
Ci sono artisti che hanno subito un grande successo, e godono di fama e onori durante tutta la loro vita. Altri invece sono – come diceva Nietzsche – in un certo senso “nati postumi”, e sono destinati a lasciare il segno solo dopo la loro morte. In questi casi la vita dell’artista diventa particolarmente interessante, perché permette di vedere come l’insuccesso e i relativi tormenti abbiano influenzato l’arte e lo stile. Per questo oggi vogliamo riflettere brevemente sulla biografia di van Gogh.
Vincent van Gogh è stato, infatti, uno dei pittori più rilevanti – se non il più importante in assoluto – di fine Ottocento. Col suo stile ha chiuso un’epoca e ne ha anticipato un’altra, ed è ancora oggi amatissimo da studiosi e da profani1 per via del suo tratto particolarissimo e della compenetrazione tra vita e arte. Eccone l’esistenza terrena.
Indice
1. L’infanzia
Vincent van Gogh nacque il 30 marzo 1853 a Zundert, nei Paesi Bassi. I suoi avi avevano a lungo risieduto dalle parti dell’Aia, occupandosi principalmente di oreficeria, anche se il nonno, anch’egli di nome Vincent, si era dedicato alla religione, diventando un pastore calvinista.

Questo Vincent van Gogh, morto quando il suo nipote omonimo aveva 21 anni, ebbe undici figli, tre dei quali si avviarono alla professione di mercanti d’arte, allora piuttosto redditizia. Uno, Theodorus, preferì però ripercorrere le orme paterne, diventando pastore riformato e stabilendosi appunto a Zundert, nel Brabante.
Vincent ebbe poi vari altri fratelli e sorelle minori, legandosi in particolare a Théo, col quale instaurò un rapporto difficile ma fortissimo, rinsaldato da moltissime lettere che il pittore gli scriveva. Ad ogni modo, Vincent ebbe una carriera scolastica piuttosto insoddisfacente: imparò varie lingue, ma lasciò gli studi nel 1868 senza un diploma.
Fu comunque in quegli anni, passati perlopiù nella vicina Zevenbergen, che il giovane Vincent scoprì l’interesse per la pittura, un interesse per il momento puramente estetico. Ma fu facendo leva su questa curiosità che uno zio, anch’egli di nome Vincent (ma soprannominato Cent), lo convinse presto a lavorare per un casa d’aste.
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2. I primi lavori a contatto con l’arte (e il primo amore)
Nel 1869 il giovane Vincent, appena sedicenne, era così già al lavoro a L’Aia per la Goupil & Co, una multinazionale dell’epoca, con sedi in tutte le più importanti città d’arte europee. L’agenzia era specializzata nella riproduzione e nella vendita di stampe, litografie, dipinti e fotografie.

Il giovane Vincent operava come un vero e proprio agente, contattando i compratori e proponendo loro le varie opere del catalogo della casa. Ancora non dipingeva, ma grazie a questi incarichi aveva modo di conoscere le tendenze del momento, oltre che di visitare musei e viaggiare. D’altronde, nei primi tempi van Gogh si dimostrava anche piuttosto abile.
Si innamorò infatti della figlia della proprietaria della pensione in cui alloggiava, tale Eugenie, che però era già fidanzata. Era il suo primo vero amore e la delusione, quando lui si dichiarò, fu cocente. Entrò infatti in depressione, chiedendo di ritornare a lavorare sul continente.
Cambiare aria non lo aiutò, purtroppo. Nel giro di pochi mesi il suo rendimento sul lavoro calò drasticamente, tanto da scontentare i suoi superiori. Nonostante i frequenti richiami van Gogh non riuscì a uscire da una spirale negativa; e, d’altra parte, non aveva più alcun interesse verso quel lavoro. Fu così licenziato nell’aprile 1876.
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3. Aspirante pastore
Lasciato il lavoro come mercante d’arte, Vincent tentò di abbracciare un’altra carriera, molto diversa dalla prima. In quei mesi, a seguito anche della depressione di cui abbiamo parlato, si riavvicinò alla fede, deciso a diventare pastore seguendo in qualche modo le orme paterne.

