Cinque famose canzoni di protesta di Bob Dylan

Alla scoperta delle canzoni di protesta di Bob Dylan

Quando si parla di canzoni di protesta, la mente non può fare a meno di andare subito e immediatamente a Bob Dylan, soprattutto al Bob Dylan degli anni ’60.

In quel decennio, infatti, il cantautore americano riuscì a definire i contorni di un genere che era già stato esplorato anche nei decenni precedenti – basti pensare a Woody Guthrie e Pete Seeger [1] – ma che solo con lui raggiunse un successo planetario, diventando la guida e il simbolo di un’intera generazione.

Con una manciata di album, infatti, Dylan mostrò come la musica folk prima e rock poi potesse essere usata per veicolare messaggi sociali e politici. Spesso in maniera molto più efficace e diretta di libri o discorsi.

E se anche nei decenni successivi l’impegno politico di Dylan è diventato più indiretto e obliquo, non sono mancate neppure negli anni ’70 e ’80 delle canzoni capaci di entrare nella leggenda. Ecco comunque, in generale, le cinque che secondo noi hanno lasciato maggiormente il segno.

 

1. Blowin’ in the Wind

da The Freewheelin’ Bob Dylan, 1963

Se di canzoni di protesta e di Bob Dylan bisogna parlare, non si può non cominciare da Blowin’ in the Wind [2]. Ovvero da quello che è forse il più noto brano che il cantautore folk scrisse negli anni ’60 e in generale in tutta la sua carriera.

La canzone era ispirata per la musica da un coro gospel afroamericano [3] e per il testo, probabilmente, da un passo dell’autobiografia di Pete Seeger che il cantautore stava leggendo in quei mesi. In ogni caso, il pezzo divenne immediatamente un inno generazionale.

Un giovane Bob Dylan sulla copertina del singolo di Blowin' in the Wind

Non a caso, venne ripreso e ricantato da una grande miriade di artisti già a distanza di poche settimane dalla prima pubblicazione. Tra questi c’erano Joan Baez [4], Peter, Paul & Mary, Sam Cooke, Marianne Faithfull, Neil Young, Bruce Springsteen. Fu tradotta anche dal nostro Luigi Tenco e venne adottata pure da organizzazioni religiose.

Il senso della vita

Il testo, d’altronde, si adatta bene a tutti i tentativi di cercare un senso nella vita dell’uomo moderno, angosciato da mille problemi politici e sociali.

How many roads must a man walk down
before you can call him a man?
Yes, ‘n’ how many seas must a white dove sail
before she sleeps in the sand?
Yes, ‘n’ how many times must the cannonballs fly
before they’re forever banned?
The answer, my friend, is blowin’ in the wind,
the answer is blowin’ in the wind.

Che, tradotta, suona più o meno così.

Quante strade deve percorrere un uomo prima che lo si possa chiamare uomo? E quanti mari deve sorvolare una colomba bianca prima che possa riposarsi nella sabbia? E quante volte devono volare le palle di cannone prima che siano bandite per sempre? La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento, la risposta sta soffiando nel vento.

 

2. Masters of War

da The Freewheelin’ Bob Dylan, 1963

Blowin’ in the Wind fu pubblicata all’interno di The Freewheelin’ Bob Dylan, il primo vero album di Dylan, o quantomeno il primo di cui era autore. Un album epico, indimenticabile, che è entrato giustamente nella storia del rock ma anche più in generale della cultura americana del Novecento.

Al suo interno, tre erano a nostro avviso le canzoni di protesta che meritano di essere incluse nella nostra cinquina. Oltre alla già citata Blowin’ in the Wind, c’erano infatti Masters of War e A Hard Rain’s a-Gonna Fall.

Masters of War era contenuta nel celebre album The Freewheelin' Bob Dylan

La seconda, Masters of War [5], era anch’essa una riscrittura di un brano folk tradizionale, Nottamun Town. Era impreziosita però da un testo che abbandonava il simbolismo di certi altri pezzi in favore di un attacco diretto e feroce contro la guerra. E in particolare contro i cosiddetti signori della guerra.

Un Dylan arrabbiato

La collera di Dylan era, per l’epoca, qualcosa di inatteso e sorprendente in una canzone folk.

And I hope that you die
and your death’ll come soon.
I will follow your casket
in the pale afternoon.
And I’ll watch while you’re lowered
down to your deathbed
and I’ll stand over your grave
‘til I’m sure that you’re dead!
 
