
I dati di Google, come quelli di accesso ai siti internet in generale, permettono di comprendere molte cose sul mondo che ci circonda.
Prendiamo il caso di Patrick Modiano, vincitore qualche anno fa del premio Nobel per la letteratura: i grafici del motore di ricerca sono infatti in grado di mostrarci, a colpo d’occhio, come lo scrittore francese fosse un perfetto sconosciuto fino al giorno precedente alla vittoria del premio, e come il suo nome sia diventato all’improvviso uno dei più ricercati.
Le recenti assegnazioni ci hanno infatti insegnato che la giuria del Nobel a volte sceglie nomi già famosi, dando un ulteriore riconoscimento a chi è già riuscito a farsi apprezzare anche dal grande pubblico; altre volte invece opta per autori di nicchia, o provenienti da paesi piuttosto lontani dal centro del mercato editoriale.
Per chiedere anche a voi un’opinione sulla questione e per cercare di capire quali siano state le decisioni che più avete condiviso negli ultimi 20 o 30 anni, abbiamo provato a proporre ai nostri lettori uno dei nostri soliti sondaggi: ed ecco, quindi, quali sono i cinque premi Nobel che considerate maggiormente azzeccati.
Indice
4. Doris Lessing
Cantrice (suo malgrado) delle donne e dei gatti
È scomparsa pochi anni fa, poco prima di compiere novantacinque anni, la scrittrice britannica Doris Lessing, premio Nobel per la letteratura nel 20071, che voi avete fatto salire al quarto posto a pari merito – con un’altra donna – della nostra classifica.
Nata in Persia – da un ex ufficiale mutilato durante la Prima guerra mondiale e da un’infermiera – e cresciuta nella Rhodesia britannica, la Lessing ha esordito nel mondo letterario nel 1950, appena tornata in Europa e reduce dal suo secondo, e ultimo, divorzio.
Il suo primo libro era intitolato L’erba canta, ma fu soprattutto a partire dal decennio successivo che ottenne fama internazionale, come dimostra il successo de Il taccuino d’oro, datato 1962, presto diventato un romanzo di riferimento per le femministe europee.
Dal femminismo alla fantascienza
Al contrario di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, la Lessing ha però sempre guardato con sospetto alle etichette: non si è mai voluta considerare una scrittrice femminista e per tutta risposta, dopo il successo di quel libro, si è data ad un ciclo fantascientifico, la serie di Canopus in Argos, cominciata nel 1979 con Shikasta.
Questa sua eterogeneità di interessi le ha in parte proibito, per un certo periodo, di accedere a certi premi.
Ciononostante, il successo del romanzo Il quinto figlio, nel 1988, e perfino di tutta una serie di racconti scritti sui gatti le ha permesso di ottenere i meritati riconoscimenti soprattutto dalla fine degli anni ’80, come il Premio Grinzane Cavour, l’introduzione nella Royal Society, il Premio Principe delle Asturie e il già citato Nobel.
4. Alice Munro
La regina canadese del racconto
L’altra donna che ha conquistato la quarta posizione della nostra classifica è ancora una scrittrice di lingua inglese e suddita di sua maestà la regina Elisabetta II, anche se di nazionalità canadese: Alice Munro, vincitrice del Nobel nel 2013 con la motivazione che «leggere Alice Munro è imparare ogni volta qualcosa cui non si era mai pensato prima».
Specialista dei racconti, la Munro è nata nel 1931 in Ontario, da una famiglia di allevatori e agricoltori; dopo una prima parte della sua vita dedicata alla famiglia e alle figlie, negli anni Sessanta si trasferì col marito a Victoria, nella British Columbia, dove prima aprì una libreria e poi pubblicò la sua prima raccolta di racconti, La danza delle ombre felici.
L’importanza della voce narrante
Il grande successo, soprattutto negli Stati Uniti e di rimando nel mondo intero, arrivò nel 1978 con la raccolta Chi ti credi di essere?, a cui hanno fatto seguito Segreti svelati, Nemico, amico, amante… e il recente Uscirne vivi.
In generale, la sua opera in Italia è arrivata però piuttosto tardi, solo a partire dagli anni Novanta grazie all’investimento della piccola casa editrice milanese La Tartaruga, specializzata nel pubblicare narrativa femminile e femminista.
Nel 2012, sulla scia di quanto annunciato dal collega Philip Roth – uno che al Nobel è stato a lungo dato per favorito ma che non è riuscito a vincerlo –, ha dichiarato di volersi ritirare dalla scena letteraria, non pubblicando più ulteriori raccolte di racconti.
3. Wisława Szymborska
Il gusto ironico della poesia
Ancora una volta donna e scomparsa da pochi anni è anche Wisława Szymborska, poetessa polacca che è arrivata al Nobel nel 1996 ma che solo negli ultimi tempi ha acquisito notorietà in Italia, diventando una autrice letta, tradotta e studiata anche nel nostro paese2.
Nata vicino a Poznan nel 1923, passò tutta la sua vita a Cracovia, dove lavorò, si sposò e scrisse. Dopo la guerra aderì anche entusiasticamente alla stalinizzazione della Polonia, iscrivendosi al Partito e pubblicando due raccolte poetiche che, tra le altre cose, esaltavano Lenin e l’industrializzazione forzata.
