
Una delle serie di romanzi (e, recentemente, di film) di maggior successo degli ultimi anni è quella dedicata agli Hunger Games, scritta da Suzanne Collins e pensata in un primo momento per ragazzi ma che, grazie al sapiente uso della tensione, ha saputo conquistare anche molti adulti.
All’interno della storia, come probabilmente ben saprete, le scene di azione si alternano a situazioni di fantapolitica che ai lettori più esperti avranno richiamato alla mente alcuni classici della letteratura del ‘900 che, soprattutto nel primo e nel secondo Dopoguerra, ipotizzavano futuri drammatici e totalitari.
Fantapolitica, ucronia…
Nel panorama del genere fantascientifico, in cui il romanzo tipico prevedeva viaggi interstellari e uso di tecnologie avanzatissime, la fantapolitica ha quindi rappresentato una singolarità, soprattutto perché chi si dedicava a questo tipo di libri spesso non aveva un background né da scrittore né da appassionato di fantascienza, amando più la politica che la galassia, la storia passata più che le prospettive future.
Un genere, d’altro canto, che nel tempo ha assunto vari nomi ed etichette: prima lo si chiamava semplicemente fantapolitica; poi si è iniziato ad usare il termine ucronia, che però si riferisce nello specifico a quei romanzi che immaginano futuri alternativi, in cui qualcosa non è andato come doveva andare.
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Infine, ed è questo il termine che utilizzeremo anche noi oggi, si è imposta più di recente la parola distopia, termine creato nell’Ottocento dal filosofo britannico John Stuart Mill. Il suo intento era quello di trovare una parola che potesse indicare il contrario dell’utopia, cioè un mondo immaginario dove però tutto va male.
L’intento era però lo stesso che, più di trecento anni prima, aveva portato Tommaso Moro a inventare quello di utopia: mostrare un mondo immaginario che fornisse un esempio per cambiare quello reale. E allora vediamo insieme cinque romanzi fondamentali della letteratura distopica.
Indice
Il mondo nuovo
Il dominio del fordismo immaginato da Aldous Huxley
Nonostante ci fossero già stati, nei primi decenni del Novecento, alcuni importanti romanzi che oggi potrebbero essere definiti distopici – primo fra tutti Il tallone di ferro di Jack London, ma anche Noi del russo Zamjatin – il vero libro che ha portato il genere al successo è stato Il mondo nuovo, pubblicato da Aldous Huxley nel 1932.
Ambientato nel 2540 – o nel 632 anno di Ford, dove con Ford si intende evidentemente Henry Ford, padre della catena di montaggio e dell’omonima industria automobilistica – racconta con sguardo distaccato ma non privo di tristezza quella che Huxley immaginava essere la futura evoluzione della società, un’evoluzione in cui la tecnologia aveva messo le mani sulla riproduzione, sulla manipolazione psicologia, perfino sul sonno, finendo per condizionare tutta la vita dei cittadini.
Una guerra disastrosa
In quel 1932, prima che il nazismo prendesse il potere in Germania e iniziasse a minacciare tutta l’Europa, Huxley immaginava che negli anni ’40 sarebbe scoppiata una guerra disastrosa della durata di nove anni che avrebbe riplasmato il mondo, riunendolo in un unico Stato controllato dai Coordinatori Mondiali.
Sarebbe quindi sorta un’epoca in cui tutto – perfino appunto la riproduzione umana – sarebbe stato dominato dalla produzione in serie e addirittura il crocifisso sarebbe stato sostituito dalla lettera T, simbolo della Ford modello T che appunto diede il via all’applicazione massiccia di quello che anche oggi è chiamato fordismo, cioè dei principi dell’industria novecentesca.
Circa venticinque anni più tardi, nel 1958, Huxley ritornò poi sull’argomento pubblicando Ritorno al mondo nuovo, che nell’edizione Oscar Mondadori è pubblicato in coda al primo ma che è in realtà un saggio in cui l’autore analizzava le sue previsioni alla luce degli anni trascorsi e di ciò che era intanto realmente accaduto nel mondo.
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1984
Il capolavoro profetico di George Orwell
Forse il più celebre libro del suo genere e più in generale uno dei più famosi romanzi del Novecento, 1984 di George Orwell ha ormai assunto un ruolo molto più ampio, e a tratti discutibile, di quanto non fosse nelle intenzioni del suo autore.
Reduce della Guerra di Spagna, prima anarchico, poi socialista, poi anticomunista di sinistra, Orwell aveva d’altronde molte cose da raccontare, e in parte aveva cominciato a farlo già nel 1947 con La fattoria degli animali, che non era un racconto distopico ma poco ci mancava, visto che era comunque un’allegoria dello stalinismo.
La fama di 1948, come detto, è legata a più fattori. Da un lato c’è la capacità di Orwell di immaginare una nuova forma di totalitarismo, non più basato sulla coercizione fisica ma piuttosto su quella psicologica, sull’annientamento della diversità di pensiero e sulla spinta verso l’uniformità considerata unica vera forma di pace.
Le frasi rimaste nella storia
Dall’altro, l’uso di motti e frasi che non solo manifestavano una profondità d’analisi non indifferente sui problemi della società post-bellica, ma anche una capacità profetica addirittura inquietante. Basti pensare a «Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato», oppure a «La menzogna diventa realtà e passa alla storia».
Oppure ancora a «Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza sono la stessa cosa», fino al celebre «La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza».
Infine, è famoso soprattutto per la figura del Grande Fratello (in inglese Big Brother, la cui traduzione più esatta sarebbe stata Fratello Maggiore), personaggio che controlla chi non si ritiene sia in grado di controllarsi da solo, ma che negli ultimi è diventato celebre in un modo che non avrebbe fatto certo piacere a Orwell, cioè tramite il noto reality show che anzi si compiace di una vita influenzata e controllata sempre più dalla televisione.
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Fahrenheit 451
Cosa succede secondo Ray Bradbury quando si vietano i libri
La triade dei mostri sacri del genere si chiude nel 1953, con la pubblicazione negli Stati Uniti – addirittura sui numeri 2, 3 e 4 della nuova rivista Playboy – di Fahrenheit 451, romanzo di Ray Bradbury, l’unico vero scrittore di fantascienza, assieme a Philip K. Dick, di questa nostra cinquina.
Anche qui l’eco della Seconda guerra mondiale appena finita era pesantissima, visto che probabilmente proprio dall’immagine del rogo dei libri organizzato dai nazisti contro la letteratura giudicata “corrotta” nasce l’idea di fondo del romanzo, certo mescolata ai venti repressivi che spiravano anche in America nel pieno del maccartismo.
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Il titolo fa riferimento alla presunta temperatura di combustione della carta (presunta perché in realtà tale temperatura varia anche parecchio a seconda dello spessore della carta stessa) e proprio il divieto di lettura è la caratteristica fondamentale del mondo futuribile immaginato da Bradbury, in cui i cittadini sono chiamati ad istruirsi e formarsi solo tramite la televisione, che esercita ovviamente una forma di controllo su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Il milite del fuoco
Il protagonista del libro, il milite del fuoco Guy Montag, pian piano prende consapevolezza della realtà falsata in cui si trova a vivere e invece di bruciare i libri comincia a leggerli e nasconderli, almeno fino a quando la delazione non lo mette con le spalle al muro e non lo costringe alla fuga tra i reietti, dove la memoria storica della letteratura passata ancora sopravvive.
Il nemico, sembra dire Bradbury in un’epoca in cui la paranoia anticomunista negli Stati Uniti era a livelli altissimi, non è tanto quello esterno ma il nostro stesso governo, che vuole portarci a vivere in un mondo in cui la libertà di leggere ciò che si vuole diviene qualcosa di pericoloso e di conseguenza un reato. Dal romanzo è stato tratto, negli anni Sessanta, pure un bel film omonimo diretto da François Truffaut.
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La svastica sul sole
Philip K. Dick e il mondo in mano alle forze dell’Asse
Apriamo ora, in chiusura della nostra cinquina, l’importante capitolo dell’ucronia, sviluppato in particolare negli ultimi decenni spesso in chiave gialla e thriller (un altro esempio famoso in questo senso è Fatherland di Robert Harris).
Il primo ad aver usato questa tecnica in maniera chiara fu probabilmente Philip K. Dick, autore tra i più importanti della fantascienza del dopoguerra grazie a romanzi come Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e Un oscuro scrutare e racconti come Rapporto di minoranza e Ricordiamo per voi.
Nel 1962, quand’era ancora tutto sommato agli inizi della propria carriera, pubblicò infatti La svastica sul sole, unico suo libro capace di conquistare un riconoscimento importante (il prestigioso Premio Hugo, mentre per il resto il suo lavoro fu quasi sempre ignorato, salvo poi essere rivalutato dopo la morte) in cui immaginava come sarebbe stato il mondo se la Seconda guerra mondiale l’avessero vinta i nazisti.
Roosevelt morto
Ambientato sempre nel 1962 ma in un mondo in cui Roosevelt era stato assassinato addirittura nel ’33 – durante un attentato che effettivamente subì poco prima di entrare in carica come presidente, ad opera dell’immigrato italiano Giuseppe Zangara – vedeva il mondo diviso in tre sfere di influenza, quella tedesca, quella giapponese e quella italiana, con gli Stati Uniti divisi in tre settori, quello centrale indipendente ma di scarso peso, quello dell’est controllato dai nazisti e quello dell’ovest dai nipponici.
All’interno di questo quadro, le vicende di alcuni personaggi si intrecciavano tra loro in una sorta di spy-story in cui non mancavano anche paradossi come la figura dello scrittore Hawthorne Abendsen, famoso per aver scritto un romanzo ucronico in cui immaginava come si sarebbe sviluppato il mondo se Hitler avesse perso la guerra.
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Il complotto contro l’America
Philip Roth e la vittoria elettorale di Lindbergh
Concludiamo il nostro viaggio nella distopia con un romanzo piuttosto recente, Il complotto contro l’America, pubblicato da Philip Roth nel 2004.
Anche in questo caso il punto di partenza è lo stesso che era stato pensato da Dick una quarantina d’anni prima: cosa sarebbe successo se l’America non si fosse opposta ai nazisti? Diverso però è il modo in cui si arriva a una situazione del genere e di conseguenza anche il dipanarsi della storia raccontata.
Se nel romanzo di Dick tutto prendeva avvio da un attentato riuscito ai danni di Roosevelt, qui il motore è rappresentato sempre dal grande presidente americano, che però non muore ma viene invece battuto alle elezioni presidenziali del 1940 – quando gli Stati Uniti non erano ancora entrati nel conflitto e si dividevano tra interventisti e isolazionisti – nientemeno che da Charles Lindbergh, il celebre aviatore.
Un’America filonazista
Ricollegandosi all’attività che proprio attorno al 1940 il vero Lindbergh svolse a favore dell’isolazionismo – era stato più volte in Germania e decorato dallo stesso Hitler, non nascondendo simpatie per il regime nazista né antipatie per gli ebrei – Roth costruisce però un romanzo profondamente personale, immaginando come si sarebbe sviluppata la sua vita di ragazzo ebreo in un’America che non fosse intervenuta in guerra e si fosse avvicinata ideologicamente alla Germania nazista.
Nel governo messo in piedi da Lindbergh, infatti, tutte le principali cariche sarebbero state occupate secondo Roth da antisemiti (con pure il già citato Henry Ford agli interni) e in breve gli Stati Uniti avrebbero firmato patti di non aggressione con la Germania e il Giappone, iniziando nel contempo a perseguitare gli ebrei.
Una successiva scomparsa di Lindbergh col suo aereo avrebbe dato poi nuova spinta alla propaganda antisemita che avrebbe tirato in ballo un complotto degli ebrei, responsabili della scomparsa del presidente e, anni prima, del rapimento e dell’uccisione di suo figlio (avvenuta realmente nel 1932, ma probabilmente ad opera di immigrati tedeschi non ebrei).
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Non vedo il più fondamentale “La scuola dei dittatori” di Ignazio Silone…
Negli elenchi di libri Dispotici ne manca sempre uno, che invece dovrebbe sempre essere presente: mi riferisco a NOI, di Evgenij Zamjatin, pubblicato in Italia da Feltrinelli. Romanzo del 1921, anticipa 1948 e Mondo Nuovo. Uno Stato Unico ha stabilito un sistema «matematicamente perfetto», dove i pochi superstiti in case di vetro, in cui manca ogni intimità; provati del proprio nome, sostituito da una sigla alfa-numerica, il sistema stabilisce e impone i compiti di ognuno. Come in 1948 il modello è la dittatura Sovietica, che Zamjatin sperimentò di persona, costretto all’esilio a Parigi fino alla morte.