
Di pittori di talento, grazie al cielo, ce ne sono e ce ne sono stati tanti nel corso della storia. I nostri libri di storia dell’arte ne sono pieni e i nostri musei non hanno mai problemi a trovarne per allestire delle mostre interessanti. Solo alcuni di essi, però, al talento hanno saputo unire anche qualcosa di più. Un tocco di genialità, la capacità di rovesciare e rivoluzionare il proprio mondo artistico.
Pittori di questo tipo ne nascono pochi. Claude Monet, uno dei padri dell’Impressionismo, è stato uno di essi. Nato a Parigi nel 1840, ha iniziato a dipingere giovanissimo, dopo aver incontrato un discreto successo, ad appena 14 anni, come caricaturista. A Le Havre, dove crebbe, realizzò i primi quadri di paesaggio, rigorosamente en plein air, iniziando a studiare la luce con opere che, col senno di poi, risultano tremendamente profetiche.
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Quindi, attorno ai vent’anni, rientrò nella capitale e riuscì a conoscere i già affermati Eugène Delacroix, Gustave Courbet e Camille Pissarro. Nel giro di qualche anno cominciò a cercare una propria, nuova via al dipinto. Una via che gli permise di raccogliere attorno a sé un gruppo di altri giovani di belle speranze, come Édouard Manet e Pierre-Auguste Renoir. Ma fu solo un viaggio a Londra – effettuato nel 1870 per evitare la chiamata alle armi nella Guerra franco-prussiana – a dargli l’input decisivo, visto che lì poté studiare i capolavori di William Turner e John Constable.
Dal 1874, il capofila degli impressionisti
Nel 1874 nacque così una nuova scuola, che si presentò al pubblico tramite una mostra nello studio del celebre fotografo Nadar. Assieme a lui esposero Cézanne, Pissarro, Sisley, Degas, Morisot e Renoir, ma fu un quadro di Monet ad essere scelto per dare un nome al nuovo movimento. Un nome che voleva essere denigratorio, visto che la critica non accettò certo con favore quelle novità, ma che si è imposto nel tempo.
Monet continuò a dipingere a ritmi forsennati fino alla sua morte, avvenuta più di cinquant’anni più tardi. Rimase fedele fino alla fine ad alcune idee di fondo dell’Impressionismo, anche se se ne servì in maniera abbastanza libera, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, quando la sua attenzione si spostò su soggetti ritratti in maniera quasi ossessiva. Oggi è considerato uno dei più grandi maestri non solo dell’Ottocento, ma di tutta la storia dell’arte francese. Riscopriamo, quindi, cinque tra le sue opere più significative.
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Indice
Donne in giardino
Spostandosi all’aria aperta
«Bisogna amare in modo smisurato il proprio tempo per osare così tanto», scriveva il celebre scrittore – allora non ancora trentenne – Émile Zola nel 1867. E non stava parlando delle sue opere, che pure avrebbero avuto negli anni successivi un impatto devastante sulla letteratura francese ed europea, né degli impressionisti, che a quel tempo dovevano ancora portare la loro carica rivoluzionaria. Il suo resoconto, in questo caso specifico, si riferiva invece a Donne in giardino, quadro di Claude Monet che è considerato uno dei precursori più importanti della corrente.
Una tela di grande formato
Il dipinto, in effetti, aveva molto per sconvolgere. In primo luogo, si trattava di una tela di grande formato (circa 2 metri per 2 metri e mezzo) che per una volta non veniva usata per rappresentare un soggetto storico, ma delle fanciulle all’aperto. In secondo luogo, l’elemento centrale del dipinto era per la prima volta la luce. Dipingendo en plein air, un Monet appena ventiseienne aveva infatti cercato di rappresentare i raggi di sole che penetrano tra le fronde e scendono lungo i bianchi abiti delle dame. E lo aveva fatto con pennellate a vista che la commissione del Salon giudicò spregiudicate ed imperfette.
Non siamo ancora agli eccessi di pochi anni più tardi, ma poco ci manca. E non è un caso che la leggenda vuole che per meglio realizzare questa tela Monet avesse scavato una sorta di fossa in cui sistemare il cavalletto, in modo che il suo punto di vista sulla scena non mutasse mai, fosse sempre alla stessa altezza. Oggi il quadro è conservato al Museo d’Orsay di Parigi.
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Impressione, levar del sole
Il primo vero quadro impressionista
L’abbiamo messo anche come copertina di questo nostro articolo perché Impressione, levar del sole è non solo uno dei quadri più importanti dell’opera di Monet, ma il dipinto che ha dato il nome all’intera corrente. E rappresenta un’altra piccola rivoluzione. Se infatti Donne in giardino era un dipinto di grande formato, quest’altro è piuttosto piccolo, solo 48 centimetri di altezza per 63 di larghezza. Eppure, in uno spazio così contenuto, Monet riuscì a vibrare una serie di pennellate che hanno cambiato la storia della pittura.
Esposto per la prima volta nel 1874 nella già citata mostra presso Nadar, il quadro fu usato dal critico Louis Leroy per dare il nome all’intero movimento. Era però stato realizzato probabilmente due anni prima, a Le Havre, col tentativo di rappresentare la nebbia mattutina che offusca la vista sul porto. Si scorgono distintamente due barche, e poi sullo sfondo una serie di altri elementi più confusi, ma ciò che rimane impresso è il colore rosso del sole e quest’aria di indeterminatezza.
