Cinque recenti film drammatici da vedere assolutamente

Una scena di Whiplash, uno dei film drammatici più sconvolgenti degli ultimi anni

Ecco i cinque film drammatici e recenti che secondo noi sono assolutamente da vedere: vota il tuo preferito e poi leggi l'articolo per saperne di più.

 
Uno dei grandi poteri del cinema è quello di saperci stimolare emozioni forti. Il coinvolgimento emotivo di una sala buia è qualcosa che tutti gli altri mezzi espressivi non a caso invidiano ai film: perché nessun altro medium riesce a “sparare” in faccia al suo fruitore suoni e immagini in maniera così coinvolgente. È anche per questo motivo che una pellicola vista al cinema ha su di noi un impatto notevolmente più forte di un film guardato in TV.

I nostri sentimenti più profondi

Questo è tanto più vero per i film drammatici, che fanno proprio leva sui nostri sentimenti più profondi. Commozione, disgusto, rabbia, indignazione, speranza, sollievo, tristezza: sono il campionario di leve che pellicole di questo genere possono andare a toccare, mescolandole tra loro. Certo, non tutti i film drammatici sono buoni, non tutti riescono bene nell’impresa. A volte eccedono, diventando melodrammatici o patetici, e l’effetto si disperde.

In alcuni casi, però, l’alchimia funziona, e nascono dei piccoli capolavori. Se state leggendo queste righe, d’altra parte, probabilmente di film di questo genere ne avete già trovati, e ora ne vorreste altri. Per questo motivo ne abbiamo selezionati cinque, tutti molto belli e tutti molto recenti, usciti negli anni ’10 del Duemila. Nessuno di questi è particolarmente famoso, ma sono cinque piccole gemme, assolutamente da vedere.

 

La donna che canta

Alla ricerca delle proprie radici tra i segreti del Medio Oriente

Un film drammatico deve, prima di tutto, saper colpire al cuore. E tutto si può dire de La donna che canta, tranne che non lasci un peso sull’animo tale quasi da togliere il respiro. Diretto dal regista canadese Denis Villeneuve e tratto da una pièce teatrale di Wajdi Mouawad, il film infatti affronta il duro tema delle guerre civili, declinandolo però in chiave familiare.

I gemelli Jeanne e Simon, normali giovani canadesi, vengono sorpresi dalla morte della loro madre, Nawal Marwan. Ma a sorprenderli maggiormente è il testamento. Lì la defunta confessa loro sia che il padre non è morto in guerra, come aveva sempre raccontato, sia che hanno un fratello. Entrambi si dovrebbero trovare in Medio Oriente, da dove Nawal è scappata in gioventù. Quello che la dipartita chiede ai due figli è di andare a ritrovare i due uomini e consegnare loro altrettante lettere.

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Tra violenze e attentati

La ricerca si rivela più difficile del previsto. La madre ha infatti un passato burrascoso, di cui non aveva mai fatto parola coi figli. Cristiana e innamorata di un non cristiano, fu cacciata di casa e il figlio che aveva partorito le fu tolto, tanto che fu costretta ad emigrare. Tornata in Libano, si unì a un gruppo di guerriglieri, commettendo anche un omicidio importante e finendo in carcere per 15 anni. Qui, violentata, diede alla luce i due gemelli. Ma la ricerca di Jeanne e Simon riserverà ancora molte sorprese.

Il film è stato presenta a Venezia nel 2010 e si è guadagnato una nomination agli Oscar come miglior pellicola straniera. Acclamato (giustamente) dalla critica, presenta un cast ben assortito, anche se senza nomi di particolare fama. Brava in particolare l’attrice che interpreta Nawal, la belga – ma di origine marocchina – Lubna Azabal.

 

Una separazione

Il film iraniano che ha sconvolto l’Occidente

Il contesto è familiare anche all’interno di Una separazione, e il contorno è ancora il Medio Oriente. Diverso però è il clima che si respira nel bel film di Asghar Farhadi uscito nel 2011, vincitore dell’Orso d’Argento a Berlino e del Premio Oscar per il miglior film straniero. E, si badi bene, questi premi non sono per nulla banali, visto che la pellicola è iraniana e non è certo facile per un cineasta di quel paese imporsi in Occidente.

Ma Una separazione è un film talmente quotidiano e allo stesso tempo drammatico da apparire, fin dalle prime inquadrature, estremamente reale. La storia è quella di Nader e Simin, una coppia borghese di Teheran che sta affrontando una causa di separazione. Simin vorrebbe infatti portare la figlia fuori dal paese, per farla crescere all’estero, ma Nader si oppone, soprattutto perché deve badare al padre malato di Alzheimer.


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La religiosa ragazza incinta

Su questa situazione già di per sé gravosa si aggiunge la questione di Razieh. Nader, infatti, dopo che la moglie l’ha lasciato si vede costretto ad assumere una badante per accudire il padre mentre è al lavoro. La ragazza, però, è estremamente religiosa e incinta, e si rivela subito inadeguata al compito. Rientrando presto, Nader finisce così per trovare il padre legato al letto. Si infuria con Razieh, che nella colluttazione finisce per perdere il bambino.

Ne nasce un’altra causa in tribunale, che può trasformarsi per Nader in un’accusa di omicidio. Problemi familiari, distinzione di classe, intolleranze religiose si accumulano sul processo, trascinandolo. C’è qualche colpo di scena, ma i colpi di scena importano poco. Quel che conta è l’angoscia di una situazione normale ma allo stesso tempo estremamente drammatica nell’Iran (e non solo nell’Iran) di oggi.

