I più famosi ebrei italiani prima della Seconda guerra mondiale

Amedeo Modigliani – uno dei più celebri ebrei italiani di inizio Novecento – nel suo studio a Parigi

Quando, nel 1938, il regime fascista emanò le leggi razziali, colpì non solo un gran numero di ebrei italiani, ma anche gran parte del ceto intellettuale del nostro paese. La componente ebraica, che era numericamente molto contenuta, aveva infatti ruoli di grande rilievo in tutte le istituzioni artistiche, scientifiche e letterarie. Ruoli che – si badi bene – non aveva certo usurpato, come sosteneva la retorica antisemita, ma si era guadagnata con studi, ricerche, scoperte.

Se si potesse scorrere un ipotetico elenco dei grandi d’Italia dall’Unità fino al 1938, infatti, troveremmo moltissimi italiani di origini ebraiche. In tutti i campi: dalla politica all’economia, dalla matematica all’arte, dalla letteratura alla fisica.

Visto che quelli del dopoguerra sono molto spesso arcinoti – e magari dedicheremo anche a loro, in futuro, un adeguato articolo – ma poco si sa di quelli che operarono fino alla tragedia nazifascista, ecco la vita e le opere di cinque ebrei che hanno fatto grande l’Italia, o, meglio, quello che allora era il Regno d’Italia.

 

1. Sidney Sonnino

Certi nomi di questa cinquina vi suoneranno familiari, perché li avete studiati nei libri di scuola.

Uno di questi è quello di Sidney Sonnino, che avrete trovato più volte sul vostro manuale di storia. Magari chiedendovi il perché di quel nome di battesimo così anglofilo, quasi australiano, se non fosse per una “i” al posto di una “y”.

Sidney Sonnino, per metà ebreo ma di religione anglicana

Ebbene, Sonnino nacque nel 1847 a Pisa, figlio di un commerciante ebraico italiano, Isacco Saul Sonnino, che aveva a lungo operato in Egitto. Sua madre, però, era nobile, inglese ed anglicana: si chiamava Georgiana Sophia Arnaud Dudley e diede al piccolo il nome di suo padre, Sidney. Anche quest’ultimo fu educato alla fede anglicana.

Sonnino studiò tra Pisa e Firenze e si avviò alla carriera diplomatica, lavorando per qualche anno nelle ambasciate di mezza Europa. Rientrato in Italia, si occupò poi di una celebre inchiesta sulla Sicilia che fotografò per la prima volta le motivazioni dell’arretratezza del meridione.

Entrato in Parlamento nella fila della destra storica, si avvicinò alle idee di Crispi sia in politica interna che estera, tanto che entrò nel suo terzo governo come Ministro delle Finanze e del Tesoro. Successivamente si arroccò su posizioni dure nei confronti delle sinistre emergenti e del clericalismo.

Capo del Governo e protagonista nella Grande guerra

Fu capo dei conservatori all’opposizione dei governi di Giolitti, fino a quando, nel 1906, non fu nominato a sua volta Capo del Governo, cercando di intervenire sulla questione meridionale, di cui era considerato ormai un esperto.

Tornò al governo un’altra volta, ma nel 1910 lasciò spazio di nuovo a Giolitti, ritornando però in posizione preminente durante la Grande guerra, quando fu nominato Ministro degli Esteri, forte della sua esperienza.

Fu quindi uno dei protagonisti – se non “il” protagonista – del Patto di Londra, che fece entrare l’Italia in guerra con l’Intesa.

Partecipò poi alla Conferenza di pace di Parigi assieme al Primo Ministro Vittorio Emanuele Orlando, dalla quale però ottenne meno di quanto sperato. Morì a Roma pochi anni più tardi, nel 1922.

 

2. Vito Volterra

Completamente ebraica, e per la verità molto povera, era invece la famiglia di Vito Volterra, un italiano che sarebbe diventato uno dei più grandi matematici della sua epoca.