E spero che voi [i signori della guerra] moriate e che la vostra morte arrivi presto. Seguirò la vostra bara nel pomeriggio pallido. E guarderò fino a quando non sarete calati nella vostra fossa e rimarrò sulla vostra tomba finché non sarò sicuro che siete morti!

 

3. A Hard Rain’s a-Gonna Fall

da The Freewheelin’ Bob Dylan, 1963

Concludiamo il trittico di The Freewheelin’ con A Hard Rain’s a-Gonna Fall [6]. Un’altra canzone basata su una ballata tradizionale, stavolta medievale: Lord Randall.

Il brano era strutturato su uno schema di domande e risposte, che però trovava il suo elemento di forza ancora una volta nel testo. Un testo che quando il disco uscì, nel 1963, sembrava alludere palesemente alla crisi missilistica di Cuba, che aveva gettato nel terrore mezzo mondo – e soprattutto i cittadini americani – appena pochi mesi prima, nell’ottobre del 1962.

A Hard Rain's a-Gonna Fall, una delle più famose canzoni di protesta di Bob Dylan

Come sicuramente ricorderete, infatti, in quel mese un aereo di ricognizione americano scoprì, sorvolando Cuba, che i russi vi stavano installando missili con testate nucleari puntati direttamente sulle principali città degli USA.

La cosa che provocò l’immediata reazione del presidente Kennedy e tredici giorni di tensione altissima tra le due superpotenze di allora.

La pioggia come metafora

La canzone in realtà era stata scritta qualche mese prima della questione di Cuba. La pioggia non era tanto intesa da Dylan come una pioggia atomica, ma come una metafora dei tempi cupi in cui si stava vivendo e di come sarebbero però presto cambiati.

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Oh, where have you been, my blue-eyed son?
Oh, where have you been, my darling young one?
I’ve stumbled on the side of twelve misty mountains,
I’ve walked and I’ve crawled on six crooked highways,
I’ve stepped in the middle of seven sad forests,
I’ve been out in front of a dozen dead oceans,
I’ve been ten thousand miles in the mouth of a graveyard.
And it’s a hard, and it’s a hard, it’s a hard, and it’s a hard,
and it’s a hard rain’s a-gonna fall.
 
Oh, dove sei stato, figlio mio dagli occhi azzurri? Oh, dove sei stato, mio caro giovane? Ho inciampato sul fianco di dodici montagne nebbiose, ho camminato e strisciato su sei strade tortuose, ho camminato in mezzo a sette foreste tristi, sono uscito davanti a dodici oceani morti, sono stato per diecimila miglia nella bocca di un cimitero. E una dura, dura, dura pioggia sta per cadere.

 

4. The Times They Are a-Changin’

da The Times They Are a-Changin’, 1964

Spostiamoci avanti di un solo anno con The Times They Are a-Changin’ [7], brano che dava il titolo anche al terzo disco di Bob Dylan. Quello fu anzi il primo album firmato da un autore che era ormai una personalità di spicco del panorama musicale americano.

Il pezzo è stato definito l’archetipo della canzone di protesta. E si è legato indissolubilmente sia al movimento giovanile che in quegli anni iniziava a ritagliarsi sempre nuovi spazi, sia alla morte del presidente Kennedy, che avvenne appena un mese dopo la registrazione del pezzo.

The Times They Are A-Changin' di Bob Dylan

A quel tempo Dylan già andava in giro ad eseguirlo in apertura dei suoi concerti in attesa che venisse pubblicato su disco. E un concerto si tenne proprio la sera successiva all’assassinio avvenuto a Dallas.

Dylan scelse comunque di suonare comunque una canzone che poteva anche essere ritenuta inappropriata, in quel particolare momento.

Un vero inno

Mentre la musica è ancora una volta ispirata a vecchie ballate irlandesi e scozzesi, il testo doveva essere anche nelle intenzioni del cantautore un inno generazionale. L’aveva pensato, infatti, come un tentativo di esprimere quanto i giovani di allora stavano sentendo e faticavano a far venire fuori.

Come senators, congressmen, please heed the call.
Don’t stand in the doorway, don’t block up the hall.
For he that gets hurt will be he who has stalled,
there’s a battle outside and it is ragin’.
It’ll soon shake your windows and rattle your walls,
for the times they are a-changin’.
 
Come mothers and fathers throughout the land,
and don’t criticize what you can’t understand.
Your sons and your daughters are beyond your command,
your old road is rapidly agin’.
Please get out of the new one if you can’t lend your hand,
for the times they are a-changin’.

Che in italiano suona più o meno così.

Venite senatori, uomini del Congresso, per favore date importanza alla chiamata. Non rimanete sulla porta, non bloccate l’atrio. Perché ad essere ferito sarà chi ha cercato di bloccare tutto, c’è una battaglia là fuori e sta infuriando. Presto scuoterà le vostre finestre e farà tremare i vostri muri, perché i tempi stanno cambiando. Venite madri e padri da tutto il paese, e non criticate ciò che non potete capire. I vostri figli e le vostre figlie sono al di là dei vostri ordini, la vostra vecchia strada sta rapidamente invecchiando. Per favore spostatevi dalla nuova se non potete dare una mano, perché i tempi stanno cambiando.

 

5. Hurricane

da Desire, 1976

Come dicevamo, il momento di maggior impegno politico per Bob Dylan fu quello degli anni ’60. In quel decennio, con pochi album e brani [8] seppe proporsi come rappresentante di un’intera generazione che non voleva accettare il mondo così come le veniva consegnato.

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Ma se negli anni successivi Dylan decise di intraprendere nuove strade, non dimenticò comunque mai questa vena, facendola ricomparire in maniera più esplicita in alcuni brani.

Hurricane di Bob Dylan

Hurricane, pubblicato nel 1976 all’interno dell’album Desire, è uno di questi. Scritto dopo aver letto l’autobiografia del pugile Rubin “Hurricane” Carter [9], racconta la storia dell’ingiusta condanna dello stesso, vittima di un processo-farsa organizzato per motivi razziali.

Quando la canzone fu pubblicata, Carter era infatti in prigione da dieci anni e vi sarebbe rimasto per altri nove, prima che una revisione del processo portasse la corte all’ammissione dell’ingiusta condanna per omicidio.

Per la scarcerazione

Dylan partecipò così a un movimento di protesta che dopo la sua canzone – scritta tra l’altro con l’aiuto del commediografo e psicologo Jacques Levy [10] – si industriò per ottenere la scarcerazione di “Hurricane”.

All of Rubin’s cards were marked in advance.
The trial was a pig-circus, he never had a chance.
The judge made Rubin’s witnesses drunkards from the slums,
to the white folks who watched he was a revolutionary bum.
And to the black folks he was just a crazy nigger.
No one doubted that he pulled the trigger.
And though they could not produce the gun,
the D.A. said he was the one who did the deed
and the all-white jury agreed.
 
Tutte le carte di Rubin erano segnate dall’inizio. Il processo fu una farsa, non aveva alcuna possibilità. Il giudice fece sembrare i testimoni di Rubin degli ubriaconi degli “slums”, per i bianchi che lo guardavano era solo un sedizioso rivoluzionario. E per i neri era solo un negro pazzo. Nessuno dubitò che avesse premuto il grilletto. E anche se non riuscirono a produrre la pistola, il Pubblico Ministero disse che era lui il colpevole e la giuria composta di soli bianchi fu d’accordo.

 

E voi, quale canzone di protesta di Bob Dylan preferite?

Ecco cinque famose canzoni di protesta di Bob Dylan: vota la tua preferita.

 

Note e approfondimenti

[1] In questo interessante video degli anni ’60, tra l’altro, si può vedere Pete Seeger mentre introduce Woody Guthrie alla TV britannica. Se poi volete approfondire il contenuto sociale dell’impegno musicale dei due cantautori, leggete qui.
[2] Se volete riascoltarla, guardatevi questo video in cui Bob Dylan la esegue alla TV americana nel 1964.
[3] Si trattava di No More Auction Block, come chiarì qualche anno dopo lo stesso Dylan. La canzone tradizionale potete ascoltarla qui.
[4] Qui potete sentire la particolarissima e celebre versione di Joan Baez.
[5] La versione originale di questa canzone si può recuperare qui.
[6] Qui trovate la traccia audio originale.
[7] Una rara esibizione filmata del 1964 la potete trovate qui. Questa versione del brano è più corta di quella incisa su disco, perché manca di alcune strofe.
[8] Basti citare, tra quelli non inclusi in cinquina, pure i dischi Another Side of Bob Dylan (con Chimes of Freedom) e Bringing It All Back Home (che pure rappresentava un primo cambio stilistico, con Maggie’s Farm).
[9] Carter è morto non molto tempo fa, a 76 anni d’età. Qui potete leggere la notizia data a suo tempo sui giornali italiani.
[10] Se volete approfondire il rapporto tra i due, qui trovate una serie di video in cui Levy parla del suo rapporto con Dylan.

 

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