
Non sempre è facile raccontare la storia (e lo dice uno che, come insegnante, lo fa di mestiere). Spesso si rischia di essere pedanti, di seppellire i discenti sotto una valanga di nozioni, di date, di nomi che tendono a far smarrire il sapore degli eventi e dello scorrere del tempo.
C’è però qualcuno che ha un dono particolare, e riesce a illustrare i fatti storici con una verve che raramente si ritrova nei manuali. Nelle nostre librerie, recentemente, è stata tentata – e con successo – un’operazione di questo genere da Lia Celi e Andrea Santangelo con il volume Mai stati meglio (Utet, 2014), un libro che racconta la storia senza essere noioso, che ti dà informazioni senza risultare didascalico.
Il segreto, a mio modesto parere, sta nei due autori: Santangelo è uno storico con la passione per la comicità, Celi è un’autrice satirica con la passione per la storia. Unendo le due menti ne è uscito un saggio di storioterapia, cioè un libro che ti dimostra come, tutto sommato, questo non sia certo il migliore dei mondi possibili, ma è migliore di quelli che abbiamo avuto nel passato. E lo fa conducendoti attraverso la storia delle epidemie, della follia, del sesso, della medicina, in una panoramica veloce ma esaustiva di come si è evoluta l’umanità.
Una nuova rubrica
Proprio per questo stile divulgativo ma insieme acuto e simpatico, abbiamo scelto di far partire proprio con Lia Celi e Andrea Santangelo una nuova rubrica del nostro sito, Le cinquine dei VIP: sarà uno spazio in cui presenteremo delle cinquine scelte e raccontate direttamente da degli autori e dei protagonisti della nostra scena letteraria e culturale.
Questa volta, l’affiatata coppia Celi-Santangelo ha scelto di legarsi all’attualità e alla prossima elezione del nuovo Presidente della Repubblica: se potessimo pescare qualche personaggio storico dal passato, quale sceglieremmo di far salire al Quirinale? Ecco come hanno risposto.
[Ermanno Ferretti]
Indice
Phineas Barnum
Perché trasformava i casi umani in uno show redditizio
Oggi la politica italiana è solo un brutto spettacolo dai costi esorbitanti: per farne il più grande spettacolo del mondo ci vuole lui, Phineas Taylor Barnum, il massimo impresario circense di tutti i tempi, specializzato nel trasformare un’accozzaglia di freaks e casi umani in uno show pittoresco, redditizio e perfino istruttivo, apprezzato in tutto il mondo.
Un filo invisibile lo lega a Giorgio Napolitano: Barnum iniziò la sua carriera nel 1835 spacciando con successo un’anziana schiava nera cieca e paralitica per la tata 160enne di George Washington, l’ex inquilino del Quirinale ha coronato la sua spacciando nel 2014 un boy-scout toscano cicciottello per il premier in grado di salvare l’Italia.
Uomo pratico e illuminato, sotto il profilo politico Phineas Barnum garantisce la massima equidistanza: fu democratico nella prima parte della vita e repubblicano nella seconda, e sostenne una legge del Connecticut che proibiva i contraccettivi, il che lo renderà sicuramente gradito ai cattolici. A capo delle istituzioni, riuscirebbe a farne quel che fu l’autentico circo Barnum, una struttura perfettamente organizzata, meritocratica, inclusiva (vi si esibivano artisti di ogni razza, donne e disabili) e soprattutto mai noiosa.
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Probabilmente Barnum renderebbe itineranti gli organi dello Stato, organizzando tournée nelle varie località per riavvicinare le istituzioni ai cittadini: «Venghino siore e siori! Oggi nella piazza principale grande esibizione della Corte dei Conti: emozione, brividi, deficit, salvataggi acrobatici di imprese sull’orlo del fallimento! Solo domani, spettacolo pomeridiano, elettrizzante assemblea della Camera dei Deputati! La più grande esposizione di parlamentari vivi! Avvertenza: non date da mangiare agli onorevoli, lo fate già abbastanza con le vostre tasse».
