Cinque tra i più importanti scoop della storia del giornalismo

Lo staff del Washington Post che seguì l'inchiesta sul caso Watergate

La storia del giornalismo è fatta di testate che si sono guadagnate lentamente fette di mercato, di corsivi incisivi che hanno messo in crisi la politica, di interviste impossibili ma anche e soprattutto di scoop, ovvero di notizie avute e diramate prima che qualsiasi altro giornale concorrente potesse metterci le mani.

Un tempo, quando il giornalismo cartaceo aveva ancora una posizione predominante nell’ambito dell’informazione, non era raro incontrare giornalisti disposti a tutto pur di strappare un’esclusiva.

Film di vario genere, infatti, ci hanno raccontato di eroici reporter che seguivano le truppe in guerra col rischio di rimetterci la pelle (e a una celebrità come Robert Capa successe proprio questo), ma anche di cronisti senza scrupoli che violavano tranquillamente leggi e deontologia professionale pur di arrivare allo scoop.

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Quali sono, però, le anteprime più memorabili della storia del giornalismo? Quelle che meritano di entrare negli annali di un’arte che ormai, nell’era dell’iperinformazione, ha acquisito un alone romantico e nostalgico? Abbiamo selezionato i cinque scoop a nostro modo di vedere più celebri e significativi, e ve li presentiamo in ordine cronologico.

 

1. La Dichiarazione di Indipendenza in anteprima

Per il primo – e forse più clamoroso – scoop dobbiamo risalire all’alba del giornalismo. Fu infatti nel Settecento che comparvero per la prima volta in Europa delle gazzette che, seppur arcaiche e con un pubblico ristretto, iniziavano a far conoscere il concetto di notizia.

E uno dei primi e più memorabili scoop del periodo fu senza dubbio la pubblicazione in anteprima della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, che alcuni fogli riuscirono a stampare prima addirittura che finisse nelle mani del sovrano d’Inghilterra a cui quella dichiarazione era destinata.

Che quello sia stato un colpo clamoroso, soprattutto in un’epoca in cui le vie di comunicazione erano ancora difficili e lente da percorrere, non è messo in dubbio da nessuno; piuttosto, molto si è dibattuto su chi sia stato davvero il primo a diramare in Europa quella carta storicamente così importante.

Prima ancora che finisse nelle mani del re

Per molto tempo si è pensato infatti che lo scoop appartenesse alla Belfast News-Letter. La nave che portava il prezioso documento dagli Stati Uniti all’Inghilterra, infatti, nell’agosto 1776 trovò una bufera una volta aver avvicinato le coste britanniche e fu costretta a trovare riparo a Londonderry, in Irlanda del Nord.

La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati UnitiQui, nell’attesa che il tempo migliorasse, il documento finì nelle mani dei giornalisti di Belfast, che lo pubblicarono il 23 agosto.

Studi più recenti, però, hanno dimostrato che già due gazzette londinesi, il Public Advertiser e il Lloyd’s Evening Post and British Chronicle, avevano pubblicato la stessa dichiarazione il 16 agosto, cioè una settimana prima.

A chiunque spetti lo scoop, però, sempre di scoop si trattò. La Dichiarazione – che comunque era già stata pubblicata in diversi giornali americani a luglio – arrivò infatti nelle mani di re Giorgio III e del Parlamento solo alcuni giorni dopo.

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2. L’inchiesta sulla Standard Oil

Gli scoop giornalistici, però, non consistono solo nell’arrivare prima ad una notizia che comunque è destinata a diventare a breve di pubblico dominio. Anzi, i migliori scoop sono quelli che nascono dal giornalismo d’inchiesta, dalle indagini, dalla scoperta di notizie che in molti non vorrebbero fossero rese pubbliche.

Sono proprio articoli come questi che hanno fatto nascere, nel tempo, il mito del giornalista che si scaglia contro il potere, che difende i deboli e che smaschera le magagne di chi tiene le fila dell’economia e della politica.

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E lo scoop che può essere considerato il padre di un giornalismo di questo tipo è quello che Ida Tarbell presentò, tra il 1902 e il 1904, sulle pagine del McClure’s Magazine, un mensile americano che all’inizio del Ventesimo secolo si guadagnò una certa fama per le sue indagini.

L’inchiesta di cui stiamo parlando è degna di essere ricordata per vari motivi. In primo luogo, il libro che la Tarbell ne ricavò, nel 1904, è ancora studiato nelle università americane (nel 1999 la New York University l’ha messo al quinto posto di una lista dei cento migliori libri sul giornalismo).

Una donna contro l’impero di Rockefeller

Inoltre, l’autrice di quell’inchiesta fu una donna, in un’epoca in cui non solo alle donne era spesso proibito di studiare, ma sicuramente non era concesso di mettersi contro i poteri forti, tutti saldamente in mano a degli uomini.

Ida Tarbell, la coraggiosa reporter donna del McClure's MagazineEppure la Tarbell fece proprio questo: figlia di un imprenditore che era stato rovinato da John D. Rockefeller, si mise ad indagare sulla compagnia di quest’ultimo, la potentissima Standard Oil.

Scoprendo – e denunciando sulla carta stampata – che Rockefeller e i suoi collaboratori usavano abitualmente metodi di spionaggio, ricatti, coercizione ed altre pratiche illecite per sbarazzarsi della concorrenza.

La sua inchiesta, pubblicata su diciannove numeri consecutivi della rivista, diede il via ad un nuovo genere di giornalismo e contribuì a mettere in crisi l’impero che Rockefeller aveva costruito.

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3. La denuncia dei crimini di Stalin

Tempo fa abbiamo preparato una cinquina che elencava i fatti principali degli anni ’50, legati perlopiù alla guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica che in quegli anni era al massimo della tensione.

