
Sta per compiere 66 anni, un’età in cui di solito la gente pensa già da un po’ alla pensione, al riposo, ai nipotini; ma per Bruce Springsteen la vecchiaia non potrà che essere certamente rock, come lo è stata tutta la sua vita. Una vita che, professionalmente parlando, conta 18 album di studio (l’ultimo, l’anno scorso: il discreto High Hopes), 5 dal vivo, 20 Grammy, 1 Oscar e numerose altre onorificenze assegnate in giro per il mondo.
Quest’anno, tra l’altro, ricorre il quarantennale da quello che è forse il suo lavoro più bello, sicuramente quello che l’ha trasformato nel “boss”: Born to Run. Ma in generale la carriera dell’ex ragazzo del New Jersey ha toccato picchi praticamente in ogni decennio, segnandolo in maniera sempre diversa; ed è quindi difficile, se non impossibile, cercare di isolare solo cinque brani che possano rappresentare al meglio una produzione così ampia e di così grande livello. Ci abbiamo comunque provato: ecco quelle che secondo noi sono le cinque canzoni più belle di Bruce Springsteen.
[wpzon keywords=”bruce springsteen” sindex=”Books” sort=”relevancerank” listing=”3″ country=”it” descr=”0″ col=”3″]
Indice
Thunder Road
da Born to Run, 1975
L’ordine di questa cinquina è, come al solito, cronologico, per non scontentare nessuno e per porre tutti e cinque i brani prescelti sullo stesso piano; ma, per una volta lasciatemelo dire, per conto mio Thunder Road sta un gradino sopra a tutti gli altri brani non solo di questa lista, ma forse dell’intera discografia mondiale. Ancora oggi, dopo tanti anni e innumerevoli ascolti, mi risulta difficile mettere questo pezzo senza che non riesca a trattenermi dal cantarla parola per parola e senza, soprattutto, che gli occhi mi si inumidiscano; perché Thunder Road non è solo una canzone: è una speranza, è una visione della vita, è la rivincita di chi non ce l’ha mai fatta ma ha ancora una carta da giocare.
[wpzon spec=”1″ asin=”B00FKMVM5K,B00008Z5GB,B00FKMVLIS” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Brano di apertura di Born to Run, terzo album di Springsteen che già citavamo in apertura, Thunder Road è la storia di una coppia di ragazzi che, a bordo di una macchina, si prefiggono di lasciare una cittadina piena di perdenti, sfruttando “l’ultima occasione che hanno di rendere reale” il loro sogno. Una trama dal romanticismo disperato, che viene narrata distruggendo la normale struttura a strofe e ritornello, ma preferendole un crescendo che, dopo una introduzione al pianoforte e all’armonica a bocca, cresce gradualmente fino a trascinarti via, come l’auto del protagonista. Più volte inserita nelle varie liste delle migliori canzoni di tutti i tempi (a volte posizionandosi anche al primo posto), Thunder Road ha anche una sorta di “sequel”, la canzone The Promise, pubblicata solo vari anni più tardi e dall’esito più pessimista.
Born to Run
da Born to Run, 1975
Se Thunder Road apriva magnificamente la facciata A dell’album del 1975, Born to Run faceva lo stesso con il lato B, proponendosi come l’altro polo di un disco destinato a diventare epocale. E in effetti questa canzone è, da allora, il simbolo di tutta la poetica springsteeniana: il sogno americano che sfugge via, le auto come mezzi per sfuggire da una città che è ormai una “trappola mortale”, e la gioia che deriva dal correre. Una canzone che parla – e Springsteen da lì in poi continuerà a farlo per tutta la vita – degli sconfitti, degli umili, dei giovani che si sono scontrati con la disillusione, ma ne riesce a raccontare anche le velleità e la voglia di riscatto.
[wpzon spec=”1″ asin=”B00FKMVPZC,0898984807,8862311338″ country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Scritta come la canzone che doveva permettere a Springsteen di uscire dal piccolo circolo in cui i suoi primi due album l’avevano rinchiuso – critiche ottime ma vendite scarse –, la canzone ebbe in effetti un successo dirompente negli Stati Uniti, rendendo il suo autore una figura mainstream, senza però che il cantautore del New Jersey avesse dovuto cedere sul versante della qualità; anzi, la sua fama, che presto si sarebbe diffusa anche in Europa, venne rafforzata dalle esibizioni live, in cui seppe riversare una carica emotiva che già era presente nella versione in studio, ma che dal vivo diventava trascinante.
