
Tra le tipologie cinematografiche che più di altre hanno spopolato negli ultimi anni c’è sicuramente quella del finto documentario, altrimenti noto come mockumentary. Il mockumentary non è altro che finzione spacciata per realtà, una fiction girata con la tecnica del documentario, attraverso interviste, filmati d’archivio o riprese con camera a spalla ma che di vero non hanno nulla (o quasi). Un genere cinematografico che si avvale spesso della tecnica del found footage, i “filmati ritrovati”, e che trova i suoi epigoni già nei primi anni ’60.
Il mockumentary però ha ottenuto il suo massimo successo solo attorno agli anni 2000 e grazie al genere che più si presta a questo modo di fare cinema: l’horror.
Grazie al particolare stile di ripresa e all’inconfondibile struttura infatti, è facile per lo spettatore sentirsi più coinvolto, più partecipe. La sospensione dell’incredulità viene agevolata, si arriva persino a credere, quasi a convincersi, che in fondo ciò che viene raccontato potrebbe persino accadere o essere accaduto.
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Forse il film che più di ogni altro ha cambiato il modo di girare il mockumentary moderno è l’italianissimo Cannibal Holocaust, di Ruggero Deodato (1980), ma in questa sede vorrei parlare di quelli che secondo me sono tra i cinque migliori finti documentari contemporanei.
Indice
1. Lake Mungo
Lake Mungo è un’opera del 2008 scritta e diretta dall’australiano Joel Anderson. Un mockumentary puro e semplice, perfettamente aderente alla realtà, che ha il grande pregio (per niente scontato) di riuscire a inquietare se non a terrorizzare letteralmente lo spettatore.
Mai arrivato in Italia, è comunque uno dei finti documentari più riusciti girati dal 2000 ad oggi e sfido chiunque a riconoscerne la natura di fiction.
La sedicenne Alice Palmer affoga mentre nuota nel lago. Quando il suo corpo viene recuperato e viene accertata la morte naturale, la famiglia seppellisce la ragazza, ma dopo poco si verificano una serie di inspiegabili eventi che ne coinvolgono la casa.
In seguito alle ricerche dei familiari, che coinvolgono anche il sensitivo Ray Kemeny, si scoprirà che forse le cose non sono propriamente come sembravano e che Alice aveva dei segreti che non dovevano essere raccontati.
Riscoprire il fascino del mockumentary
Lake Mungo riscopre il fascino del mockumentary più elementare, proponendosi attraverso una narrazione lineare e approfondendo un argomento difficile come la perdita di una persona cara, senza scadere però nella retorica, alternando elementi tipicamente horror a quelli del thriller e della detective story.
Una discesa lenta e impervia nell’apparente insipida vita di una provincia australiana e nel dolore insostenibile di una famiglia colpita da un lutto atroce.
Il tutto senza ricorrere a effetti speciali o tecnicismi inutili, raccontando una storia dai risvolti inquietanti che, con la tecnica del finto documentario, prova ad aderire il più possibile alla realtà.
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2. The Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair
The Blair Witch Project è un film del 1999 girato dalla coppia Daniel Myrick e Eduardo Sánchez che ha (ri)lanciato il mockumentary e lo ha portato al successo nel campo horror.
Tacciato più volte di essere un clone del precursore italiano Cannibal Holocaust, è un film che più per furbizia che per meriti tecnici ha ottenuto un enorme successo planetario, iniziando la corsa al finto documentario della grande industria cinematografica globale, in primis quella hollywoodiana.
Eppure, al di là della grande campagna di marketing che lo ha preceduto/accompagnato, The Blair Witch Project è un film in grado di terrorizzare sul serio.
Heather, Joshua e Michael, tre studenti di cinema, decidono di girare un documentario sulla leggenda locale della strega di Blair, che vivrebbe nei boschi presso Burkittsville, nel Maryland, dove tanti bambini sono scomparsi negli anni ’40.
Un fenomeno sociale e commerciale
Anticipato da una campagna ossessivo-compulsiva su internet, da volantini che denunciavano la scomparsa dei tre ragazzi, da un fumetto e da una campagna pubblicitaria in TV, The Blair Witch Project è stato un fenomeno sociale e commerciale che ha fatto molto parlare di sé.
Perché un prodotto di finzione che tendeva ad emulare processi reali è diventato realtà trasfigurandola e trasfigurandosi. C’è gente che crede ancora che sia tutto vero, che tutto sia successo davvero nonostante registi e attori siano assorti al rango di vere e proprie star.
C’è gente che crede ancora che sia tutto vero…
E questo senza morti reali o reali sparizioni. Cosa che sarebbe potuta accadere soltanto nell’epoca della comunicazione globale e massmediale. Ed è proprio qui che sta il lato inquietante della vicenda: la rappresentazione pratica della paura come contagio, come virus invisibile o come mistero non svelabile.
