
Ci siamo occupati già varie volte, in passato, di Illuminismo, ed è inevitabile in fondo che sia così. Quel movimento culturale ha infatti segnato la storia di tutto l’Occidente, portandolo – nel bene e nel male – ad essere ciò che è1. Ed è quindi impossibile non finire per citare quei filosofi e quei pensatori quando si parla di politica, di filosofia, di storia. Non abbiamo però mai, fino ad ora, presentato un riassunto dell’Illuminismo in termini generali.
Cerchiamo di rimediare oggi. Qui di seguito abbiamo raccolto – in maniera sintetica ma allo stesso tempo esaustiva – tutti i temi principali che secondo noi bisogna toccare quando si cerca di inquadrare quel fecondo periodo storico.
Partiremo, come vedrete, da una panoramica generale, e poi cercheremo di inoltrarci sui principali esponenti di questo movimento, sia in Europa che in Italia. Senza dimenticare di parlare anche dell’Enciclopedia, dell’arte e della letteratura.
Indice
1. Che cosa fu l’Illuminismo
Prima di tutto, come già anticipato, cerchiamo di dare un po’ di coordinate generali, storiche e geografiche. In genere con il termine “Illuminismo” si identifica un movimento culturale – filosofico e non solo – che si sviluppò in varie zone d’Europa nel corso del XVIII secolo.
Il baricentro del movimento fu la Francia, anche se, come vedremo, gli illuministi francesi all’inizio si ispirarono ad istanze ed idee che si erano sviluppate precedentemente in Inghilterra. Dalla Francia poi gli scritti e le opere dei vari pensatori si diffusero in tutta Europa, alimentando il dibattito e la crescita del movimento.

Ma di cosa parlavano questi filosofi? Da cos’erano accomunati? La risposta la si trova, in parte, già nel nome di questa amplissima corrente. “Illuminismo” deriva infatti dalla definizione di “Età dei lumi“, etichetta con cui questi pensatori vollero identificare il loro tempo.
E il lume in questione era infatti quello della ragione. Dopo secoli di oscurantismo e di “buio”, per usare la loro stessa terminologia, la ragione aveva finalmente cominciato a trionfare, portando luce dove prima c’erano tenebre. E, ovviamente, su cosa si intende con “luce” e cosa con “tenebre” si giocava la natura del movimento.
Migliorare il mondo
L’Illuminismo si pose infatti, fin dagli inizi, una missione: quella di migliorare il mondo. C’erano varie cose che non funzionavano, sia a livello politico che intellettuale, e però ora c’erano anche i mezzi per correre ai ripari, per portare giustizia ed equilibrio.
Gli illuministi infatti scorsero nel mondo una serie di ingiustizie, tutte contrassegnate però da una radice comune. La base del male e delle storture era infatti per loro lo scarso uso della ragione.
Alla base del male e delle storture del mondo per gli illuministi c’è lo scarso uso della ragione.
Quando veniva mandato a morte un innocente, era spesso per via di pregiudizi irrazionali. Quando si dava troppo potere ad organizzazioni religiose era per via di assurde superstizioni. O ancora, quando si rinunciava alla propria libertà naturale era perché si era sempre fatto così e non perché ci fosse un fondamento razionale.
Insomma, per tradizione, paura e superstizione si era lasciato spazio ad una serie di ingiustizie che ora però la ragione poteva raddrizzare. A patto di lasciarla lavorare e permetterle di rischiarare la realtà.
La celebre definizione di Kant
L’Illuminismo non si proponeva però solo di cambiare il mondo. Voleva anche cambiare l’uomo. Come abbiamo detto, la guida non doveva più essere qualcosa di irrazionale (e in questo ambito gli illuministi facevano rientrare anche la fede), ma la ragione. E la ragione era presente in ogni uomo.

In questo senso è particolarmente emblematica la definizione che il grande filosofo Immanuel Kant diede, nel 1784, dell’Illuminismo. Il prussiano pubblicò infatti in quell’anno un saggio intitolato Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?
Lì Kant cercò di definire il movimento di cui anche egli stesso riteneva di far parte. E lo fece con queste celebri parole:
L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo.
2. I principali illuministi
Vediamo ora quali furono i pensatori che segnarono quell’epoca e che sono ancora oggi considerati i padri dell’Illuminismo. In primo luogo, però, dobbiamo rivolgerci al di fuori sia della Francia che del ‘700. Come abbiamo accennato, infatti, il movimento ebbe degli anticipatori importanti.

Più o meno nello stesso periodo, a livello politico una rivoluzione di portata simile veniva portata avanti dai parlamentari inglesi. Nel 1688 infatti il sovrano Giacomo II Stuart fu di fatto deposto dal Parlamento, che offrì la corona all’olandese Guglielmo d’Orange.
Il nuovo re accettò una serie di richieste che il Parlamento avanzava ormai da decenni, e che di fatto segnavano la nascita definitiva della monarchia parlamentare inglese. Uno dei protagonisti di quelle vicende fu il filosofo John Locke, che sintetizzò le sue dottrine politiche nei Due trattati sul governo (1690).
E i francesi? Partiamo da Montesquieu
Visti gli anticipatori, presentiamo ora quelli che in Francia, qualche decennio più tardi, ripresero le idee di Newton (o almeno il suo metodo rigoroso e scientifico) e Locke. I principali ammiratori dei maestri inglesi furono forse Montesquieu e Voltaire.

Il primo era addirittura un nobile, cosa meno strana di quanto possa sembrare, anche se l’Illuminismo si scagliava spesso e volentieri proprio contro i privilegi nobiliari. Il suo nome completo era, non per nulla, Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu. Lo si ricorda comunque semplicemente come Montesquieu.
In quel libro Montesquieu illustrava la necessità della divisione dei poteri, già in parte anticipata da Locke. È al pensatore francese che si deve, infatti, la distinzione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e soprattutto l’idea che questi poteri debbano essere divisi per evitare prevaricazioni sui cittadini.
Voltaire e Rousseau
Molti altri furono i grandi pensatori francesi, ma non abbiamo purtroppo il tempo di analizzarli tutti. Di Diderot e D’Alembert parleremo a breve, nel prossimo paragrafo, ma ora non possiamo non concludere il discorso con Voltaire e accennare almeno velocemente a Rousseau.

Il primo fu forse il personaggio più noto dell’Illuminismo francese. Era un abile polemista e uno scrittore di grido, oltre che un oratore in grado di incantare gli intellettuali nei salotti parigini. Scrisse opere di tutti i tipi, comprese commedie e saggi storici. È famoso però soprattutto per il Trattato sulla tolleranza e il Candido, un romanzo filosofico.
Secondo Rousseau, infatti, la società aveva inforcato da tempo una strada sbagliata, fondata sulla prevaricazione dell’uomo sull’uomo. Secondo lui bisognava quindi liberarsi di tutti i costrutti sociali e cercare di ritrovare la purezza delle origini, anche tramite forme di democrazia diretta.
L’Illuminismo anglosassone
L’Illuminismo non fu comunque solo una questione francese. Il mondo anglosassone, e in particolare inglese, gli aveva dato in un certo senso i natali, e quello stesso mondo seppe coltivarlo, anche in settori scarsamente esplorati dai francesi.
Quando parliamo di illuminismo anglosassone, dobbiamo però precisare che questa corrente non ebbe grandi pensatori in Inghilterra. Dopo Newton e Locke, infatti, in quel paese non comparvero filosofi illuministi, probabilmente perché le grandi riforme lì erano già avvenute, e non c’era bisogno di richiederle.
Possiamo trovare pensatori illuministi di lingua inglese invece sia in Scozia che in America. Nel primo caso basta citare i nomi di David Hume (grande filosofo che avrebbe influenzato Kant) e di Adam Smith (l’economista padre del liberismo, col suo saggio La ricchezza delle nazioni).
Al secondo gruppo invece appartengono personaggi celebri come Benjamin Franklin e Thomas Jefferson. Questi due non furono propriamente filosofi, perché si occuparono perlopiù di scienza e politica, ma l’influenza su di loro delle idee illuministe fu notevole. E così si riversò nello spirito americano e, tramite Jefferson, nella Dichiarazione d’Indipendenza.
La loro influenza in politica
Con i due pensatori americani, comunque, abbiamo già cominciato a vedere come l’Illuminismo non rimase solo una questione filosofica, ma cercò anche concretamente di cambiare il mondo e di plasmarlo ad immagine e somiglianza delle proprie idee. E questo però non avvenne solo in America – dove stava nascendo un paese nuovo – ma anche in Europa.

I filosofi illuministi riuscirono infatti a convincere alcuni sovrani del vecchio continente a varare delle riforme che in parte seguivano gli ideali del movimento filosofico. Questo fu possibile da un lato grazie alla grande influenza che pensatori come Voltaire e Diderot esercitavano sugli intellettuali europei, ma anche per motivi più contingenti.
Infine, l’Illuminismo si scagliava contro le gerarchie cattoliche e in particolare contro i loro privilegi. Questa dottrina consentiva quindi ai sovrani di requisire alla Chiesa delle terre e di far pagare le tasse agli ecclesiastici, cosa che avrebbe garantito un grande gettito fiscale.
Per tutti questi motivi, sovrani come il prussiano Federico II o gli austriaci Maria Teresa e Giuseppe II iniziarono ad attuare quelli che gli storici chiamarono il “Dispotismo illuminato“. E alcuni di essi – come Federico II con Voltaire o Caterina II di Russia con Diderot – strinsero anche amicizia coi filosofi francesi.
3. L’Enciclopedia
Prima di allargare il discorso ad altri temi, che hanno a che fare con l’Illuminismo da una prospettiva diversa, ci rimane da parlare di una cosa importante, di un simbolo di quell’epoca di fiducia e ottimismo: l’Enciclopedia.

Sotto questo nome venne pubblicata infatti un’opera importantissima e difficile, che ha lasciato un’importante eredità. Come sapete tutti, oggi di enciclopedie – digitali o cartacee – ne esistono infatti tantissime: sono raccolte di voci illustrative che spaziano in ogni ambito del sapere.
Appena quell’opera giunse in Francia, si pensò di tradurla. E l’incarico se lo assunsero Denis Diderot e Jean-Baptiste d’Alembert, che coinvolsero nel progetto vari altri studiosi. Quello che ne derivò, però, non fu una semplice traduzione, ma un ampliamento decisivo.
La storia di un’impresa titanica
Nacque così infatti l’Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, un’opera composta da ben 17 volumi di voci usciti nello spazio di 14 anni. Si sarebbero poi aggiunti, nei decenni successivi, anche dei volumi di illustrazioni e gli indici.

Un’opera per l’epoca titanica, sotto almeno due punti di vista. Da un lato, Diderot e in parte d’Alembert si impegnarono a coinvolgere nel progetto tutti i più grandi intellettuali francesi del tempo. Vi collaborarono infatti anche Voltaire, Rousseau, Montesquieu, Paul Henri d’Holbach, Étienne de Condillac, Claude-Adrien Helvétius, François Quesnay.
L’editore, ad ogni modo, finì più volte in carcere, un destino che toccò anche a Diderot. Furono però sempre detenzioni di breve durata, perché i vari sconvolgimenti politici permisero più volte agli enciclopedisti di riprendere il loro lavoro. E anzi i tentativi censori finirono per alimentare il mito di quest’opera e per far aumentare le vendite.
4. Nell’arte e nella letteratura
Dopo aver parlato a lungo di filosofia e in parte di politica, vediamo però ora come l’Illuminismo influenzò anche i campi che potremmo definire “artistici“. Fu un’influenza, bisogna dirlo subito, non di grandissimo rilievo, per ragioni intrinseche al movimento culturale stesso.
Come abbiamo scritto, l’Illuminismo infatti esaltava il ruolo della ragione e sminuiva quello invece delle passioni, dei sensi e delle emozioni. L’uomo illuminista era per certi versi freddamente razionale, un uomo che non si faceva trascinare dagli impulsi ma li dominava con la forza della mente.
L’Illuminismo esaltava il ruolo della ragione e sminuiva quello invece delle passioni, dei sensi e delle emozioni.
In un quadro del genere le arti avevano poco spazio. La musica era importante soprattutto in quanto arte della misura; la poesia doveva rivolgersi più alle intelligenze che agli animi e così via. In questo modo le arti tendevano a snaturarsi, o a vedere comunque limitato il loro campo d’azione.
Non è un caso che i grandi artisti del ‘700 siano relativamente pochi, e che invece nel secolo successivo – quello dominato dal Romanticismo – l’arte sia rifiorita in ogni settore.
Dal Barocco al Neoclassicismo
Nelle arti tradizionali la prima cosa che fecero gli illuministi fu attaccare il Barocco, la forma che aveva dominato il secolo precedente. Troppo compromesso con l’assolutismo, questo stile non aveva tra l’altro il senso della misura che qualsiasi arte razionale impone.
Nel corso del secolo ci si andò quindi via via orientando verso forme diverse. Prima emersero quelle del Rococò, puramente decorative. Poi, quando ormai il ‘700 volgeva al termine, fu la volta del Neoclassicismo, che effettivamente si sposava meglio con gli ideali illuministici.
Proprio nell’arte degli antichi, infatti, i filosofi ritrovavano quel senso dell’ordine, dell’armonia e della misura che richiamava le loro idee. Inoltre l’arte classica sembrava in grado anche di esaltare i valori repubblicani e le virtù politiche di cui parlavano, nelle loro opere, anche molti pensatori.

