
Quella dedicata alla storia di Lisabetta da Messina è una delle novelle più celebri del Decamerone di Giovanni Boccaccio. Composta attorno alla metà del Trecento, l’opera – com’è noto – è infatti una raccolta di novelle, 100 per l’esattezza, raccontate da 10 giovani durante 10 giornate passate lontano da Firenze.
I ragazzi, tre uomini e sette donne, nella finzione di Boccaccio si erano infatti allontanati dalla città per sfuggire alla peste nera, che in quei mesi imperversava in tutta Europa. E, per passare il tempo, si erano messi a raccontarsi storie, spesso dal taglio umoristico e a tratti anche “piccante”.
Non è un caso che, nonostante l’indubbio valore letterario, l’opera ebbe fin da principio diversi problemi, suscitando scandalo e venendo spesso censurata, almeno in certe sue parti1. Ed è da qui che deriva anche l’aggettivo “boccaccesco”, che indica quella malizia un po’ bucolica che spesso emerge in quelle stesse novelle.
Quella di Lisabetta da Messina, però, è una storia più malinconica che divertente, anche se allo stesso tempo molto significativa e in grado di ben rappresentare la filosofia e lo stile di Boccaccio. Per questo vale la pena di approfondirne la conoscenza e l’analisi.
Indice
1. Di cosa parla la novella
Partiamo, ovviamente, dalle basi, e quindi dal riassunto della trama della novella. La protagonista è Lisabetta, chiamata da Boccaccio anche Elisabetta in alcuni passi del racconto. Si tratta di una ragazza che vive a Messina con tre fratelli, ricchi mercanti. Questi hanno molti affari e si fanno aiutare, nella gestione, da un pisano di nome Lorenzo.
Tra quest’ultimo e Lisabetta nasce, nascostamente, qualcosa, tanto che i due iniziano a frequentarsi anche di notte all’insaputa dei tre fratelli. Ad un certo punto, però, uno di loro scopre la cosa e ne riferisce i contorni ai parenti. Vista la differenza di classe sociale, i tre, durante un viaggio con Lorenzo, decidono però di mettere fine alla tresca uccidendolo.
Un notte, in sogno, la ragazza ha però una visione. Lorenzo le appare e le dice di essere stato ucciso dai tre fratelli; le indica anche il luogo in cui ritrovare il suo cadavere. Il giorno dopo Lisabetta si reca colà e, scavando con un’amica, rinviene il corpo.
La testa e il basilico
Visto che è troppo pesante per essere trasportato, le due decidono di tagliar via solo la testa e portarsela di nascosto a casa, facendo finta di nulla coi fratelli. Giunta nella sua stanza, Lisabetta nasconde questa testa mozzata in un vaso, che ricopre di terra e in cui decide di coltivare del basilico.
La pianta, innaffiata dalle lacrime della ragazza, cresce rigogliosa e odorosa, ma i fratelli e i vicini cominciano a insospettirsi per il comportamento sempre più strano della giovane, che piangeva tutto il giorno su tale vaso. Per questo i tre le sottraggono la pianta, nonostante le suppliche di lei.
I mercanti rovesciano infine il vaso e scoprono così la testa. Impauriti, la seppelliscono in fretta e furia prima di abbandonare ogni affare e scappare a Napoli. Lisabetta, nel frattempo, si ammala per la disperazione, arrivando fino a morire dal dolore.
2. Il senso della trama: etica mercantile contro amore
Qual è, però, il vero significato della novella? Al di là della triste vicenda, cosa ci vuole comunicare Boccaccio? La storia di Lisabetta da Messina ha infatti un contenuto piuttosto originale rispetto ai classici temi trattati dallo scrittore fiorentino, che vale la pena di approfondire.
Figlio egli stesso di un mercante, Boccaccio cerca nel Decameron di coniugare tra loro i valori della nobiltà medievale – e in particolare l’amor cortese – con quelli della classe mercantile, che cominciava ad acquisire importanza e potere. In questa novella, però, la prospettiva viene rovesciata.