Leonardo da Vinci
Perché farebbe tutto lui, dalle armi per l’esercito alle opere d’arte per i musei
Chi meglio del più grande genio italiano di tutti i tempi potrebbe risollevare le sorti della sempre più disprezzata politica nostrana? Uomo versato in ogni campo del sapere, Leonardo da Vinci avrebbe dalla sua anche una certa toscanità che pare essere oggi di gran moda tra i palazzi del potere.
Il genio di Leonardo tornerebbe assai utile in molte delle mansioni presidenziali: come capo delle forze armate italiane ci farebbe risparmiare un sacco di soldi, dato che le armi e le fortificazioni le progetterebbe e realizzerebbe direttamente tutte lui; come referente per i Servizi Segreti ci aiuterebbe con codici criptati e scritti incomprensibili (i nostri agenti per trasmettere informazioni andranno in giro con una maglietta con un ritratto “stile Gioconda”, illeggibile e incomprensibile a intere generazioni di studiosi, ma non più per le reti degli 007 italici); riempirebbe poi i Musei di nuovi capolavori che potremmo anche vendere per risanare il debito pubblico; farebbe finalmente avviare le famose riforme politiche che aspettiamo da sempre, perché, esperto anatomista e meccanico, saprebbe dove mettere mano tra le membra in putrefazione del corpo dello Stato e gli ingranaggi della nostra burocrazia, intasati e avidi di essere oliati; come figura di riferimento della nazione sarebbe in grado di procurare maggiori fondi alla nostra ormai boccheggiante ricerca scientifica.
Assai gradito agli uomini di lettere, agli artisti, ai musicisti, agli scienziati, agli ingegneri, agli idraulici, ai medici, ai militari, ai mancini, al popolo dei free lance e delle partite IVA, agli editori di Dan Brown e ai complottisti, per essere eletto Presidente Leonardo dovrebbe però superare lo scoglio dei cattolici, per via di alcune dicerie sulla sua presunta omosessualità, la sua ben nota scarsa religiosità e soprattutto l’enorme cifra richiesta per dipingere L’Ultima Cena.
Lucio Licinio Lucullo
Perché i banchetti li organizzava dopo essersi ritirato dalla politica
Temete più di ogni altra cosa l’enormità del fenomeno della corruzione in Italia? Perdete le notti e il sonno per il timore che l’Expo 2015 sia un grande flop? Pensate che in Italia non si faccia abbastanza per il lusso e per il buon gusto che tanto ci hanno resi celebri nel mondo? Ritenete traballante e insicura la candidatura ai giochi olimpici 2024? Avete ansie legate alla pirateria navale o alle minacce di guerra che ci vengono dal medio oriente? Allora il vostro candidato ideale al Quirinale non potrà che essere Lucio Licinio Lucullo.
Il nobile patrizio romano alla prova dei fatti si rivelò essere un amministratore pubblico capace, giusto e incorruttibile, tanto che i politici e gli affaristi di Mafia Urbis Aeternae si dovettero mettere assai di impegno per trovare un modo di disfarsi di lui. Lucullo, infatti, nelle province da lui governate faceva pagare il giusto di tasse, provvedeva a giusti processi e ascoltava le istanze del popolo; cosa intollerabile per i tanti corrotti che stavano a Roma (e pare che ancora ci stiano).
Una volta ritiratosi dalla vita pubblica si diede a organizzare le feste e le cene più eleganti e sfarzose della storia. Sì, avete capito bene, dopo essersi ritirato dalla politica… Ancora oggi esiste in italiano un aggettivo – luculliano – derivato dalla grandezza e dalla ricchezza dei suoi pasti. Chi meglio di lui potrebbe inaugurare l’Expo 2015 dedicato al cibo?
E a proposito di grandi eventi, i giochi che Lucullo organizzò a Roma nel 79 a.C. furono tra i più splendidi e ricchi che la storia ci tramandi. Candidatura Roma 2024 sei in buone mani! Inoltre il buon Lucullo fu anche un singolare generale e ammiraglio: del tutto autodidatta in campo militare, vinse tutte le battaglie, sia terrestri che navali, che affrontò, sbaragliando i nemici con astuzia e intelligenza. Un grande capo per le nostre Forze Armate (e sai che grandiosa parata del 2 giugno!).