In Italia meritano anche di essere segnalati, in questo periodo, due pittori veneziani che lasciarono il segno: da un lato Giambattista Tiepolo, dall’altro il Canaletto. Il primo seppe creare uno stile cromatico e prospettico interessantissimo, che esaltava l’ascesa della borghesia veneziana ed europea.
Il secondo insistette ancora di più sul valore della prospettiva, che, con le sue regole e la sua scientifica oggettività, si poneva in perfetta continuità con gli ideali illuministici. Una prospettiva che il Canaletto applicò sia nelle sue vedute veneziane che in quelle inglesi.
In letteratura…
Per quanto riguarda invece la letteratura, bisogna prima di tutto sottolineare che molti dei filosofi di cui abbiamo già parlato furono anche abili narratori. Voltaire scrisse, come detto, di tutto: commedie, opere storiografiche, romanzi filosofici, satire.

D’altronde, per il filosofo illuminista non bastava solo pensare bene; bisognava essere in grado anche di spiegare bene, di raccontare – in maniera accattivante e coinvolgente – il frutto del proprio pensiero. Uno dei lasciti più importanti di quest’epoca fu non a caso la nascita del concetto di opinione pubblica.
Quest’ultimo, come sapete, scrisse principalmente commedie e non si occupò quasi per nulla di filosofia. La sua rappresentazione degli ideali borghesi – che si sposavano magnificamente con l’ethos ancora una volta veneziano – era però tipicamente illuminista e lasciò un segno nella letteratura italiana.
5. L’Illuminismo in Italia
L’Illuminismo non attecchì solo in Francia, in Gran Bretagna o in Germania. Segnò in parte anche la vita culturale italiana. Se il nostro paese era infatti fortemente influenzato, anche politicamente, dalla Chiesa, è vero anche che era culturalmente molto legato alla Francia.
Inoltre c’è da considerare che una parte dell’Italia era allora sotto il dominio austriaco, diretto o indiretto. E che gli stessi austriaci, quando stavano per varare una riforma dal sapore illuministico, tesero prima a sperimentarla in Italia, per poterne saggiare meglio gli effetti.
Per tutti questi motivi si può parlare anche di un Illuminismo italiano2, che vide, a livello filosofico, i suoi esponenti principali in Pietro Verri e Cesare Beccaria.
Verri e Beccaria

Il primo era un nobile milanese che, dopo varie esperienze, fondò con il fratello Alessandro l’Accademia dei Pugni, da cui sarebbe poi nato il periodico Il Caffè. Tentò – per qualche anno con successo – anche la carriera politica nell’amministrazione milanese, cercando di mettere in atto concretamente le sue idee di riforma.
In quel libro Beccaria criticava il frequente ricorso dei vari governi a tortura e pena di morte, ritenuti non solo brutali, ma anche inefficaci. Con abile pragmatismo, Beccaria dimostrava infatti che la tortura non aiutava gli inquirenti a trovare la verità (anzi, casomai il contrario) e la pena di morte non aveva alcun effetto deterrente.
Giuseppe Parini
Dal punto di vista letterario, il più importante esponente dell’Illuminismo italiano fu però probabilmente Giuseppe Parini. Goldoni, che abbiamo già presentato, visse in quell’epoca e ne fu influenzato, ma non fu mai filosofo, né si espose troppo nettamente dal punto di vista politico.

Parini invece fu un intellettuale illuminista a tutto tondo. Figlio di mercanti, si appassionò da giovane alla poesia ed entrò rapidamente nell’Accademia dei Trasformati, dove si trovava l’intellighenzia milanese. Per mantenersi – andando solo formalmente contro a uno dei dettami illuministici – si fece ordinare sacerdote, anche se lavorò a lungo come precettore.
Lì si trova infatti l’esaltazione della scienza ma anche di un ruolo attivo dell’intellettuale, che deve lavorare per migliorare la società. Pur scegliendo forme poetiche tradizionali, chiese – e ottenne, lavorando per l’amministrazione austriaca – alcune riforme importanti, come quella della scuola che rinnovò l’istruzione milanese.
E voi, quale aspetto dell’Illuminismo preferite?
Note e approfondimenti
- 1 A tal proposito, ha suscitato grande dibattito in America e in Europa la recente pubblicazione di Enlightenment Now, interessante saggio di Steven Pinker in cui si sostiene che il globale miglioramento del mondo (che continua secondo l’autore ancora oggi) sia frutto proprio dell’epoca illuminista. Per comprendere i termini del dibattito, qui trovate la recensione del Guardian.
- 2 Anche se sarebbe meglio dire un Illuminismo milanese, uno toscano, uno napoletano e così via, perché erano presenti importanti differenze regionali.