 

Il sospetto

Un’accusa di pedofilia nella placida Danimarca

L’avrete visto di sicuro nella serie TV Hannibal o in alcuni dei film in cui ha fatto da villain del protagonista, come Casino Royale. Ma il danese Mads Mikkelsen è un attore che sa anche interpretare parti emotivamente molto forti. Come quella di Lucas in Il sospetto, film del 2012 che gli ha permesso di vincere il premio per la miglior interpretazione a Cannes.

La storia è quella di un uomo di mezza età, appunto Lucas, che lavora come educatore in un asilo. Per una serie di sfortunati eventi, la piccola figlia del suo migliore amico, che frequenta proprio quella scuola, lo accusa indirettamente di stupro, anche se Lucas è perfettamente innocente. La comunità comincia quindi a sospettare di lui, ritenendolo un pedofilo ed isolandolo.

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Quando le cose non possono tornare realmente a posto

La sua vita – già complicata per via del divorzio dalla moglie e della lontananza del figlio – va letteralmente a rotoli. E anche quando la verità finalmente emerge, non tutto sembra tornare alla normalità, soprattutto per via delle violenze subite da lui e dal figlio.

Nominato agli Oscar e vincitore di decine di premi in tutto il mondo, il film è scritto e diretto da Thomas Vinterberg, che si è avvalso anche dell’aiuto dello sceneggiatore Tobias Lindholm. Vinterberg è uno dei fondatori del progetto Dogma 95, autore di quel Festen – anch’esso un film da vedere – che fece scalpore a fine anni ’90 e che trattava sempre di molestie.

 

Whiplash

Il dramma del giovane batterista jazz

I drammi, nella vita, possono essere tanti. Un po’ ne abbiamo visti: accuse ingiuste, violenze subite, sfortuna. A volte però i drammi ce li andiamo a cercare noi stessi. Ci tuffiamo all’interno di essi, spinti da una forza oscura. E quasi mai, una volta che siamo precipitati in questo vortice, riusciamo a uscirne. Questa è anche la situazione del protagonista di Whiplash, Andrew. Un ragazzo che sogna di diventare un grande batterista ma che finisce in un abisso di umiliazione e sangue provocato dal suo maestro, Terence Fletcher.

Fletcher ha infatti un metodo d’insegnamento che definire “vecchio stile” è un eufemismo. Urla continuamente contro i suoi allievi, richiedendo sempre la massima perfezione. Schiaffeggia, umilia, mette volutamente in difficoltà e crea inutili rivalità. Tutto questo mette a dura prova i nervi di Andrew, che pure riesce a partecipare a qualche esibizione con l’orchestra di Fletcher e ad uscirne relativamente bene. Almeno fino a un certo punto.


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La denuncia

Il giovane batterista arriverà infatti a una situazione di non ritorno, denunciando il maestro e causandone il licenziamento. Metterà da parte anche le sue ambizioni, anche se solo fino a un certo momento, visto che un nuovo incontro con Fletcher lo porterà di nuovo dietro ai tamburi e ai piatti. Ma le sorprese, nel film, sono molte.

Magistralmente interpretato dal giovane Miles Teller e dal veterano J.K. Simmons, il film ha vinto tre Oscar – cosa rara, in una pellicola senza grandi star – e ha fruttato proprio a Simmons riconoscimenti in tutto il mondo. A scrivere e dirigere il tutto è stato il giovane Damien Chazelle, alla sua seconda prova dietro alla macchina da presa, che si è basato su un suo cortometraggio drammatico realizzato nel 2013.

 

Room

Quando il film è ispirato ai fatti di cronaca

Come abbiamo mostrato, i film drammatici da vedere sono sempre molti, e spesso molto belli. Ma a volte la vita vera sa essere più drammatica e sorprendente della finzione. Due vicende tra loro abbastanza simili, entrambe verificatesi in Austria, hanno ad esempio scosso l’opinione pubblica negli ultimi anni. Si tratta dei casi Fritzl e Kampusch. O, per rinfrescarvi la memoria, quelli in cui un uomo rapisce una ragazza e la tiene segregata per anni, abusando di lei.

Il primo di questi due casi è forse il più drammatico ed è quello che ha ispirato il film Room, uscito nel 2015 e premiato con l’Oscar alla sua protagonista, Brie Larson. Il film racconta infatti la vita di Joy e Jack, madre e figlio che vivono isolati in una stanza chiusa. Jack – interpretato dal bravo Jacob Tremblay – ha appena cinque anni e non è mai uscito da quella stanza. Suo padre è infatti il rapitore di Joy, “Old Nick”, che lì li tiene segregati.

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Il mondo fuori

Il piccolo viene cresciuto credendo che al di fuori dei quattro muri non ci sia nulla, e che la televisione sia una scatola magica capace di creare immagini di un mondo fittizio. Per questo diventa difficile per Joy cercare di spiegargli la verità quando capisce che c’è un modo per uscire, per evadere. I due, non senza difficoltà, elaborano un piano che alla fine effettivamente riesce e vengono salvati dalla polizia.

Il ritorno alla vita normale, però, non è per niente facile. Jack non riesce ad abituarsi al nuovo mondo che neppure sospettava esistesse e Joy, da parte sua, pare non riuscire a superare i traumi patiti in sette anni di prigionia. Tra difficoltà, cadute e riprese, il film ci mostra con sguardo lucido quindi la realtà di un dramma che, purtroppo, non è inventato.

 

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