Racing in the Street
da Darkness on the Edge of Town, 1978
Molte delle canzoni che citiamo in questa cinquina sono quasi delle scelte obbligate: non si può parlare di Springsteen senza Born to Run o Thunder Road. Meno scontata, ci pare, è la scelta di Racing in the Street, traccia contenuta in Darkness on the Edge of Town, disco del 1978 che fu il seguito di Born to Run e vendette moltissimo, nonostante avesse un appeal commerciale decisamente più contenuto. Racing in the Street, da questo punto di vista, è un buon simbolo dell’intero album, del suo contenuto più oscuro e tragico, anche se non completamente privo, pure qui, di un barlume di speranza.
[wpzon spec=”1″ asin=”B0092MX4OQ,B00008Z5G8,B009IBC3VG” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]La canzone è una ballata introdotta lentamente dal pianoforte, che racconta di un giovane uomo che trova un senso alla propria esistenza nelle corse automobilistiche, forte di una Chevrolet del ’69, dando nuova linfa all’epica della fuga che già aveva contraddistinto il disco precedente. Ma qui qualcosa è cambiato: intanto l’età anagrafica del protagonista è lievemente più alta, visto che l’uomo ha già un lavoro, anche se senza prospettive; inoltre, ad un certo punto spunta una donna, che guarda preoccupata alle scelte di vita del suo uomo, nonostante tutto venga descritto come sempre da Springsteen con grande compassione e vicinanza.
The River
da The River, 1980
E se vogliamo parlare di compassione e vicinanza nei confronti dei diseredati e degli sconfitti, la canzone che più di tutte mette in campo questi sentimenti è senza dubbio The River, title-track dell’album doppio che Springsteen rilasciò nel 1980, quello che lo consacrò ormai definitivamente come il portavoce della classe operaia statunitense. Un album che appariva fin da subito come molteplice e molto sfaccettato, non solo per la gran mole di canzoni – spesso indimenticabili – che conteneva, ma anche per la sua commistione tra pezzi più frivoli e leggeri ed altri più impegnati e rudi. The River appartiene sicuramente al secondo gruppo, descrivendo le difficoltà economiche di una giovane coppia.
Leggi anche: Cinque tra le più famose canzoni di protesta di Bob Dylan
[wpzon spec=”1″ asin=”B00HQRKBOK,B00VJ28G2C,B00HQRJYXY” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]
Ispirata alla vicenda della propria sorella Ginny e di suo marito Mickey, che nei primi anni di matrimonio ebbero grandi problemi a causa dello scarso lavoro, la canzone è una ballata lenta e drammatica, che anticipa in un certo senso una nuova vena che sarebbe stata maggiormente esplorata nell’album successivo, il difficile – ma bellissimo – Nebraska. Il brano non fu rilasciato come singolo negli Stati Uniti, dove gli furono preferiti Hungry Heart, Fade Away e I Wanna Marry You, ma fu invece usato per il lancio in Europa, riscuotendo un ottimo successo e risultando poi incluso in molte classifiche sui migliori brani del decennio.
Atlantic City
da Nebraska, 1982
Concludiamo appunto con un brano tratto da Nebraska, l’album del 1982 a cui facevamo cenno poco fa. Si dirà che Springsteen, dal 1982 ad oggi, ha sfornato decine di altri capolavori, e sarebbe un appunto sicuramente corretto (basti pensare anche ai brani di Born in the U.S.A., solo per citare l’esempio più eclatante), ma a noi sembra che con Nebraska si chiuda idealmente un ciclo, e che quindi valesse la pena far terminare lì anche la nostra lista. Atlantic City era, all’interno di quel disco, la seconda canzone, immediatamente seguente alla title-track Nebraska, ma ne divenne anche il primo singolo.
[wpzon spec=”1″ asin=”B00HFSQ2KC,B00008Z5GD,B00HFSQ17Q” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]La canzone mescola il solito tema romanticamente disperato delle canzoni di Springsteen di quel periodo con un ritratto della città di Atlantic City, la “Las Vegas della costa orientale”, con i casinò e soprattutto la malavita; il protagonista maschile, infatti, incapace di trovarsi un lavoro duraturo decide di tentare la carriera criminale, entrando nelle organizzazioni mafiose, consapevole che “tutto prima o poi muore”, ma che “quel che muore a volte ritorna”. Una canzone cupa e disperata, che ben si confaceva al clima generale del disco, che qualche critico ha definito magnificamente depresso.