La paura da un punto di vista sociale che ha portato il mockumentary ad una concretezza difficile da immaginare precedentemente. Fu seguito, nel 2000, dal sequel Il libro segreto delle streghe – Blair Witch 2, girato però in stile classico.
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3. Rec
Rec, della coppia Paco Plaza e Jaume Balagueró, è un film horror spagnolo del 2007 che ha proposto il tema zombie in salsa finto documentario. Fu un successo talmente grande da meritare un remake americano nel 2008 (Quarantena) e la bellezza di un prequel e due sequel europei.
Film spaventoso, ambientato negli spazi angusti di un condominio, fonde abilmente tematiche religiose al contagio pandemico e al survivor zombie.
Angela è una reporter che lavora per il programma notturno Mentre dormi, incaricata di seguire per una notte un gruppo di pompieri in compagnia del fidato cameraman Pablo.
Lo scopo del servizio è mostrare il difficile lavoro dei vigili del fuoco e l’occasione arriva in seguito ad una chiamata in un condominio di Barcellona. Solo che non si tratta della solita emergenza e, soprattutto, dei soliti pericoli.
Un esempio di eccellenza e grande competenza del mezzo cinematografico
Rec è il classico film che sembrerebbe non riservare niente di nuovo ma che in realtà sorprende e riesce in quello che l’horror contemporaneo sembrava non essere più capace di fare: spaventare.
E non parlo dei classici spaventi telecomandati di un cinema finto e artificiale, ma di un sorprendente crescendo di tensione che mette a dura prova i nervi dello spettatore.
In questo aiuta proprio lo stile di ripresa con la camera a spalla e il genere mockumentary, nonostante Rec non sia un vero e proprio finto documentario ma un finto servizio televisivo. Al di là di questo, rimane un esempio di eccellenza e grande competenza del mezzo cinematografico.
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4. What We Do in the Shadows
What We Do in the Shadows è un finto documentario del 2014 diretto dai neozelandesi Taika Waititi e Jemaine Clement. Un mockumentary sui vampiri ma che fonde horror a satira e commedia, alternando momenti estremamente cruenti a grasse e grosse risate.
Girato con cattiveria, privo di buonismo, cinico e sleale, si tratta di un vero e proprio gioiello che però, qui in Italia, non è ancora arrivato.
In una casa nella periferia di Wellington convivono un gruppo di vampiri molto eterogeneo, quattro non morti assolutamente sopra le righe, conviventi/amici che provano a sopravvivere in quest’epoca più folle di loro.
Nella loro casa entrerà una troupe del New Zealand Documentary Board intenzionata a documentare la vita dei vampiri in Nuova Zelanda nel pieno degli anni 2000 e pronta a partecipare al The Unholy Masquerade, annuale ballo dei non morti.
Una horror comedy grottesca sui vampiri
Non è facile girare una horror comedy senza cadere nel ridicolo, senza calcare troppo la mano in determinati frangenti, senza rischiare di dosar male gli ingredienti. Una horror comedy deve essere nella stessa misura horror e commedia.
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In questo What We Do in the Shadows riesce benissimo. Un film che prende in giro il mito del vampiro ma lo fa senza dimenticarsi di elementi imprescindibili come sangue, omicidi, poteri occulti e mostri.
Un film grottesco in cui l’orrore incarnato dalla figura del non-morto diventa motivo per ridere e fare ironia sugli stereotipi cinematografici e letterali.
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5. Project X – Una festa che spacca
Project X è un film americano del 2012 girato da Nima Nourizadeh. A differenza degli altri mockumentary fino ad ora esaminati, non è un horror ma una commedia goliardica e adolescenziale.
Un lavoro che rielabora attraverso la forma del finto documentario il tema tipico del cinema alla American Pie e quello festaiolo che andava e va sempre di moda.
Costa, Thomas e J.B. sono tre liceali sfigatelli che, nel tentativo di cambiare la loro posizione sociale, decidono di organizzare la festa più grande di sempre nel giorno del compleanno di Thomas e di riprendere tutto con la telecamera del misterioso Dax.
Il problema è che le cose, quando diventano troppo grandi, sfuggono anche al controllo di chi le ha desiderate così tanto!
Il finto documentario della commedia adolescenziale
Project X è un film che fonde commedia trash a momenti di umorismo brillante. Cafonate e una certa critica sociale e generazionale. Il tutto veicolato attraverso il finto documentario amatoriale, permettendo allo spettatore di essere risucchiato in un turbinio di liceali sfigati che vogliono essere fighi, droghe, alcol e tette al vento.
Di certo un film con una marcia in più rispetto ai suoi epigoni e al marasma di commedie adolescenziali americane che da sempre affollano i cinema.
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