Cinque straordinarie tragedie greche

Alla scoperta delle più grandi tragedie e del teatro greco

La tragedia greca è legata soprattutto ai nomi di Eschilo, Sofocle ed Euripide. I tre poeti videro le loro opere rappresentate ad Atene nel V secolo a.C. e diedero prova di tre modi diversi di intendere la poesia tragica: mentre a Eschilo interessava rappresentare la storia di un’intera generazione, trovando nella trilogia la forma perfetta di composizione, Sofocle ed Euripide preferivano concentrarsi sul singolo personaggio; Euripide, in particolare, diede un’interpretazione critica e personale del mito classico, introducendo anche la figura del deus ex machina, un espediente tecnico di risoluzione della tragedia.

La struttura della tragedia greca

La struttura della tragedia era composta da un prologo, un parodo, che segnava l’entrata del coro, degli episodi intramezzati dagli stasimi, brevi interruzioni in cui il coro dava spiegazioni riguardo la vicenda in corso, e infine dall’esodo, l’uscita del coro.

La materia di composizione era principalmente il mito classico, ma venivano anche raccontanti importanti eventi legati alla storia della Grecia.

La tragedia, per i greci, era un vero e proprio rito, non solo uno spettacolo, e veniva rappresentata in un periodo sacro dell’anno e in un luogo consacrato. I temi più ricorrenti erano quelli della colpevolezza e dell’innocenza, della responsabilità individuale, dell’infelicità dell’uomo e dell’ingiustizia degli dei.

 

1. Eschilo – Agamennone

La vendetta di una madre contro il suo re

L’Agamennone di Eschilo è la prima delle tragedie che compongono la trilogia dell’Orestea, l’unica giunta ai giorni nostri per intero. Il tema è quello della sanguinosa fine della saga degli Atridi.

Nella prima scena della tragedia, una vedetta annuncia l’arrivo di una flotta greca da Troia: è Agamennone che torna vincitore, portando con sé la profetessa Cassandra come preda di guerra.

Clitennestra e Agamennone in un dipinto di Pierre-Narcisse Guérin

L’imminente arrivo è confermato da un araldo mandato dallo stesso Agamennone. Clitennestra, la moglie, riferisce esultante la notizia al coro e a tutti i vecchi Argivi, dopodiché accoglie il marito con tutti gli onori.


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Cassandra, rimasta da sola con il coro, predice la sua morte e quella del re Agamennone per mano di Clitennestra: «Di questo, io predico, qualcuno sta meditando la vendetta: un leone, un leone imbelle che, rigirandosi nel talamo, rimane in casa e attende, ahimè, il ritorno del padrone – il mio padrone, poiché anch’io devo portare il giogo di schiava».

Proprio in quel momento, si sentono delle urla dall’interno dell’abitazione: Clitennestra ha ucciso Agamennone per vendicarsi della morte della figlia Ifigenia, sacrificata dieci anni prima per favorire la guerra contro Troia. Tra le proteste del coro Egisto, amante della regina, che aveva atteso in disparte, si insedia al trono come nuovo re.

 

2. Sofocle – Antigone

Il profondo senso di giustizia di una sorella in preda al dolore

La vicenda dell’Antigone si svolge dopo il fallito attacco di Polinice alla sua città, Tebe. Il nuovo re, Creonte, ordina che il corpo di Polinice rimanga insepolto, perché è quello che si merita per aver tradito la sua patria.

Una delle sorelle, Ismene, è troppo spaventata per intervenire, ma Antigone, un’altra sorella, si rifiuta di lasciare il corpo del fratello senza sepoltura, perché le leggi divine della pietà glielo impediscono.

Edipo e Antigone in un'opera di Antoni Brodowski

Tenta per due volte di seppellirlo, ma viene arrestata e condannata a morte: «Io non potevo, per paura di un uomo arrogante, attirarmi il castigo degli dei. Sapevo bene – cosa credi? – che la morte mi attende, anche senza i tuoi editti.

Ma se devo morire prima del tempo, io lo dichiaro un guadagno: chi, come me, vive immerso in tanti dolori, non ricava forse un guadagno a morire?»

Le proteste e il (tardivo) ravvedimento

Sia il coro che Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, protestano con forza per la condanna della ragazza, ma il re si rifiuta di dare loro ascolto. Solo dopo le ammonizioni dell’indovino Tiresia, Creonte si rende conto della situazione, torna in sé e fa liberare Antigone.

Ormai però è troppo tardi: Antigone, disperata, si è impiccata, ed Emone si è ucciso di fianco a lei, maledicendo il suo ingiusto padre. La madre di Emone, ricevuta la notizia, si toglie anch’essa la vita. Creonte rimane solo e disperato, e non può fare altro che invocare la morte.

 

3. Sofocle – Edipo re

Una serie di profezie porta alla luce una verità sconvolgente

L’Edipo re racconta la famosa storia da cui Freud ha tratto ispirazione per dare un nome al complesso d’Edipo ed è probabilmente una delle più celebri tragedie greche.

La vicenda parte dal momento in cui Edipo è ormai re di Tebe: la città e sconvolta dalla peste e i cittadini supplicano il loro sovrano di aiutarli. Secondo un oracolo, la peste scomparirà quando l’assassino di Laio, precedente re e marito dell’attuale sposa di Edipo, Giocasta, verrà punito.

Edipo manda a chiamare Tiresia perché lo aiuti a scoprire il colpevole; l’indovino, a malincuore, gli rivela che è stato proprio lui, Edipo, ad uccidere Laio: «E dal momento che mi hai rinfacciato anche la mia cecità, allora io ti dico: sì, tu hai gli occhi, ma non riesci a vedere in quale miseria sei caduto, né dove abiti, né con chi vivi».

