
Ci sono dei decenni che nella memoria degli italiani e non solo degli italiani continuano ad essere visti con nostalgia. Sono in genere i decenni del benessere economico, della pace sociale e della spensieratezza; e in Italia sono in particolare gli anni ’60, quelli che hanno preceduto la tremenda conflittualità sociale dei ’70, e gli anni ’80, che a loro volta sono venuti prima del crollo politico e delle stragi degli anni ’90.
Così, la musica di quegli anni assume un ruolo che va ben oltre quello artistico o d’intrattenimento, ma per molti di quelli che vissero quegli anni diventa quasi di colonna sonora di una stagione irripetibile, felice e allegra; e non è un caso che la TV celebri questi periodi storici con frequenti programmi nostalgici. Ma quali sono, se proprio le dovessimo scegliere, le cinque canzoni più belle e rappresentative degli anni ’60 in Italia? Ecco la nostra lista.
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Indice
Mina – Il cielo in una stanza
Il capolavoro di Gino Paoli
Scritta da Gino Paoli – anche se inizialmente accreditata a Mogol e Renato Angiolini perché Paoli non era ancora iscritto alla SIAE –, Il cielo in una stanza è in assoluto una delle più belle e toccanti canzoni della nostra storia, capace, con la sua melodia ed il suo testo visionario, di travalicare le mode e le tendenze e di diventare immortale. Non è un caso che già l’anno dopo la sua prima pubblicazione, nel 1961, lo stesso Paoli volle reinciderla a suo nome, mentre poi in anni successivi sia stata reinterpretata da cantanti del calibro di Giorgia, Carla Bruni, Franco Battiato, Massimo Ranieri, Morgan, Noemi e altri.
[wpzon spec=”1″ asin=”B008W9ORQY,B004IZBJ26,B009IGP6KQ” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]La prima a portarla al successo, e a segnarla indelebilmente, fu però Mina, all’epoca appena ventenne ma già conosciutissima. Il singolo, o meglio il 45 giri, entrò subito nella top ten, ma stentò all’inizio a guadagnare la vetta della classifica; ci riuscì solo dopo tre mesi, diventando però poi un classico di quel decennio. L’album di Mina del 1960 che si apriva con Il cielo in una stanza, infine, conteneva anche un altro importante successo di quel periodo della tigre di Cremona, anche se ancora legato alla sua fase da “urlatrice”: Una zebra a pois.
Umberto Bindi – Il nostro concerto
Il primo successo della scuola genovese
Se Mina ha caratterizzato il decennio non solo con Il cielo in una stanza ma anche con molte altre canzoni (basti citare Se telefonando, Le mille bolle blu, È l’uomo per me, E se domani o La banda), Umberto Bindi, l’autore del secondo brano che abbiamo scelto, è oggi purtroppo ricordato esclusivamente per questa canzone, Il nostro concerto, che guadagnò la testa della classifica in quello stesso 1960. Bindi, scomparso ormai più di dieci anni fa, fu infatti il primo esponente di spicco della cosiddetta “scuola genovese” da cui sarebbero usciti, in quello stesso decennio, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi e Fabrizio De André.
[wpzon spec=”1″ asin=”B00HYSAU8S,B00005NB5O,B009IBVX3U” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Nato nel 1932, Bindi era musicalmente dotato di grande talento e aveva un particolare gusto per le melodie ariose e gli arrangiamenti quasi barocchi; un gusto che si riversò in Il nostro concerto, il suo primo e più grande successo. Già dall’anno successivo, e cioè dal 1961, la stella di Bindi cominciò a tramontare, un po’ perché il gusto del pubblico cominciava a mutare, un po’ per le voci sulla sua omosessualità, che in tempi come quelli gli impedirono di trovare un sostegno adeguato alla promozione delle sue canzoni.
