Cinque straordinarie fiabe di Esopo

Esopo ritratto idealmente da Diego Velázquez

Da sempre la favola ha un posto di tutto rispetto nell’educazione dei bambini; per quanto i tempi cambino ed i mezzi di comunicazione si evolvano, la fiaba resta infatti il mezzo più immediato ed efficace per passare ai bambini una morale, una riflessione, un insegnamento anche diretto al loro stesso comportamento.

E per rendersene conto basta accendere la TV. E notare come, ancora oggi, le trame e gli stessi personaggi di molti cartoni animati che intrattengono i nostri figli siano ispirati alle creazioni letterarie di Esopo, Fedro, Charles Perrault, Jacob e Wilhelm Grimm, Hans Christian Andersen, Lev Tolstoj, Carlo Collodi, J.M. Barrie e, in tempi più recenti, Italo Calvino o Gianni Rodari.


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Il primo ad aver dato origine a tutto è stato però senza dubbio Esopo, un autore talmente pieno di fantasia e di talento da far sì che alcuni critici abbiano anche ipotizzato che non sia mai esistito, ma che la sua figura sia, come quella di Omero, una creazione con cui i greci abbiano voluto raccogliere sotto un unico nome la grande produzione favolistica antica.

Quest’ipotesi è però minoritaria, e i più continuano a pensare che Esopo fosse uno schiavo di origine africana che, liberato, abbia cominciato a viaggiare per la Grecia raccontando le sue storie. Quella teoria è però indicativa di quanto possa sembrare impossibile che un solo uomo sia stato capace di influenzare tutta la cultura Occidentale.

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Visto che ci sarebbe molto da scrivere e molto da dire, cominciamo a vedere quali sono le cinque fiabe più celebri e memorabili della produzione di Esopo. Rimandando ad altri approfondimenti futuri l’analisi della personalità e delle gesta, leggendarie o reali che siano, dello scrittore.

 

La volpe e l’uva

Denigrare quello che non si può ottenere

La volpe tenta di raggiungere l'uva in una antica illustrazioneLa Volpe e l’uva è una favola brevissima, che si può trascrivere praticamente in due righe, ma che però è sicuramente una delle più famose e studiate dell’intera cultura occidentale. Attribuita a Esopo ma ripresa poi da Fedro, Jean de la Fontaine e molti altri, recita infatti all’incirca così: «Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze».

Il senso della fiaba è di facile decifrazione. Quando non si riesce a raggiungere un obiettivo che ci si era posti, gli uomini tendono normalmente a inventare una scusa per denigrare l’irraggiungibile oggetto del loro desiderio, in modo da sminuire la portata della sconfitta. Ampiamente studiato in psicologia, il fenomeno va sotto il nome di “razionalizzazione”, secondo la formulazione che ne diede nel 1908 lo studioso britannico Ernest Jones. Il comportamento della volpe è infatti l’archetipico di chi tenta di giustificare con argomentazioni pretestuose un processo che il soggetto stesso ha trovato angoscioso.

In psicologia sociale, infine, la favola di Esopo è spesso stata citata anche per presentare il concetto di “dissonanza cognitiva” introdotto negli anni ’50 dall’americano Leon Festinger. Secondo quest’ultimo, la volpe si trova in un momento di dissonanza tra ciò che vorrebbe fare, cioè prendere l’uva, e la sua incapacità di farlo. Per questo risolve l’angosciosa situazione assumendo che l’uva sia acerba.

Piccola curiosità: la favola può essere letta anche in chiave sessuale, con la volpe che rappresenta un innamorato e l’uva la donna – o sarebbe meglio dire la ragazza – che lo rifiuta. Si è ipotizzato che forse proprio per scansare questa interpretazione, in epoca medievale e moderna la favola sia stata tradotta in inglese con una lieve imprecisione, visto che là la volpe non dice che l’uva è acerba, ma aspra.

 

La cicala e la formica

Le provviste per l’inverno e la voglia di divertirsi

La cicala bussa alla porta della formica in una delle più celebri favole di EsopoDicevamo che le favole non smettono di influenzare la nostra cultura e la crescita dei nostri figli, anche se forse in molti casi esse non vengono più raccontate come una volta dai genitori ai bimbi.

Uno dei modi privilegiati in cui la trasmissione delle fiabe avviene oggigiorno è infatti attraverso i cartoni animati, che fin dalle origini hanno pescato a piene mani dal folclore americano ed europeo. Dalle più celebri fiabe si sono così tratti lungometraggi (si pensi alla Disney), episodi di breve durata o intere serie televisive.

La base di A Bug’s Life

Certo, questo avviene molto più facilmente con le lunghe ed elaborate storie dei fratelli Grimm o di Andersen, mentre quelle di Esopo sono di solito troppo brevi per fornire spunti per vari minuti di narrazione. Ma un’eccezione importante è rappresentata da La cicala e la formica, altra celeberrima fiaba qualche anno fa trasportata al cinema in A Bug’s Life, con qualche aggiunta alla trama ma con intatto il significato fondamentale.

La favola di Esopo infatti racconta di una cicala e di una formica che, durante l’estate, svolgono compiti molto diversi: mentre la prima passa tutto il tempo a cantare, l’altra raccoglie provviste per l’inverno. Alla fine l’estate cede il passo all’autunno e all’inverno, ed arriva il freddo. La cicala, presto, si ritrova affamata e va a bussare alla porta della formica, chiedendole cibo. Ma la formica è inflessibile: «Io ho lavorato duramente per ottenere questo – le dice –; e tu, invece, che cosa hai fatto durante l’estate?». «Ho cantato», risponde la cicala. «E allora adesso balla», conclude, fredda, la formica. La morale è evidente: chi non fa nulla, non ottiene nulla.

