
L’hip hop italiano vive di ciclicità. È dai primi anni ’80 ad oggi che si sente parlare di hip hop a periodi alterni, in base all’interesse suscitato da questo genere musicale (ma di questa cultura in generale) nelle case discografiche più o meno grandi. E in circa trent’anni le cose sono cambiate, migliorate, peggiorate, poi migliorate di nuovo.
Tutto ha inizio a livello underground, con i primi grandi gruppi e il loro rap in lingua inglese che cerca di importare il modello americano. L’hip hop come cultura arriva qui da noi e lentamente si fonde, quindi, con il fenomeno delle posse.
Sono gli anni ’90, quelli dei centri sociali e della musica portatrice di critica socio-politica. È quello il passaggio obbligato per arrivare alla cosiddetta old school italiana che darà il via all’epoca d’oro del rap nel nostro paese e che, con l’avvicinarsi agli anni 2000, attirerà l’attenzione delle case discografiche.
Ma, come ho detto, si tratta di cicli e (ri)cicli. Raggiunto il successo mediatico, il rap viene improvvisamente dimenticato dalle masse, torna dai grandi palchi ai piccoli club. Alcuni gruppi si sciolgono, alcuni rapper mollano. L’hip hop torna nelle strade, sui marciapiedi e sull’asfalto.
È però solo un momento. Basterà fare un salto in avanti di qualche anno perché l’industria si riaccorga di quella miniera d’oro, perché nuovi nomi si facciano strada, nuove sonorità vengano esplorate.
Dal vecchio al nuovo
Intanto, le pietre miliari crescono, i bei dischi di una volta (più alcuni di quelli nuovi) raggiungono lo status di classici, l’hip hop sfrutta il web. E soprattutto nuove voci vengono scoperte, unendosi alle vecchie, riuscendo a mostrare il proprio valore.
L’underground cambia spazio e comincia a sfruttare le potenzialità della rete mentre nuovi fenomeni discografici cominciano a proliferare per le TV e le radio. L’hip hop diventa ancora una volta mainstream.
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Questa è la situazione anche dell’oggi, con un doppio binario che scorre su rette parallele. Da un lato, c’è il rap di successo, quello di chi è partito dal basso ma ora è arrivato in alto, diventando qualcosa di più, quasi un fenomeno di costume. Dall’altro c’è la scena, sporca e senza compromessi, dell’underground e del web.
Parlare di hip hop, ancora oggi, è però parlare di qualcosa di astratto. Per capirlo meglio l’unico modo rimane, ancora una volta, ascoltare i dischi. Per questo vi propongo quelli che per me sono cinque tra i migliori album di hip hop italiano.
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Indice
1. Sangue Misto – SXM (1994)
Il classico hip hop per eccellenza
I Sangue Misto sono forse il più leggendario gruppo hip hop della storia italiana.
Formatisi nel 1993, erano composti da Neffa, Deda e DJ Gruff, tre tra i più grandi nomi della scena italiana. Esordirono ufficialmente nel 1994 con SXM, il loro unico disco in studio, quello che viene ancora oggi considerato da molti il più grande disco rap italiano di sempre.
Dodici tracce [1] che, pur richiamando le sonorità della east coast statunitense, si mettono in luce per la grande attenzione a tematiche sociali. Il tutto senza dimenticare una sorta di “divertentismo” intelligente e l’attitudine hardcore.
Sperimentazioni metriche, beat sporchi e underground, ma soprattutto una grande cura e la scelta di apportare novità sonore rilevanti fanno di SXM un disco che, è vero, risente dei suoi anni ma è ancora oggi fondamentale. Non può essere dimenticato, e merita anzi ancora di essere studiato.
Nel campo del rap della nostra penisola, è sicuramente il classico per eccellenza.
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2. Neffa – Neffa & i messaggeri della dopa (1996)
Un disco ancora attualissimo
Terminata l’esperienza con i Sangue Misto, Neffa intraprende la carriera solista. È vero, molti conoscono Neffa per le attuali performance dell’ex rapper campano, ma negli anni ’90 è stato forse il più importante MC nostrano.
Neffa & i messaggeri della dopa, del 1996, è il suo primo disco da solista ed ottenne anche un discreto successo radiofonico con il singolo Aspettando il sole [2].