Sul finire degli anni ’50, però, cominciò a maturare in lei una diversa concezione sia politica che letteraria, che la portò ad avvicinarsi in maniera sempre più netta ai circoli di opposizione e a collaborare anche con le riviste degli esuli polacchi.
Gli espedienti retorici
Allo stesso tempo la sua poesia si fece più realista, disincantata e ironica, in un cambiamento sottolineato anche dalla giuria del Nobel nella motivazione con cui le fu assegnato il prestigioso premio: «Per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà».
Linguisticamente molto semplici e basate sul verso libero, le sue poesie facevano largo uso di espedienti retorici come l’ironia, il paradosso, gli eufemismi, nascondendo però un sostrato filosofico ed esistenziale.
Tra le sue opere pubblicate in Italia si segnalano Appello allo Yeti, la raccolta con cui nel 1957 iniziò a distaccarsi dai dettami del Partito Comunista, Uno spasso, del 1967, Vista con granello di sabbia, del 1996.
Inoltre bisogna menzionare Due punti, la sua ultima opera che in Polonia arrivò a vendere addirittura 40mila copie, e la raccolta La gioia di scrivere, edita da Adelphi nel 2009, che raccoglie tutte le sue poesie.
2. Dario Fo
Il giullare degli oppressi
Non poteva mancare, in questa classifica, l’unico scrittore italiano che negli ultimi anni sia riuscito a convincere gli accademici di Svezia: Dario Fo, che nel 1997 ha riportato in Italia un premio che mancava dai tempi di Montale, nel 1975.
A sorprendere, quindi, non è tanto la sua inclusione in questa cinquina, quanto il fatto che non sia arrivato primo.
Sarà che effettivamente sono ormai passati un bel po’ di anni da quel giorno in cui l’Accademia di Svezia gli assegnò il premio3, sarà perché le sue opere sono meno “letterarie” e più teatrali, ma i nostri lettori l’hanno fatto arrivare solamente al secondo posto della graduatoria, preceduto, come vedremo, da José Saramago.
I grandi successi politici
La carriera di Fo è piuttosto nota: varesotto, esordì in Rai negli anni ’50 come autore di testi satirici e attore, salvo passare, nel decennio successivo, al teatro e in particolare al teatro alternativo, visto come un’occasione da un lato per sfuggire alla censura televisiva, dall’altro per incontrare fette di popolazione che erano normalmente escluse dagli spettacoli tipici del teatro borghese.
Nel 1969 ottenne un grandissimo successo con Mistero buffo, una “giullarata” per un unico attore scritta con largo uso del grammelot; l’anno dopo fu la volta di Morte accidentale di un anarchico, commedia fortemente legata all’attualità e alla morte dell’anarchico Pinelli.
Oltre all’impegno politico – particolarmente intenso ancora oggi – e alle apparizioni televisive, Fo ha comunque continuato a sfornare commedie, anche se con meno frequenza rispetto a un tempo.
Tra quelle più recenti bisogna ricordare L’anomalo bicefalo, del 2004, Marino libero! Marino è innocente!, del 1998, e Johan Padan a la descoverta de le Americhe, del 1992; più indietro nel tempo, invece, La signora è da buttare, Non si paga! Non si paga! e Settimo: ruba un po’ meno.
1. José Saramago
La voce letteraria del Portogallo moderno
In testa alla nostra classifica si è infine posizionato, come già detto, il portoghese José Saramago, premiato col Nobel proprio l’anno dopo di Dario Fo e con la motivazione che «la sua opera si presenta come una serie di progetti che tutti insieme rappresentano un nuovo tentativo di avvicinarsi a una realtà che è difficile da afferrare».
Nato nell’entroterra del paese, non distante da Lisbona, nel 1922, si trasferì nella capitale da ragazzo e iniziò a lavorare nel campo editoriale negli anni Quaranta.
La sua avversione alla dittatura di Salazar, comunque, gli impedì a lungo di pubblicare lavori a nome proprio, costringendolo ad occuparsi invece di traduzioni, saggi e al massimo di poesie.
La scrittura dopo la rivoluzione
Fu con la Rivoluzione dei garofani del 1974 e con l’avvento della democrazia nel paese che Saramago poté finalmente mettersi a scrivere con continuità: nel 1977 comparve così il Manuale di pittura e calligrafia, ma il grande successo arrivò poco dopo con Memoriale del convento (1982) e L’anno della morte di Ricardo Reis (1984).
Negli anni ’90, infine, acquisì ancora più fama internazionale con Storia dell’assedio di Lisbona e Cecità, ma anche per alcune polemiche – o presunte tali – nei confronti di varie personalità.
Si scagliò ad esempio contro personaggi politici (in Italia si parlò molto delle sue critiche a Berlusconi), governi (Israele in particolare) e religioni (molto aspro fu, in patria, il dibattito che seguì al suo Il Vangelo secondo Gesù Cristo, fortemente anticlericale). È scomparso nel 2010.
E voi, quale premio Nobel per la letteratura recente preferite?
Note e approfondimenti
- 1 Con la seguente motivazione: «Cantrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa».
- 2 E pure noi, nel nostro piccolo, non abbiamo mancato di citarla quando abbiamo riportato le migliori poesie d’addio della letteratura mondiale.
- 3 «Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi».