
Spesso la nostra politica e i nostri giornali si concentrano sui problemi quotidiani che ci troviamo ad affrontare. L’aumento di una certa tassa, la polemica su un ministro, le dichiarazioni di un assessore. Poco spazio è riservato a problemi che per il momento sono sentiti come distanti perché non hanno conseguenze immediate, ma che a ben guardarli hanno un peso decisamente maggiore. Uno di questi è la sovrappopolazione che, insieme all’inquinamento, è il vero grosso problema del nostro tempo.
Il secolo del boom
Siamo in tanti, su questo pianeta. Ma il problema non è neppure questo, in realtà: è che continuiamo a crescere. Il ‘900 è stato il secolo di un boom demografico planetario, favorito dal miglioramento delle condizioni di vita, dall’arrivo delle medicine, da un più diffuso benessere economico. Ci si lamenta tanto del nostro tempo, ma mai come in quest’epoca gli uomini del pianeta Terra sono stati bene (chi più, chi meno). Il che, in realtà, rappresenta un problema, perché presto comincerà a non esserci spazio per tutti.
Non stiamo parlando di politiche di immigrazione o emigrazione, ma di un problema molto più elementare. Ci sarà da mangiare per tutti? Ci sarà, fisicamente, spazio per tutti? Ci sarà lavoro per tutti? Ci sarà aria salubre per tutti? Sono quesiti a cui la politica ha cercato negli ultimi tempi di rispondere, sollecitata dalla scienza e da una situazione preoccupante. Per capirci meglio qualcosa, però, bisogna guardare i dati e le statistiche. Ecco quelli che ci sembrano più significativi.
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Indice
Quanti eravamo
Dai 2 miliardi di 100 anni fa ad oggi
Non serve andare indietro fino al Medioevo per trovare dati significativi riguardo alla crescita demografica. Basta affacciarsi all’età dei nostri nonni. Nel 1927, quindi meno di 100 anni fa, la popolazione mondiale ammontava a 2 miliardi di abitanti. Meno di un terzo del valore attuale.
È stato soprattutto il secondo dopoguerra – con un prolungato periodo di pace in buona parte del mondo – a favorire l’incremento. Nel 1960, cioè poco più di 50 anni fa, la popolazione mondiale si attestava appena sui 3 miliardi di abitanti, mostrando un aumento significativo rispetto a 23 anni prima ma non ancora preoccupante.
Una crescita che rallenta?
Proprio nella seconda metà degli anni ’60 si è registrato il picco assoluto per quanto riguarda il tasso di crescita annuale, che è arrivato addirittura a superare, a livello globale, il 2%. Poi, pian piano, questo tasso è sceso gradualmente e adesso è stimato al di sotto dell’1%. Il che equivale a dire che la popolazione cresce ancora, ma con un ritmo molto meno intenso di trenta o quarant’anni fa. Anche se questi valori sono da considerare in percentuale: un tasso del 2% su 4 miliardi di persone vuol dire +80 milioni annui, ma un tasso dell’1 su 7 miliardi vuol dire comunque un +70 milioni.
Quanti siamo e quanti saremo
I 9 miliardi non sono poi così lontani
E oggi, quanti siamo, precisamente? Le Nazioni Unite nel marzo del 2016 hanno stimato la popolazione mondiale attorno ai 7,4 miliardi di persone, una cifra veramente impressionante. Cina e India dominano la classifica, entrambe con un miliardo e trecento milioni di abitanti. Poi, più dietro, vengono gli Stati Uniti con 324 milioni, l’Indonesia con 260 milioni, il Brasile, il Pakistan, la Nigeria, il Bangladesh, la Russia e il Messico.
Se già l’oggi è impressionante, cosa ci riserva il domani? È la domanda che si pongono tutte le più importanti organizzazioni internazionali, e alcune hanno provato anche a dare una risposta. Se la cifra dei 7 miliardi è stata superata appena qualche anno fa, nel 2011, le stime dicono che già nel 2024 dovremmo raggiungere quota 8 miliardi e arrivare ai 9 addirittura nel 2040.
Le varie stime dell’ONU
In realtà dare cifre esageratamente precise non è semplice, e infatti anche l’ONU presenta stime al ribasso o al rialzo. Quelli che abbiamo presentato sono i valori medi, ma ci sono anche scenari che dicono che dopo il raggiungimento dei 9 miliardi di abitanti la popolazione comincerà a decrescere, mentre altri, più pessimisti, che parlano di una crescita iperbolica che arriverà sopra ai 15 miliardi di abitanti entro il 2100.
