
Ha ottenuto una certa risonanza, recentemente, la notizia della nomina del nuovo CEO di General Motors, il colosso automobilistico statunitense: l’attuale amministratore delegato, Dan Akerson, andrà infatti in pensione anticipatamente a metà gennaio per poter assistere la moglie malata di cancro, e per succedergli è stata scelta per la prima volta una donna, Mary Barra.
Una notizia che in epoca di parità tra sessi non dovrebbe stupire, ma che in realtà lo fa perché mai prima d’ora una donna aveva diretto l’industria maschile per eccellenza, quella cioè automobilistica, soprattutto a quei livelli.
Abbiamo deciso di cogliere l’occasione per tracciare un profilo delle cinque top manager donne più potenti del globo. Come vedrete, la nostra lista è dominata dalle aziende statunitensi, ma non bisogna lasciarsi ingannare: la quota di donne CEO negli States è attorno al 5%, ben inferiore al già drammatico 9% dell’Unione Europea.
Va meglio, decisamente, in Cina, dove le donne arrivano ad occupare i posti di comando nel 19% delle aziende, mentre il record spetta alla Corea del Sud – non a caso all’avanguardia nel settore manageriale e industriale – dove ben il 30% delle aziende è guidato da donne.
Gli Stati Uniti, insomma, primeggiano più per la forza delle loro società che non per il peso specifico delle donne nelle posizioni-guida della loro economia, che rimane ancora profondamente maschilista.
Ma vediamo intanto le storie di cinque donne che ce l’hanno fatta, di donne che, con fatica e tenacia, sono riuscite ad arrivare ai vertici di alcune delle società più potenti del globo, sperando che presto siano affiancate da un sempre maggior numero di colleghe.
Indice
1. Meg Whitman
Nel 2013 Forbes l’ha definita la quindicesima donna più potente del mondo (ma nel 2005 era stata addirittura al 5° posto) e nel 2008 il New York Times l’ha inclusa nella lista delle dodici donne che potrebbero un giorno diventare presidenti degli Stati Uniti.
Tanti riconoscimenti per Meg Whitman derivano però da una carriera decisamente straordinaria dal punto di vista imprenditoriale, anche se non fortunatissima da quello politico: nata nel 1956 a New York, ha studiato a Princeton ed Harvard, girando poi tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80 in varie aziende di medio livello.
Nel 1989 entra alla Disney, diventando vicepresidente della pianificazione strategica, passando poi ai giocattoli della Hasbro.
La svolta arriva però nel 1998, quando diventa amministratore delegato di eBay, azienda che in quel momento aveva una trentina di dipendenti e fatturava quattro milioni di dollari. Quando la lascia, nel 2008, ha più di otto miliardi di dollari di fatturato e quindicimila dipendenti.
Il tentativo in politica e poi CEO di Hewlett-Packard
Forte di questo clamoroso successo, nel 2009 si candida coi repubblicani alla carica di governatore della California per sostituire l’uscente Arnold Schwarzenegger.
Investendo anche molto denaro personale nella campagna (all’epoca la si stimava essere la quarta donna più ricca dello stato), la Whitman sembra nei sondaggi concorrere quasi alla pari con lo sfidante democratico Jerry Brown, che però all’election day si impone con 13 punti percentuali di scarto.
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Nel settembre 2011, tornata in pianta stabile al suo lavoro di manager, la Whitman è stata quindi nominata CEO di Hewlett-Packard per cercare di risollevare le sorti della potentissima azienda californiana, in difficoltà a causa del flop di alcuni nuovi prodotti lanciati negli ultimi anni.
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2. Ginni Rometty

Rimaniamo nel settore tecnologico anche con Virginia “Ginni” Rometty, nata Virginia Marie Nicosia (Rometty è il cognome del marito) a Chicago nel 1957 e dal gennaio 2012 alla guida della IBM, forse la più storica e celebre sigla nel mondo dell’informatica.
Dopo una laurea in ingegneria e una specializzazione in computer science, ha lavorato brevemente alla General Motors prima di entrare in IBM nel 1981.
Qui ha lentamente ma inesorabilmente scalato le posizioni, fino ad arrivare nel 2009 alla vicepresidenza dell’azienda.
