
La storia della mafia in Italia è una storia intricata e sofferta che attraversa decenni se non secoli di cultura e potere. Sin dalle sue origini nel tardo Ottocento, la mafia ha esteso la sua influenza in numerosi settori della società italiana, intrecciando rapporti oscuri con la politica, l’economia e l’amministrazione pubblica. In questo contesto, la lotta contro la mafia è diventata non solo un imperativo etico, ma una necessità vitale per la salvaguardia dello Stato di diritto.
I giudici, attori centrali in questa lotta, hanno così assunto nel corso degli anni un ruolo fondamentale nell’applicazione della legge e nella promozione di un sistema giuridico indipendente e forte. Tuttavia, la loro posizione li ha anche esposti a rischi enormi.
L’importanza del loro impegno si riflette tragicamente nella storia dei giudici uccisi dalla mafia, eroi che hanno pagato con la vita il loro impegno per la giustizia. Una vicenda, questa, che rappresenta una ferita profonda nel tessuto della nostra nazione e un monito costante sulla delicatezza e la difficoltà del cammino verso la legalità e l’equità.
Alcuni di questi giudici li conoscete sicuramente; ma di altri forse non avete mai sentito parlare. Oggi cercheremo di gettare un po’ di luce su un aspetto cruciale e doloroso della nostra storia recente; un pezzo di storia che non è certo “bello”, come il nome del nostro sito richiederebbe, ma che è di sicuro importante ed è bene conoscere.
Indice
1. Giovanni Falcone
Giovanni Falcone, uno dei giudici uccisi dalla mafia più noti e simbolo della lotta alla criminalità organizzata, nacque a Palermo nel 1939. La sua formazione lo portò a specializzarsi in giurisprudenza e la sua carriera nella magistratura fu segnata da un impegno instancabile contro la mafia.
Falcone divenne infatti piuttosto presto un punto di riferimento nella lotta alla criminalità, guidando alcune delle indagini e delle operazioni più importanti contro Cosa Nostra, come il celebre Maxiprocesso di Palermo, che portò alla condanna di numerosi boss mafiosi.
La sua attività gli valse riconoscimento e stima, ma lo rese anche un bersaglio. La sua morte avvenne in modo tragico, ed è entrata nella memoria collettiva: l’attentato di Capaci del 23 maggio 1992, in cui persero la vita Falcone, sua moglie e tre agenti della scorta, fece eco in tutto il mondo.
Questo evento sconvolgente segnò, in parallelo con l’omicidio Borsellino, una tappa cruciale nella lotta alla mafia in Italia, quasi destando l’opinione pubblica nazionale da un torpore che durava da troppo tempo.
I responsabili della strage di Capaci sono da tempo stati individuati nei nomi più importanti di Cosa Nostra, come Salvatore Riina, Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano e altri tra i mandanti e Giovanni Brusca tra gli esecutori materiali.
2. Paolo Borsellino
Anche Paolo Borsellino, che abbiamo già menzionato, rappresenta un altro pilastro nella storia della lotta alla criminalità organizzata in Italia. Nato a Palermo nel 1940, il suo background e la sua carriera furono segnati da un profondo senso di giustizia e un impegno incessante contro la mafia.
Collaboratore stretto e amico di Giovanni Falcone, Borsellino lavorò al suo fianco in alcune delle indagini più significative contro Cosa Nostra, contribuendo a delineare una strategia giudiziaria innovativa ed efficace nella lotta anti-mafia. La loro alleanza rappresentò anzi una vera e propria svolta nell’approccio alla questione.
Tuttavia, come Falcone, anche Borsellino pagò il prezzo supremo per il suo coraggio. La sua morte avvenne il 19 luglio 1992, meno di due mesi dopo l’assassinio di Falcone, in un attentato esplosivo a via D’Amelio a Palermo.
In quella domenica pomeriggio estiva, infatti, il giudice si stava recando a trovare la madre, che abitava appunto in via D’Amelio, e lì fu colpito dall’attentato. Morirono con lui anche cinque agenti della scorta.