Bobby Solo – Una lacrima sul viso
Il giovane emulo di Elvis Presley
Gli anni ’60 non furono solo anni di gioia e spensieratezza (almeno fino al maggio francese, quando quella spensieratezza si sarebbe dimostrata solo una facciata) ma anche di notevole cambiamento. In campo politico, come saprà chi ricorda un po’ di storia, si passò ai governi di centro-sinistra, con una stagione di riforme molto importante; in campo musicale iniziarono lentamente ma inesorabilmente a farsi sentire con maggior forza le influenze del rock americano. Si spiega anche in questo senso l’inaspettato successo del diciannovenne Bobby Solo sul palco di Sanremo nel 1964 con la canzone Una lacrima sul viso.
[wpzon spec=”1″ asin=”B009BRF2X8,B009BREWR0,B001E7GY7G” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Il ragazzo, che all’anagrafe faceva Roberto Satti, era un fan di Elvis Presley, che imitava nel modo di portare i capelli e nella cantata profonda e ammiccante; scoperto dalla Ricordi, fu mandato al Festival con una canzone scritta da lui stesso per la musica (ma non firmata, sempre per la mancata iscrizione alla SIAE) e da Mogol per il testo, appunto Una lacrima sul viso, che non riuscì a puntare alla vittoria (trionfò Gigliola Cinquetti con la più rassicurante Non ho l’età) ma che si guadagnò rapidamente la vetta della classifica.
Little Tony – Cuore matto
Quando il rock’n’roll faceva capolino a Sanremo
Un altro emulo di Elvis era in un certo senso anche Little Tony, che rappresentava anzi l’altra faccia del rock americano, quella più veloce e ballabile. Antonio Ciacci, sammarinese con un passato di musicista in Inghilterra, ritornò infatti col nome di Little Tony in Italia nel 1961, cantando 24 mila baci in coppia con Adriano Celentano al Festival di Sanremo. Il vero successo da solista, però, sarebbe arrivato tra il 1966 e il 1967, prima con Riderà e poi con Cuore matto, un brano scritto per lui da Armando Ambrosino e Totò Savio.
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La canzone fu presentata ancora una volta al Festival di Sanremo, in coppia con Mario Zelinotti, classificandosi solo al decimo posto dietro ad altri successi del periodo come Io, tu e le rose di Orietta Berti, Bisogna saper perdere di Lucio Dalla e dei Rokes e L’immensità di Don Backy e Johnny Dorelli. Nelle vendite, però, il brano di Little Tony surclassò tutti, tanto che al cantante fu pure dedicato un immediato musicarello (Cuore matto… matto da legare) interpretato dallo stesso Little Tony e da Ferruccio Amendola.
Adriano Celentano – Azzurro
Il trionfo della canzone nazionalpopolare
Concludiamo con un brano che, uscito nel 1968, segnò il cambiamento di un’epoca, grazie ad un testo non più incentrato sulle solite dinamiche amorose e in un certo senso quasi psichedelico, pur se affidato ad un cantante abbastanza tradizionale. Stiamo parlando di Azzurro, sicuramente uno dei pezzi più famosi e importanti di quell’epoca, scritto da Paolo Conte e Michele Virano per la musica e da Vito Pallavicini per il testo, e portato al successo, com’è noto, da un Adriano Celentano che stava già da qualche anno rinnovando la sua immagine, legando le sue canzoni a temi nuovi come l’ecologia e la religione.
[wpzon spec=”1″ asin=”B0098B4DNC,B005SYYCDE,B009ICEOGC” country=”it” listing=”3″ col=”3″ descr=”0″]Il brano è diventato negli anni uno dei più rappresentativi dell’italianità, assieme a Nel blu dipinto di blu e a pochi altri; in esso, d’altronde, riescono a convivere le spiagge, i cieli azzurri, il sogno, l’oratorio, il caldo, oltre a una musica che mescola pop e marcetta, sacro e profano, il tradizionalismo italiano e perfino qualche influenza jazz. Ne nacque quella che è forse la canzone nazionalpopolare per eccellenza, che però ancora oggi merita di essere ricordata tra le migliori della nostra storia.