Amelia Earhart
Perché era una donna che sapeva volare alto
Al Quirinale vogliamo una donna, al di sopra delle parti, capace di volare alto e possibilmente meno piagnona di Laura Boldrini? In attesa che l’astronauta Samantha Cristoforetti torni sulla terra e raggiunga l’età sinodale dei cinquanta (non necessariamente in quest’ordine), l’altra metà del cielo candida al Colle una donna che del cielo aveva fatto la sua casa: la leggendaria aviatrice Amelia Earhart.
Fisicamente un mix fra le giovani Emma Bonino e Mia Farrow, la prima donna che negli anni Trenta attraversò in volo l’oceano Atlantico e che sorvolò gli Stati Uniti senza scalo riuscirà a valicare l’oceano che ormai separa l’Italia dai Paesi evoluti, sorvolando sugli inguaribili difetti dei suoi abitanti; e in ultima analisi, se vogliamo far decollare le benedette riforme, la Earhart è il nome giusto. Del resto il nostro paese somiglia molto agli aerei su cui volava l’audace pilota americana: antiquato, fragile, poco sicuro, sembra stare insieme per miracolo, eppure se ben guidato sa compiere imprese che stupiscono il mondo.
L’affascinante Amelia piacerà al M5S per l’alone di mistero che tuttora circonda la sua fine e autorizza mille teorie complottiste, dal rapimento alieno alla congiura del gruppo Bilderberg (la tesi più recente mette sotto accusa la sinistra influenza del soprannome che le era stato dato, Lady Lindy, in quanto versione femminile di Charles Lindbergh, grande aviatore decisamente sfigato nel privato).
La Lega le contrapporrebbe sicuramente la milanesissima Rosina Ferrario, audace pioniera italiana dell’aviazione, universalmente ammirata, che nel 1915 vide respinta dal Ministro della Guerra la sua offerta di pilotare aerei per il soccorso ai feriti «perché l’esercito non può arruolare signorine». Senonché la maggioranza dei seguaci di Salvini la pensa esattamente come quel Ministro della Guerra.
Pellegrino Artusi
Perché ha unito (gastronomicamente) l’Italia
«Davanti a ‘na magnata e ‘na bevuta, a tavola l’Italia è tutta unita», era il monito di Enrico Montesano dalla cattedra di Fantastico ’88. Tranquilli, non vogliamo candidare Montesano alla Presidenza della Repubblica (il guaio dei comici prestati alla politica è che la comicità dimentica di farseli restituire), bensì il Mazzini dell’unificazione gastronomica dell’Italia: Pellegrino Artusi, Padre costituente della cucina nostrana avendone scritto la carta fondamentale, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene.
«Bene», si noti, non «molto», e l’antidoto al magna-magna che fa rotolare le istituzioni italiane agli ultimi posti delle classifiche di onestà, trasparenza ed efficienza potrebbe essere proprio il disincantato epicureismo positivista predicato dal manuale artusiano: «Il mondo ipocrita non vuol dare importanza al mangiare; ma poi non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio».
Principio valido a Vipiteno come a Misterbianco, a Tarvisio come a Sassari: a tavola, e purtroppo solo lì, l’Italia è una e indivisibile. Provi Maroni a introdurre un dazio sulla pizza e Milano insorgerà, e non per Cinque giornate ma per una quattro stagioni.
Uomo mite, colto e schivo, Pellegrino Artusi ricalca la ormai scomparsa figura del gentiluomo di un tempo, sarebbe dunque perfetto per cerimonie pubbliche, tour diplomatici, feste danzanti, funerali di stato, premiazioni, cene di gala e tagli di nastri (in modo particolare quello dell’Expo legato al cibo), sempre che gli Italiani non abbiano più remore ad essere rappresentati e guidati nuovamente da un romagnolo.