Gli oracoli

Il re è incredulo, teme una congiura, ma Giocasta lo tranquillizza: capita che gli indovini sbaglino. A Laio infatti era stato predetto che sarebbe stato ucciso dal suo stesso figlio.

Edipo è però a conoscenza di un altro oracolo, secondo il quale lui era destinato a uccidere il padre e sposare la madre. In quel momento, giunge da Corinto la notizia della morte di Polibio, padre di Edipo.

L'edizione Feltrinelli dell'Edipo re di Sofocle, una delle più celebri tragedie greche

Ma un dialogo segreto fra il messaggero che ha portato la notizia e un vecchio servo di Laio porta la verità alla luce: Laio, ricevuta la profezia, aveva esposto il figlio, poi creduto morto, in realtà adottato da Polibio.

Edipo ha quindi veramente ucciso suo padre e sposato sua madre. Giocasta, per la disperazione, si uccide. Edipo si acceca e esce dalla città in volontario esilio.

 

4. Euripide – Medea

Una diabolica vendetta colpisce un uomo inetto

Ambientata a Corinto, di fronte al palazzo del re Creonte, la tragedia è successiva alle avventure di Giasone nella Colchide alla ricerca del vello d’oro. Durante l’impresa, l’eroe era stato aiutato da Medea, che, per amore, l’aveva seguito fino a Corinto abbandonando la sua terra natale.

Una volta giunti presso la corte di Creonte, tuttavia, Giasone ha deciso di sposarne la figlia, lasciando Medea da sola con i loro due bambini.

L’uccisione dei figli

L’ipocrisia e l’inettitudine di Giasone vengono fuori durante un furioso scontro verbale tra i due, a cui seguono le meditazioni di vendetta di Medea. Elabora un piano diabolico che riuscirà a mettere in atto anche grazie a Egeo, re di Atene, che passando da Corinto le offre la sua ospitalità.

Fa credere a Creonte di volersi riconciliare con lui e la figlia e invia loro dei preziosi doni, che si riveleranno tuttavia velenosi e provocheranno la morte di entrambi.


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Sulla scena della tragedia non veniva mai rappresentata direttamente la morte dei personaggi; essa, di solito, era affidata a un messaggero, o comunque ad una voce che raccontasse che cosa era successo. Anche nella Medea il racconto della straziante morte tra le fiamme magiche avviene in questo modo.

Una antica edizione della Medea di Euripide

Per completare la vendetta, Medea uccide i suoi stessi figli: «Per i demoni sotterranei dell’Ade, non sarà mai che io abbandoni i miei bambini ai nemici perché li oltraggino. È assoluta necessità che essi muoiano; e poiché è necessario, li uccideremo noi che li abbiamo generati».

Dopodiché lascia Corinto insieme alle spoglie dei figli su un carro alato trainato dal dio Sole, mentre Giasone la maledice.

 

5. Euripide – Ippolito

L’inganno di una donna, l’errore di un padre

A Trezene, Fedra, moglie di Teseo, per volere di Afrodite si è perdutamente innamorata di Ippolito, figlio di Teseo e quindi suo figliastro. Fedra non sa come comportarsi e, disperata, chiede consiglio alla nutrice, pregandola di non rivelare a nessuno il suo terribile segreto.

La nutrice, tuttavia, svela a Ippolito la vera natura dei sentimenti della regina per lui. Questa rivelazione porta a Fedra un grande disonore, tanto grande da spingerla a togliersi la vita. Prima di uccidersi lascia però un biglietto, in cui accusa ingiustamente Ippolito di averla violentata.

Il ritorno di Teseo

Teseo, che torna in quel momento a Trezene dopo una lunga assenza, scopre la morte della moglie e legge il biglietto, credendo a Fedra invece che alle dichiarazioni di innocenza del figlio.

Decide di cacciarlo dalla città. Poco tempo dopo, un messo racconta ciò che è successo a Ippolito: un toro di dimensioni mostruose l’ha divorato sulla spiaggia.

Una recente edizione dell'Ippolito di Euripide

Nella conclusione del dramma, interviene la dea Artemide, che rivela la verità a Teseo, il quale intrattiene un ultimo dialogo con il figlio in fin di vita: «Addio a te, vergine divina; è facile per te lasciare il nostro lungo sodalizio.

Poiché tu me lo chiedi, sciolgo ogni rancore verso mio padre, così come sempre ti ho obbedito in passato. Ahimè, il buio mi cala sugli occhi. Sorreggimi, padre mio».

 

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Sono un’accumulatrice seriale di cose inventate. Mi sono cari quei momenti della giornata in cui posso dimenticarmi di appartenere al mondo materiale e lasciare che quello che ho in testa prenda il sopravvento. Quando mi sono resa conto di pensare molto più velocemente di quanto riuscissi a parlare, ho capito che scrivere non era soltanto qualcosa che mi piaceva fare. Scrivere per me è una necessità, perché mi obbliga a rallentare, a capire quello che sto pensando. Mi esprimo molto meglio attraverso la parola scritta di quanto riuscirò mai a fare a voce. Un altro efficacissimo metodo di espressione, per me, è la danza. Dentro di me sento il bisogno di ballare come se fosse una pulsione primordiale, un riflesso incondizionato come quello che ti fa prendere una boccata d’aria dopo un minuto di apnea. La ricerca della bellezza è parte della mia routine quotidiana, perché le cose belle fanno stare bene, e io voglio stare bene. Non mi piace distinguere tra cultura alta e bassa, non mi piace dividere tutto in categorie e sottocategorie, non mi piacciono le definizioni troppo strette: mi piace mescolare e mi piace quando una cosa ti colpisce semplicemente perché è così. A volte le spiegazioni rovinano tutto.

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