L’origine e il furto
Attorno a questo dipinto ad olio, forse anche per la sua importanza, circolano molte storie. In primo luogo, è stato messo in dubbio che fosse proprio questa tela quella presentata nel 1874, visto che in alcune descrizioni si parla di «alberature in primo piano». Può anche darsi, insomma, che Monet avesse presentato, allora, un’altra opera simile al quadro qui di fianco, anche se la tradizione ha scelto questa versione come quella più emblematica. Infine, nel 1985 il dipinto fu rubato – assieme ad altre opere di Monet e di Renoir – al Museo Marmottan; venne ritrovato solo cinque anni più tardi, prima che vi mettesse sopra le mani la Yakuza.
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I papaveri
Ad Argenteuil con moglie e figlio
Anche I papaveri fu esposto nel 1874 all’interno della prima mostra impressionista. E anche se la sua rappresentazione poteva risultare meno sconvolgente (i contorni erano relativamente definiti, il soggetto abbastanza chiaro), il quadro ha avuto altrettanta fortuna, tanto da essere oggi uno dei più famosi della produzione del pittore francese. Fu realizzato come al solito en plein air, nella natura circostante Argenteuil, città non molto distante da Parigi in cui Monet si era stabilito da quel tempo con la famiglia.
E proprio alla sua famiglia appartengono, probabilmente, le uniche figure umane. Nel quadro – anche questo relativamente minuto – domina infatti la natura, ma la tela è attraversata da una linea obliqua che unisce virtualmente quattro persone. Si tratta di due coppie di donna con bambino: quella in primo piano è composta sicuramente dalla moglie Camille e dal figlio Jean, ed è probabile che anche le due persone in lontananza siano sempre loro.
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Le persone sono però solo un elemento secondario. A dominare la scena sono da un lato il cielo, vibrante e luminoso, e sotto il campo di papaveri, composto da macchie di verde su cui si stagliano i segni rossi dei fiori. L’idea era quella, come al solito, di rappresentare le differenze cromatiche date dalla luce, ma anche l’inclinazione derivante dal vento. Il tutto in un’atmosfera di pace e serenità, tipica di vari quadri che Monet, in quella fase, dedicò al riposo e alle passeggiate.
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La passeggiata (Camille Monet con il figlio Jean sulla collina)
La prima moglie
Rimaniamo sul tema del riposo all’aria aperta con La passeggiata (Camille Monet con il figlio Jean sulla collina), quadro che a volte viene impropriamente riportato anche col titolo di Donna con parasole, confondendolo con un’altra opera simile dello stesso Monet. Il dipinto fu realizzato nel 1875 ed è oggi conservato alla National Gallery di Washington.
Il paesaggio è lo stesso del quadro precedente, la campagna di Argenteuil, e anche i protagonisti umani sono i medesimi. Il clima è sereno, anche se meno rilassato che non ne I papaveri: il cielo vagamente giallognolo e l’espressione triste di Camille sono stati letti come una sorta di presagio negativo. La moglie dell’artista, infatti, sarebbe morta pochi anni più tardi, trentaduenne, per un cancro.
Luci e macchie di colore
Il quadro, verticale e più grande degli ultimi che abbiamo visto, è uno dei più noti dell’artista. Potente è il gioco di luci, tanto da dare l’impressione quasi del calore della giornata e della necessità di proteggersi con un ombrellino. Le pennellate sono spontanee, a riprodurre anche i movimenti del vento, e il colore è come al solito disposto a macchie. Interessante anche la prospettiva dal basso, che conferisce profondità alla scena. Il dipinto fu probabilmente realizzato in un’unica seduta, in poche ore.
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Lo stagno delle ninfee
Uno dei temi ricorrenti
Com’è abbastanza noto, nell’ultima parte della sua vita Monet si dedicò a raffigurare le ninfee in decine e decine di quadri. Il soggetto era sempre lo stesso, ma a variare erano da un lato le angolazioni e le prospettive, e dall’altro, soprattutto, il momento della giornata in cui le piante venivano ritratte. L’intento – che Monet aveva esplorato anche in altre serie (I covoni, I pioppi, La Cattedrale di Rouen e così via) – era quello di studiare come la luce cambiasse i soggetti.
Questo dipinto in particolare – noto anche col sottotitolo di Armonia verde – fu ultimato nel 1899. Già dal 1883 Monet era andato ad abitare nel villaggio di Giverny, nell’Alta Normandia, e lì aveva realizzato un giardino in stile giapponese. Il fascino del gusto orientale per la natura, d’altronde, non aveva investito solo il padre dell’Impressionismo, ma andava molto di moda nella Francia del periodo, anche se sicuramente Monet seppe farlo proprio.
Nel giardino di Giverny
Il quadro si sofferma quindi sulle acque stagnanti e sulla rigogliosa vegetazione che vi cresceva dentro ed attorno, ma lascia spazio anche al ponticello di legno che in un certo senso taglia la tela. I colori sono ancora, più che altrove, delle macchie poco definite ma attraversate dalla luce. Il quadro è oggi conservato al Museo d’Orsay, anche se in passato è stato nelle collezioni sia del Louvre che della Galleria Nazionale del Jeu de Paume, sempre a Parigi.
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