Ma, al di là di questa parentesi mainstream, quello di Neffa si rivela un disco estremamente riflessivo, a tratti intimista, curatissimo da un punto di vista sonoro. Quindici tracce in cui si affiancano al Master of Ceremony voci vecchie e nuove del panorama hip hop dell’epoca, compresi i membri del suo ex gruppo.
Per quanto mi riguarda Neffa & i messaggeri della dopa è ancora oggi un disco attualissimo, complesso e bellissimo.
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3. Frankie Hi-nrg MC – La morte dei miracoli (1997)
Il lato colto dell’hip hop
La morte dei miracoli è un disco di successo del rapper Frankie Hi-nrg, che con il singolo Quelli che benpensano ottenne ottimi riscontri attraverso i mass media. Complice di quel successo fu però anche il bellissimo videoclip [3] trasmesso dai principali canali musicali dell’epoca.
Il brano ottenne così tanto successo da meritarsi nel ’97 il premio come migliore canzone italiana di quell’anno. Tutto l’album, tra l’altro, è presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo Rolling Stone Italia alla posizione numero 39.
La morte dei miracoli è un disco di 14 tracce che nella riedizione del 1998 si sono arricchite di ben 5 remix.
L’argomento prediletto da Frankie Hi-nrg è come sempre la critica sociale che sfocia in quella politica. La struttura del disco è particolare, visto che i brani musicali sono intervallati da brevi parentesi parlate. La morte dei miracoli è tuttora uno dei più colti dischi hip hop di sempre.
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4. Club Dogo – Mi fist (2003)
L’esordio dei cani da caccia
I Club Dogo, al giorno d’oggi, sono famosissimi. Senza soffermarmi sulle qualità artistiche attuali di questo gruppo, credo che dopo sette dischi il loro lavoro più bello è e rimanga Mi fist, il loro esordio ufficiale [4].
Si tratta infatti di uno dei dischi rap più belli di sempre. Il gruppo lo autopubblicò originariamente nel 2003, ma l’anno dopo – e cioè nel 2004 – l’album venne ripubblicato tramite l’etichetta Vibrarecords.
Ottenne un notevole successo nell’ambiente (quella che viene comunemente chiamata la “scena” hip hop italiana) vincendo il premio come Miglior Album. I Club Dogo, nel frattempo, si aggiudicavano quello come Miglior Gruppo all’MC Giaime.
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Mi fist è un disco potente. Contiene ben venti tracce che vedono la partecipazioni di nomi del calibro di Dargen D’Amico e Vincenzo da Via Anfossi. Al beat Don Joe, alle rime Jake La Furia e Gué Pequeno. Metriche incredibili e un gusto tutto italiano nel fare rime che, per certi versi, raggiungono vette auliche non indifferenti.
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5. Primo e Tormento – El micro de oro (2014)
La vecchia scuola non muore mai
Sono due pesi massimi della vecchia scuola, amici da sempre, che hanno accumulato collaborazioni su collaborazioni e che da poco hanno fatto un disco insieme che si è rivelato una vera e propria bomba. Sto parlando di Tormento, ex Sottotono, e Primo Brown dei Cor Veleno.
Il risultato è El micro de oro, un album splendido del 2014 in cui la scuola vecchia si fonde con la nuova attraverso ospiti di talento più o meno famosi come Fritz da Cat, DJ Squarta, Salmo e Coez.
Nell’album si parla di un po’ di tutto: società, vita privata, sogni, ambizioni, della scena rap e di come questa venga vista (anzi, letta) dagli occhi di due quarantenni. Di due che tra l’altro quella scena la conoscono come le loro tasche, avendola frequentata in lungo e in largo e avendone imparato ad amare i pregi e i difetti.
Un disco interessante, dunque, che mette a confronto modi diversi di fare rime senza per questo rinunciare ai topoi del genere. Un disco da studiare più che da ascoltare [5].
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Note e approfondimenti
[1] La canzone più famosa è probabilmente Cani sciolti, che potete ascoltare qui. ↑
[2] Qui il video ufficiale. ↑
[3] Su YouTube è ancora oggi uno dei brani hip hop più ascoltati della scena italiana. Lo si può reperire qui. ↑
[4] Qui trovate il video di Vida Loca, uno dei brani più famosi dell’album. ↑
[5] Il video di Mantenere, secondo brano della tracklist, può essere visto qui. ↑
[-] La foto di copertina che ritrae i Club Dogo è di Nasodacornflakes (via Flickr).