All’interno di quell’elenco, un ruolo fondamentale l’aveva Nikita Chruscev (o Krusciov, secondo la vecchia traslitterazione), segretario del Partito Comunista Sovietico succeduto a Stalin nel 1953.

Chruscev e Stalin a colloquio
Chruscev e Stalin a colloquio

In particolare, il punto di svolta era stato il 1956, quando si verificarono due eventi quasi concomitanti ma destinati a lasciare un segno profondo nella storia europea del ‘900.

Prima, Chruscev denunciò i crimini staliniani (o almeno una buona parte di essi) durante il celebre XX congresso del PCUS, con una relazione che in realtà doveva però rimanere segreta e limitata agli ambienti interni del partito.

Poi, complice anche l’idea che in Russia ci potesse essere più apertura e che i tempi stessero cambiando, in Ungheria scoppiò una rivolta che voleva garantire al paese una certa autonomia da Mosca, rivolta che venne però sedata nel sangue dall’Armata Rossa.

Il rapporto di Chruscev reso di dominio pubblico

Dal punto di vista giornalistico, furono proprio i fatti del XX congresso a suscitare grande scalpore.

La trascrizione del discorso segreto di Chruscev finì infatti in mano a Edward Crankshaw, un inglese con un passato da spia (durante la guerra, complice il fatto che aveva vissuto per parecchi anni a Vienna, era stato utilizzato dal servizio segreto britannico come agente di collegamento con l’URSS per le questioni naziste) che si occupava da tempo degli affari sovietici.

Crankshaw – che, grazie al suo passato, aveva dei contatti importanti – tradusse il materiale e si rese conto di avere per le mani una vera e propria “bomba”, da pubblicare quanto prima.

Contattò il giornale per cui lavorava e il dossier vide la luce nello stesso 1956 sull’Observer, il più antico giornale domenicale del mondo che, in Gran Bretagna, era il portavoce dell’ideologia liberal.

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4. Il massacro di My Lai

Una delle pagine più brutte e più tragiche della già di per sé tremenda guerra del Vietnam è quella relativa al cosiddetto Massacro di My Lai, che avvenne nel marzo del 1968.

I fatti probabilmente non li conoscete, perché gli stessi americani hanno a lungo evitato di dare pubblicità alla cosa. Il 16 marzo del ’68 un gruppo di soldati americani fu attaccato da dei Viet Cong che si erano mescolati agli abitanti del villaggio di My Lai, a circa 850 chilometri a nord di Saigon.

La prima pagina del Plain Dealer con lo scoop sul massacro di My LaiPer pura e semplice rappresaglia, il tenente William Calley diede l’ordine di uccidere tutti gli abitanti del villaggio, perlopiù vecchi, donne e bambini.

Gli americani massacrarono così 347 persone prima di venir bloccati dai loro stessi colleghi. Un elicottero di pattuglia si avvide di quel che stava succedendo e planò immediatamente sul villaggio, puntando le armi contro gli stessi americani.

Si trattava di tre soli soldati, che però, col loro sangue freddo, riuscirono a bloccare la furia omicida dei commilitoni e a salvare 11 persone.

Quando un giornale di provincia fa il botto

Calley e i suoi uomini subirono un processo da parte della corte marziale, che portò a numerose condanne anche se le pene furono poi almeno in parte amnistiate dal presidente Nixon.

La notizia, comunque, sulle prime fu tenuta nascosta alla stampa. Ovviamente l’esercito non aveva alcun interesse che l’opinione pubblica americana mettesse il naso nella faccenda.

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Solo nel novembre dell’anno successivo, a diciotto mesi di distanza dagli eventi, il giornalista Seymour Hersh venne a conoscenza dei fatti, preparando un reportage che però molte riviste si rifiutarono di pubblicare.

La notizia venne data per primo dal Plain Dealer di Cleveland, un giornale di provincia con una tiratura molto relativa. Fu uno scoop clamoroso che venne poi ripreso da tutti i giornali mondiali e che diede una prima fondamentale mazzata all’appoggio che gli americani stavano dando alla guerra nel sud-est asiatico.

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5. Il Watergate

Il caso forse più eclatante della storia del giornalismo americano è però quello legato allo scandalo Watergate, che gli stessi media statunitensi continuano ancora oggi a ricordare come uno dei punti più alti della lotta tra giornalismo investigativo e potere.

Anche in questo caso c’entra in qualche modo la guerra del Vietnam, e soprattutto il ruolo assunto dall’amministrazione Nixon in quella guerra.

Lo staff del Washington Post che seguì l'inchiesta sul caso WatergatePresidente dal 1968, Nixon puntava infatti ad essere rieletto nel 1972, forte di un consenso piuttosto forte nell’elettorato americano. La rielezione effettivamente arrivò, ma nel corso dei due anni successivi emersero una serie di scandali che portarono il Presidente alle dimissioni nel 1974.

Lo scandalo era legato ad una serie di irruzioni, perquisizioni e azioni di spionaggio illegale che alcuni uomini legati proprio alla Casa Bianca avevano svolto durante le campagna elettorale contro gli esponenti del Partito Democratico, allora all’opposizione.

Tutti gli uomini del Presidente

A darne notizia sulla stampa furono, durante tutti quei due anni, soprattutto due giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, che traevano le loro notizie anche da un informatore di alto livello, che allora nei loro articoli veniva chiamato “gola profonda” (e che solo qualche anno fa è stato identificato nell’allora numero 2 dell’FBI, William Mark Felt).

Proprio l’inchiesta giornalistica è stata poi immortalata, anni dopo, in un celebre film di Alan J. Pakula con Robert Redford e Dustin Hoffman, Tutti gli uomini del Presidente.

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