per certi versi si richiama alla tecnica del teatro nel teatro, di cui abbiamo già parlato, ma per altri segna un cambiamento importante nella poetica dell’autore siciliano.
Si tratta infatti dell’opera più importante dell’ultima fase della produzione pirandelliana, quella del “Teatro dei miti”. Pirandello ne compose un primo atto dal titolo I fantasmi, che fu pubblicato su alcune riviste; poi un secondo, rappresentato per la prima volta dopo la sua morte, nel 1937. Infine ne era previsto un terzo, mai scritto.
La trama vede una compagnia di attori ritrovarsi all’interno di una villa chiamata La Scalogna. Da lì, questa compagnia decide di mettere in scena La favola del figlio cambiato, un’opera dello stesso Pirandello, ma anche di rappresentarla davanti ad esseri mitici chiamati appunto “I giganti della montagna”.