Le differenze, continente per continente
Quali sono gli stati che stanno crescendo di più
Entriamo ora nel dettaglio della questione analizzando le differenze continente per continente. Perché non tutte le parti del mondo crescono con lo stesso ritmo. Ad esempio bisogna sapere che sono Asia e Africa a presentare i tassi di crescita più impressionanti. Secondo le stime dell’ONU, il paese che vede aumentare la sua popolazione più in fretta è attualmente l’Oman, appena 4 milioni e mezzo di abitanti nella penisola araba ma con quasi l’8,5% di crescita. Sempre in Asia sono il secondo, terzo e quarto in classifica, cioè Libano, Kuwait e Qatar.
Poi ci si sposta in Africa, con il Sud Sudan, il Niger, il Burundi e il Ciad, che si piazzano sempre tra i primi dieci nella classifica generale. Il primo paese europeo in questa graduatoria è il Lussemburgo, al cinquantaseiesimo posto, seguito poi dalla Norvegia al centonovesimo posto. L’Italia è molto più indietro, con un tasso di crescita prossimo allo 0 (0,07%, per la precisione).
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Il tasso di fecondità
Tra Africa, Asia ed Europa
È chiaro che la crescita demografica è legata a vari fattori, ma due in particolare sono decisivi. Il numero e l’età dei decessi e il numero delle nascite. Quindi è importante tenere d’occhio il tasso di fecondità, cioè il numero medio di figli per donna. In linea generale, questo valore è decresciuto con costanza negli ultimi 70 anni. Basti pensare che nel quinquennio 1950-1955 il tasso calcolato dall’ONU si attestava sui 4,95 figli per donna, mentre oggi siamo a quota 2,36 a livello globale, cioè meno della metà.
Differenze anche molto pronunciate si riscontrano, però, quando si guardano le realtà stato per stato. Com’è risaputo, il tasso sale dove ci sono redditi pro capite più bassi, e scende invece quando sale il reddito. Ed è un esito per certi versi paradossale (quando non si hanno i soldi per mantenerli si fanno molti figli, mentre quando il denaro c’è se ne fanno pochi), anche se ben comprensibile considerati i costumi, le usanze, il lavoro e tanti altri fattori che influenzano le scelte familiari.
La fecondità del Niger
Il paese col tasso di fecondità più alto è attualmente il Niger, con 6,62 figli per donna. Dietro vengono molte nazioni africane: Burundi, Mali, Somalia, Uganda, Burkina Faso, Zambia, Malawi, Angola. Il primo tra gli stati asiatici è l’Afghanistan, a quota 5,22. Tra i paesi più ricchi il primo è Israele, con 2,66 figli per donna, mentre l’India e la Cina, i due stati più popolosi, si attestano a quota 2,45 e 1,60.
1,60 è anche il valore medio dell’Unione Europea, all’interno della quale il primo paese è la Francia con 2,07 figli per donna, seguita dall’Irlanda a 1,98 e dal Regno Unito a 1,89. Subito dopo si posizionano la Svezia a 1,88, il Belgio e i Paesi Bassi a 1,78 e la Finlandia a 1,75. Ultimo stato della UE è la Romania, a quota 1,34.
La situazione italiana
Una popolazione anziana ma ancora in lieve crescita
E l’Italia, in tutto questo, come è messa? Quali sono le sue statistiche più significative? Intanto facciamo chiarezza sul numero di abitanti. Sono al momento 60.665.551 gli abitanti del nostro stato, cifra che ci pone al ventitreesimo posto nella graduatoria mondiale e al quarto nell’Unione Europea (dopo Germania, Francia e Regno Unito).
La particolarità più evidente quando si guardano i dati è però l’anzianità della popolazione italiana. L’indice di vecchiaia, un valore che mostra il peso degli anziani rispetto ai giovani, è pari addirittura a 144,5, segno cioè che gli over 65 sono notevolmente più numerosi degli under 14. D’altronde la speranza di vita è una delle più alte del mondo, pari a 79,1 anni per gli uomini e 84,3 per le donne.
La svolta del 1992
Per quanto riguarda la crescita nel tempo, questa è stata lenta ma costante in tutto il dopoguerra. Fino al 1992 (e qua e là anche dopo) il saldo tra morti e nascite è stato attivo, ma negli ultimi 25 anni la tendenza si è invertita, col numero delle morti che supera quello delle nascite. A equilibrare le cose, e a mantenere in crescita il numero degli abitanti totali, sono stati perlopiù gli immigrati.
Infine, tutte le principali città italiane hanno toccato il loro picco di popolazione attorno al 1970. Da allora il numero di residenti è sceso, a volte in maniera netta, a volte in maniera più tenue. A Milano ad esempio si è passati da 1.724.000 abitanti del 1970 a 1.307.000 del 2010, mentre a Roma la decrescita è stata meno netta (da 2.800.000 a 2.744.000). Questo perché in alcune città – soprattutto quelle industriali del nord – l’evoluzione del sistema economico ha portato molti a trasferirsi nell’hinterland, fuori dai confini cittadini.