Ad ogni modo Vincent si mise a quel punto a studiare latino e greco, tentando di entrare alla Facoltà di Teologia di Amsterdam. Respinto agli esami di ammissione, si spostò vicino a Bruxelles per frequentare una scuola come predicatore. Anche qui, però, gli studi furono fallimentari, visto che la scuola non lo ritenne idoneo alla predicazione.
Si trasferì quindi nel Borinage, una regione carbonifera del Belgio, e cominciò a predicare tra i minatori. Decise di rinunciare ai suoi averi, vivendo come un novello San Francesco all’interno di una baracca. Preoccupato dai suoi modi, il Consiglio Ecclesiastico della zona decise di non rinnovargli l’incarico, perché «aveva preso troppo alla lettera il modello evangelico».
Questo ennesimo fallimento – non tanto nel rapporto coi minatori, quanto con l’autorità ecclesiastica, che lo considerava un fanatico – spinse Vincent a mutare nuovamente idea. Voleva continuare ad aiutare i più umili, come aveva fatto in quei mesi, ma riteneva ormai impossibile farlo da dentro a una qualche chiesa.
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4. La vocazione artistica (e la malattia)
Per questo Vincent van Gogh decise di buttarsi sull’arte, una passione coltivata – anche se ad intermittenza – negli anni precedenti. Si mise a studiare da autodidatta su vari libri, soprattutto grazie all’aiuto del fratello minore Théo, che lavorava come mercante e poteva procurargli diverse pubblicazioni.
Proprio mentre studiava ci fu però un’altra circostanza che lo mandò di nuovo in crisi. Vincent iniziò a frequentare infatti una cugina, Cornelia Adriana, soprannominata Kee. Se ne innamorò perdutamente, nonostante la donna fosse rimasta vedova da poco e fosse ancora in lutto. Ovviamente ricevette solo rifiuti.
Tormentato da pensieri suicidi, Vincent arrivò perfino ad ustionarsi volontariamente una mano per dimostrare la serietà dei suoi sentimenti. Non ottenne però nulla, se non un maggior attivismo sul lavoro, con la realizzazione dei primi dipinti. D’altra parte, poco dopo – nel 1882 – si infatuò anche con una prostituta, detta Sien, con cui andò a convivere per qualche tempo.
A Parigi

Alla fine, dopo vari tira e molla, si trasferì a Nuenen, dove poté dedicarsi solo alla pittura e dove realizzò il suo primo capolavoro, I mangiatori di patate. Nel giro di qualche mese poté così affinare la tecnica e cominciare a guardare a ciò che si dipingeva nel resto d’Europa, giungendo infine, grazie all’aiuto di Théo, ancora a Parigi.
Inoltre invitò Paul Gauguin ad andare a stare da lui, nell’intento di formare una sorta di circolo artistico, quasi una comune pittorica. Gauguin lo raggiunse soprattutto perché Théo, in cambio, gli promise dei soldi, ma rimase deluso dalla zona, che non suscitava in lui gli stessi entusiasmi di Vincent.
I ricoveri
I due finirono presto per litigare in modo anche violento, soprattutto per via del carattere instabile di van Gogh. Il 23 dicembre 1888 la situazione degenerò: a quanto pare, Vincent finì per rincorrere Gauguin in strada armato di un rasoio; quando questi decise di partire, van Gogh rivolse verso di sé l’arma, tagliandosi il lobo dell’orecchio sinistro.
Venne subito ricoverato in un nosocomio locale, e qualche mese dopo fu internato in un ospedale psichiatrico a pochi chilometri da Arles. Lì continuò a dipingere, realizzando, tra gli altri, anche il celebre Notte stellata. Nel frattempo, per la prima volta alcune sue opere venivano esposte con un certo successo a Parigi, destando l’attenzione di alcuni critici.
Nel maggio 1890 uscì dall’ospedale e decise di ritornare a Parigi, da Théo. Poche settimane dopo si spostò in un villaggio poco fuori la capitale, Auvers-sur-Oise, ospite di un dottore, tale Paul-Ferdinand Gachet, che si sarebbe preso cura di lui.
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5. La morte
In quel paesino van Gogh visse solo poche settimane. Era solito passare i pomeriggi nelle campagne, intento a realizzare paesaggi, ma la sera del 27 luglio 1890 le cose non andarono come di consueto. Rientrò infatti nella locanda che gli dava ospitalità e si chiuse in camera, senza presentarsi a cena.
Poco dopo lo trovarono disteso sul letto, sanguinante. Al dottor Gachet disse di essersi sparato un colpo di rivoltella allo stomaco. Le sue condizioni erano critiche, ma il fratello Théo fece in tempo a giungere da Parigi. I due parlarono a lungo il giorno successivo fino a quando, all’1:30 del 29 luglio, Vincent spirò.

Tra l’altro anche Théo non ebbe un futuro roseo. Distrutto dalla morte del fratello, di cui si riteneva in qualche parte responsabile, venne ricoverato anch’egli in una clinica per malattie mentali a Parigi pochi mesi dopo. Dimesso dopo qualche settimana, rientrò in Olanda, a Utrecht, ma lì morì nel gennaio del 1891, ad appena sei mesi di distanza da Vincent.
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Note e approfondimenti