Nato ad Ancona nel 1860, poco prima dell’annessione al Regno d’Italia, rimase orfano di padre a due anni e fu costretto a cambiare città più volte, anche se riuscì ad avere un’istruzione almeno discreta.

Vito Volterra

Molto portato per la matematica e per la fisica, venne aiutato economicamente negli studi dal suo professore, il ferrarese Antonio Roiti, che aveva intravisto in lui un futuro radioso.

Entrò così alla Normale di Pisa e si laureò in fisica. A 23 anni, ragazzo prodigio, era già professore di meccanica razionale all’Università di Pisa.


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In quegli anni studiò le equazioni integrali, arrivando a risultati che sarebbero stati di fondamentale importanza per la matematica contemporanea. Passato a Torino, studiò le derivate, anche in relazione alle onde cilindriche, prima di approdare nel 1900 all’Università di Roma.

Il matematico antifascista

Nominato senatore per meriti scientifici ad appena 45 anni, partecipò alla Prima guerra mondiale nel Corpo Militare degli Ingegneri, fondando un Ufficio invenzioni e ricerche che si sarebbe poi trasformato negli anni nell’attuale CNR.

Nel dopoguerra applicò le sue idee matematiche alla biologia, ottenendo altri importanti successi e diventando anche presidente dell’Accademia dei Lincei.

A interromperne la carriera fu solo l’antifascismo. Firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e rifiutò di giurare fedeltà al regime. Costretto di conseguenza a lasciare gli incarichi, si trasferì all’estero. Tornò in Italia solo poco prima di morire, nel 1940.

 

3. Italo Svevo

Per Italo Svevo non c’è bisogno di grandi presentazioni, perché tutti gli studenti italiani l’hanno studiato in preparazione all’Esame di maturità. E tutti sanno della sua triestinità, del suo sentirsi diviso tra Italia e Germania, come emerge anche dallo pseudonimo scelto.

Ma non tutti ricordano che Aron Hector Schmitz – questo il nome con cui fu registrato all’anagrafe – era in realtà di origini ebraiche. Nato appunto a Trieste (allora parte dell’Impero Austro-Ungarico) nel 1861, era figlio di borghesi ebrei, lui – Franz Schmitz – tedesco, lei – Allegra Moravia – italiana.

Italo Svevo, un coacervo di culture diverse

Cresciuto con l’italiano come lingua madre, fu però mandato dal padre a studiare in Baviera, sentendosi così scisso tra due culture. Tornò a Trieste nell’adolescenza e studiò all’Istituto commerciale, con l’intento di ereditare gli affari del padre.

L’azienda però fallì presto e lui dovette trovare un’occupazione presso una banca austriaca. Ad interessargli maggiormente erano però la letteratura e la filosofia, tanto che cominciò a collaborare con varie riviste.

Nel 1892 uscì il suo primo romanzo, Una vita. Dopo la morte dei genitori, si sposò con una ricca cugina, abiurando alla religione ebraica e convertendosi al cattolicesimo.

A Triste, sospeso tra due mondi

Arrivò quindi il secondo romanzo, Senilità, che però, come il precedente, non ebbe successo. Nel frattempo aveva conosciuto James Joyce e si era avvicinato alle dottrine di Sigmund Freud, che avrebbero avuto un’influenza notevole in lui.

Nel 1923, dopo anni di lontananza dalla narrativa, pubblicò quindi La coscienza di Zeno, che con lentezza venne notato dai critici (in Italia a promuoverlo fu Eugenio Montale).

La fama se la poté godere però poco: nel 1928 fu coinvolto in un incidente automobilistico e spirò poco dopo, in seguito a una crisi respiratoria dovuta al trauma. Il funerale si svolse secondo il rito ebraico.

 

4. Tullio Levi-Civita

Il più celebre scienziato ebreo del Novecento è, senza ombra di dubbio, Albert Einstein. Ma le scoperte di Einstein non arrivarono dal nulla: furono il frutto, piuttosto, di una serie di avanzamenti e progressi che la comunità scientifica aveva fatto nel corso degli anni, e che il tedesco riuscì a convogliare verso un punto d’arrivo.