CEO di IBM
In questa posizione ha riscosso due grandi successi, prima aprendo in maniera forte al cloud, poi facendo produrre Watson, un computer in grado di interpretare comandi in linguaggio naturale che è anche comparso in TV come concorrente del popolare quiz Jeopardy!, sconfiggendo i più forti avversari umani.
Dal 2012, come detto, è infine giunta alla guida della società che l’ha vista crescere per trent’anni.
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3. Indra Nooyi
Abbiamo mostrato in apertura, dati alla mano, come sia difficile per una donna emergere nel mondo degli affari soprattutto negli Stati Uniti. Immaginatevi quanto sia complesso se questa donna, oltre ad essere appunto una donna, è anche un’immigrata.

È questo il caso ad esempio di Indra Nooyi, nata in India, nella popolosa Chennai, nel 1955 anche se da anni naturalizzata americana.
Dopo una laurea in fisica, matematica e chimica e una specializzazione in management conseguite nella sua madrepatria, si sposta poi negli Stati Uniti assieme al marito per studiare a Yale, da dove esce nel 1980.
CEO di Pepsi
Dopo aver cambiato varie aziende, nel 1994 approda alla Pepsi, divenendone direttore finanziario nel 2001: in questa fase riesce a ristrutturare l’azienda, cedendo marchi improduttivi ed acquisendone invece di nuovi.
Il suo lavoro viene così apprezzato, anche grazie a dati che parlano di introiti aumentati del 72%, che nel 2007 arriva alla carica di amministratore delegato, il quinto della storia dell’azienda e ovviamente il primo di sesso femminile.
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4. Ursula Burns
La nostra classifica delle sfide alla discriminazione non si ferma certo con l’indiana Indra Nooyi, ma trova ulteriori elementi d’analisi con Ursula Burns, la prima afroamericana a dirigere un’azienda tra le 500 più importanti secondo Fortune (e la prima donna a succedere in quella carica ad un’altra donna a questi livelli).
Nata a New York nel 1958, figlia di una ragazza madre tra l’altro immigrata dal Panama – in una storia che ricorda vagamente quella dell’attuale presidente Barack Obama -, la Burns, senza mai lasciare la sua città natale, si è laureata in Ingegneria meccanica al Politecnico della New York University e specializzata nella stessa materia alla Columbia University.
Nel 1980 è entrata quindi alla Xerox, prima con uno stage e poi in pianta stabile, lavorando allo sviluppo di nuovi prodotti.
CEO di Xerox
Negli anni ’90 la sua carriera ha virato improvvisamente. Scelta infatti come assistente di vari executive e forte dei successi ottenuti, nel 1999 è diventata vicepresidente del settore manifatturiero.
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Da lì ha iniziato a collaborare a stretto contatto con Anne Mulcahy, che l’ha preceduta sulla poltrona di amministratore delegato, poltrona che le lasciato nel 2009. Tra l’altro, tutta la carriera in Xerox è coronata anche dal matrimonio col collega Loyd Bean, conosciuto proprio negli uffici dell’azienda di stampanti e fotocopiatrici.
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5. Mary Barra
Concludiamo la nostra cinquina con la donna della settimana, la già citata Mary Barra, che tra circa un mese prenderà in mano le redini della General Motors.
L’azienda ha una grande storia ed è di grande importanza per l’economia americana, anche se negli ultimi anni ha fatto dei decisi passi indietro, tant’è vero che ha avuto bisogno dell’intervento del governo di Obama, che solo nelle ultime settimane ha venduto le sue quote.
Nata nel 1961 in Michigan, non lontano da Detroit, da immigrati finlandesi (il suo nome da ragazza è Mary Teresa Makela, mentre Barra è il cognome del marito), la manager si è formata completamente all’interno della General Motors, azienda alla quale è legata da tutta la vita visto che il padre ha lavorato per 39 anni nella controllata Pontiac.
Come è arrivata ad essere CEO di General Motors
Laureata in Ingegneria elettronica al General Motors Institute, ha poi ottenuto, sempre su sponsorizzazione della società di Detroit, un master in business administration a Stanford.
La sua carriera ha ricevuto una spinta anche dalla recente crisi del settore, che ha fatto fuori i vecchi manager e spinto l’azienda a cercarne di nuovi. Così sul finire del decennio scorso si è occupata prima del settore manifatturiero e poi di quello del design, arrivando fino alla recente nomina.