I responsabili furono sostanzialmente gli stessi della morte di Falcone: Riina, Provenzano, Bagarella e tutto il gotha della mafia siciliana di allora, che aveva deciso di passare all’azione eclatante, mentre tra gli esecutori materiali un ruolo di primo piano lo ebbe Giuseppe Graviano.
3. Rocco Chinnici
Dopo i due giudici più famosi, passiamo ad altre vittime di mafia non meno importanti. Cominciamo con Rocco Chinnici, ucciso nel 1983.
Nato a Misilmeri, in provincia di Palermo, nel 1925, il giudice poteva vantare una biografia caratterizzata da un profondo impegno nella magistratura, con in particolare un contributo importantissimo alla creazione del celebre “pool anti-mafia”.
Questa struttura, che riuniva magistrati specializzati, rappresentò un modello pionieristico nella lotta alla mafia, incrementando l’efficacia delle indagini e dei processi. Chinnici fu infatti un sostenitore appassionato dell’approccio collaborativo e si dedicò con fervore alla causa.
Tuttavia, il suo coraggio e la sua determinazione gli costarono la vita. L’attentato che lo uccise avvenne il 29 luglio 1983, quando una potente carica esplosiva fu fatta detonare vicino alla sua abitazione, a Palermo. Rimasero uccisi anche due agenti della scorta e il portiere dello stabile in cui il magistrato viveva.
L’uccisione di Chinnici non solo scosse profondamente l’opinione pubblica, ma segnò anche una svolta nella percezione della pericolosità della mafia. Il suo sacrificio contribuì a catalizzare l’attenzione nazionale e internazionale sulla necessità di un impegno congiunto e risoluto contro un male profondamente ancorato nella società italiana.
4. Antonino Saetta
Antonino Saetta, il quarto giudice del nostro triste elenco, rappresenta un altro esempio dell’arduo impegno nella lotta contro la criminalità organizzata in Sicilia.
Nato a Caltanissetta nel 1922, Saetta condusse una lunga carriera in magistratura sempre contraddistinta da un impegno profondo e costante contro il fenomeno mafioso, specialmente nella sua terra natia.
Come giudice di Cassazione, ad esempio, non esitò a confrontarsi con alcune delle figure più pericolose di Cosa Nostra, contribuendo in modo significativo alla comprensione e al contrasto di questa organizzazione criminale.
L’agguato mortale che lo colpì avvenne il 25 settembre 1988, mentre viaggiava in auto con suo figlio Stefano. Entrambi furono uccisi in un’imboscata perpetrata da membri della mafia. Le circostanze e le conseguenze di questo efferato delitto non solo destarono orrore e indignazione in Italia e all’estero, ma rafforzarono ulteriormente la determinazione nella lotta alla mafia.
I mandanti furono individuati vari anni dopo in Salvatore Riina e Francesco Madonia, che volevano con questo omicidio non solo mandare un messaggio a tutti i magistrati, ma anche impedire che Saetta diventasse Presidente del Maxiprocesso d’appello alla mafia.
5. Rosario Livatino
Rosario Livatino, conosciuto come il “giudice ragazzino” per la sua giovane età e la sua indomabile determinazione, conclude questa dolorosa rassegna di giudici uccisi dalla mafia.
Nato a Canicattì nel 1952, Livatino divenne un magistrato rispettato non solo per il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata, ma anche per la sua attenzione particolare ai diritti umani e alla legalità. Il suo approccio, infatti, era segnato da un profondo senso etico, che gli portò ammirazione ma anche ostilità da parte di ambienti mafiosi.
La sua morte, avvenuta il 21 settembre 1990 in un agguato mentre si recava al lavoro, divenne immediatamente un simbolo di resistenza al potere mafioso. La brutalità dell’atto e l’innocenza della vittima contribuirono a destare orrore nell’opinione pubblica.
In seguito, Livatino – profondamente credente e con un passato nell’Azione Cattolica – è stato proclamato martire dalla Chiesa Cattolica e beatificato nel 2021, cosa che ha sottolineato ulteriormente l’importanza del suo sacrificio nella più ampia battaglia per la giustizia e la legalità in Italia.