Non è un caso che alla domanda su cosa gli piacesse dell’Italia, Einstein, in tempi non sospetti, rispondesse: «Gli spaghetti e Levi-Civita».

Tullio Levi-Civita, grande matematico di origini ebraiche

Tullio Levi-Civita è infatti uno dei principali anticipatori, almeno dal punto di vista matematico, delle teorie einsteiniane.

Nato a Padova nel 1873, era figlio di una importante famiglia ebraica: suo padre, Giacomo, nativo di Rovigo, aveva combattuto nelle guerre risorgimentali ed era stato nominato senatore del Regno.


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Tullio non ebbe però bisogno dell’influenza paterna per fare carriera: a soli 24 anni era già titolare della cattedra di meccanica razionale a Padova, collaborando con Ugo Amaldi. Poi passò alla Sapienza di Roma, dove rimase fino al 1938, quando le leggi razziali lo costrinsero a lasciare l’insegnamento.

Il matematico che ispirò Einstein

Nel frattempo aveva dato contributi importantissimi sviluppando il calcolo tensoriale a partire da alcuni lavori di Elwin Bruno Christoffel.

Il suo articolo sulla teoria dei tensori uscì nel 1900, venendo poi ripreso da Einstein per la formulazione della teoria della relatività, ma anche da Weyl nel tentativo di unificare forze gravitazionale ed elettromagnetica.

Negli ultimi anni visse isolato a Roma, anche se, per volere di papa Pio XI, fu nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze, cosa che gli consentì di continuare a percepire uno stipendio e a lavorare in Italia. Morì alla fine del 1941.

 

5. Amedeo Modigliani

Concludiamo con il più recente, almeno per nascita, della nostra cinquina: Amedeo Modigliani. Nato nel 1884 a Livorno, anch’egli proveniva da una famiglia ebraica.

Suo padre, Flaminio, era l’erede di una famiglia che risiedeva in città da qualche generazione, ma era originaria di Roma. Sua madre, Eugénie Garsin, era invece di Marsiglia. Entrambi i genitori, a dispetto dell’origine, erano atei.

I figli furono così educati in maniera aconfessionale, e non a caso uno dei fratelli maggiori di Amedeo, Giuseppe Emanuele, avrebbe aderito al Partito Socialista, vivendo in esilio durante il fascismo e venendo poi eletto all’Assemblea Costituente nel dopoguerra.

Il pittore fragile adottato da Parigi

Amedeo era di salute fragile, tanto è vero che già nell’adolescenza dovette abbandonare gli studi a causa della tubercolosi.

Proprio le giornate passate in casa, però, lo avvicinarono al disegno. Poté così formarsi nello studio di Guglielmo Micheli, allievo di Giovanni Fattori e aderente alla corrente dei macchiaioli.

Amedeo Modigliani

A 18 si spostò poi a Firenze, a 19 a Venezia e a 22 a Parigi, inseguendo la possibilità di imporsi sulla scena internazionale. Stabilitosi a Montmartre, iniziò a lavorare come pittore e scultore, allacciando amicizie con tutti i più grandi artisti dell’epoca.

Conobbe e ritrasse Pablo Picasso, Diego Rivera, Max Jacob, Jean Cocteau e tanti altri.

La vita breve e difficile

Per quanto riguarda la pittura, iniziò appunto coi ritratti (prima solo della testa, poi della figura intera) ma in un secondo momento passò al nudo, con quadri che scandalizzarono le autorità del tempo.

Piazzare i suoi lavori era però particolarmente difficile, e le relazioni sentimentali burrascose e le precarie condizioni di salute non lo aiutavano.

Inoltre, come vari artisti che vivevano a Parigi all’epoca, Modigliani aveva uno stile di vita dispendioso e, per così dire, poco salubre, che di certo non gli dava equilibrio.

Morì all’inizio del 1920, a 35 anni d’età. Il successo arrivò postumo, con quadri che oggi sono valutati anche centinaia di milioni di dollari.

 

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