 

Al lupo! Al lupo!

Gli scherzi e il rischio dei falsi allarmi

Il lupo mangia le pecoraTutti conoscerete – o almeno dovreste conoscere – Vladimir Nabokov, il celebre autore di Lolita e di molti altri ottimi libri. Una sua frase, che ben si attaglia al tema della nostra cinquina, è contenuta nel suo Lezioni di letteratura, una raccolta dei corsi che tenne alla Cornell University: «La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo grigio alle calcagna; è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui».

Ebbene, se questa frase fosse vera anche in senso letterale, oltre che simbolico, dovremmo pensare che a creare la letteratura occidentale sia stato Esopo. Perché il riferimento di Nabokov è diretto a un’altra sua celebre fiaba, intitolata non a caso Al lupo! Al lupo!. In essa si racconta di un giovane pastore, incaricato tutte le notti di sorvegliare le pecore del villaggio per impedire che venissero attaccate da animali feroci. Annoiato dal suo lavoro, il ragazzo pensò un giorno di giocare uno scherzo ai compaesani, svegliandoli nel cuore della notte mettendosi ad urlare “Al lupo! Al lupo!”, quando invece non c’era alcun lupo nelle vicinanze.

Il problema del non essere più ascoltati

Lo scherzo fu ripetuto anche nelle notti seguenti, fino a quando ad un certo punto un lupo non si presentò veramente al villaggio, puntando verso le pecore. Avvedutosene, il ragazzo cominciò ad urlare il suo solito “Al lupo!”, che però questa volta era vero e non inventato. Ma nessuno corse ad aiutarlo, perché tutti pensavano che fosse solo il solito stupido scherzo. Così il lupo poté sbranare indisturbato tutte le pecore.

La morale è che i falsi allarmi sono assai pericolosi, perché dopo si rischia che nessuno creda a quelli veri.

 

La gallina dalle uova d’oro

Chi troppo vuole, nulla stringe

La gallina dalle uova d'oro uccisa dal padroneLe favole che vi abbiamo raccontato finora sono tutte paradigmatiche di un certo comportamento, e mille volte le avrete sentite raccontare come ammonimento a non agire in un certo modo o come saggio consiglio.

A volte però le favole hanno talmente tanto successo da entrare anche nel linguaggio comune, fornendo materiale per i proverbi o i modi di dire. Così, ad esempio, il titolo della fiaba di Esopo La gallina dalle uova d’oro è diventato un modo dire abusato in ogni ambito, da quello giornalistico fino a quello dei bar, per riferirsi a un dipendente o sottoposto che dà al suo padrone molto di più di quanto sarebbe lecito aspettarsi.


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La favola infatti racconta di un contadino che aveva un grande pollaio con tanti galli e galline. Una di queste, però, era a lui particolarmente cara, perché, invece di produrre uova normali come le altre, le faceva d’oro. Ogni mattina infatti l’uomo trovava vicino a lei un prodigioso ovetto d’oro, che andava a vendere al mercato, nascondendo tutto il denaro che ne ricavava e non facendone parola neppure alla moglie.

Un giorno la gallina in questione fece un uovo ancora più grosso di quelli degli altri giorni, e questo diede da pensare al contadino: «Se depone ogni giorno un uovo d’oro – pensò infatti –, chissà quanto oro deve avere dentro la sua pancia». E per questo, avido e ingordo, decise di uccidere la gallina ed esaminarne le viscere, convinto di trovarvi oro a volontà. Ma le viscere erano come quelle di tutte le altre galline, e ormai non poteva più tornare indietro. La sua cupidigia l’aveva portato ad uccidere la fonte stessa della sua fortuna.

 

Il topo di campagna e il topo di città

La sicurezza è più importante dell’opulenza

Scena di un cartone americano tratto da Il topo di campagna e il topo di cittàLa vita di campagna e la vita di città vengono spesso messe a confronto con notevole vigore. Da un lato c’è chi corre ad acquistare ogni possibile innovazione tecnologica, sicuro che rivoluzionerà il suo modo di vivere. Dall’altro c’è chi preferisce invece rinunciare allo stress cittadino per cercare pace in luoghi più ameni, magari sognando la cosiddetta “decrescita felice”.

Un contrasto, quello tra ipermodernità e ritorno alle origini, che doveva essere ben chiaro anche nel VI secolo a.C., quando Esopo raccontava le sue fiabe in giro per la Grecia. Il topo di campagna e il topo di città infatti mette in scena proprio questo contrasto, non prendendo posizione per uno stile di vita o per l’altro ma dando come insegnamento il fatto che la tranquillità e la pace sono superiori ad ogni bene materiale.

I fatti e la morale della favola

La storia ha per protagonisti due topi tra loro cugini, di cui uno vive in città e l’altro in campagna. Un giorno quello di città fa visita all’altro, ma si stupisce del fatto che le uniche vivande a disposizione in campagna siano lardo, fagioli, pane e formaggio, al contratto di tutte le leccornie che si possono gustare in città. Per questo convince il cugino a seguirlo per una settimana nella sua dimora, per godersi gli agi della vita cittadina. Arrivati all’abitazione del topo di città a notte inoltrata, i due trovano i resti di un ricco banchetto e iniziano a mangiare dolci, marmellata ed altre cose.

Dopo un po’ però si cominciano a sentire dei latrati ed in breve nella stanza entrano due enormi mastini che si mettono ad inseguirli. I due topi riescono a salvarsi a malapena, ma subito quello di campagna decide di fare le valige e tornarsene da dove è venuto: «Meglio lardo e fagioli in pace che dolci e marmellata nell’angoscia», commenta in chiusura, dando la morale della fiaba.

 

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