Proprio il rischio di veder intaccato il loro onore e di conseguenza i loro affari induce infatti i tre a compiere l’orrendo delitto, incuranti dei sentimenti della sorella. E in loro non si scorge alcun rimorso neppure dopo, quando si danno alla fuga per evitare guai peggiori.
Segno che l’intelligenza e la furbizia, tanto decantate da Boccaccio in altre novelle, qui hanno completamente perso di vista la giustizia e la moralità, portando a una tragedia.
3. Tra realismo e fiaba
Un’altra cosa particolarmente interessante da notare riguarda il linguaggio utilizzato dallo scrittore di Certaldo. La novella infatti risulta molto particolare, in quanto assistiamo all’emergere di un doppio registro: quello realistico e quello fiabesco.
Tutta la prima parte del racconto, infatti, è verosimile. Narra, come avvenuto in altre occasioni, di un amore che pare illecito e di come però i due innamorati riescano comunque a frequentarsi, di nascosto. Il contesto è quello di una famiglia di mercanti, simile a quelle frequentate in gioventù a Napoli proprio da Boccaccio.
Tutto cambia, però, poco dopo la morte di Lorenzo, e in particolare quando Lisabetta lo sogna. Lì il registro muta non solo per gli eventi che vengono descritti – che si fanno irreali e quasi onirici – ma anche per le parole che da lì in poi Boccaccio inizia ad utilizzare, più proprie in alcuni casi della fiaba che della novella.
E così assistiamo prima alla visione, poi alla scoperta del cadavere, poi ancora – e soprattutto – alla sepoltura della testa in un vaso, con conseguente nascita della pianta. Tutte scene che ci avvicinano alla letteratura fantastica, o appunto fiabesca.
4. La doppia sconfitta
In genere, inoltre, nelle novelle di Boccaccio a trionfare è l’astuzia, l’intelligenza. A volte però l’esito della trama non è affatto lieto, e lo stesso scrittore toscano ci presenta così dei vinti, degli sconfitti. Lisabetta è una di essi, una figura tragica e per certi versi simile a quella di Ghismonda di Salerno, altro personaggio boccaccesco.
Non siamo però qui davanti ad un’unica sconfitta, ma addirittura ad una doppia tragedia. Lisabetta perde il suo amore ed infine la sua vita, in quanto non riesce a sopportare il dolore della separazione definitiva da Lorenzo. Ma anche i suoi fratelli finiscono per essere sconfitti.
Come abbiamo visto, operano per salvare l’onorabilità della famiglia e di certo non si fanno scrupoli nell’arrivare fino ad un omicidio. Ma questo non permette loro di uscire integri dalla vicenda. Il peso del loro delitto li perseguita, prima con le domande della sorella, poi col ritrovamento della testa.
Boccaccio ci presenta la storia dal punto di vista di Lisabetta, ma pure analizzarla da quello dei fratelli sarebbe stato interessante. Anzi, ne sarebbe uscita una storia probabilmente ancora più cupa, con tre criminali perseguitati dalle loro malefatte e costretti, infine, alla fuga e alla perdita di quegli affari per i quali avevano compiuto l’omicidio.
5. La struttura parallela
Interessante, infine, è anche notare la struttura della novella, che è a suo modo simmetrica. Tutta la storia si ripete infatti in un certo senso due volte, seguendo il medesimo schema. Vediamo più approfonditamente di cosa stiamo parlando.
In primo luogo, la prima parte della storia vede succedersi una proibizione, una trasgressione e poi un castigo. La proibizione è quella che vieta una relazione tra Lisabetta e Lorenzo, impossibile visto il diverso status sociale dei due. La trasgressione è costituita dall’amore clandestino. Il castigo è dato invece dalla morte di lui.
Lo stesso schema – proibizione, trasgressione, castigo – si ripete poco oltre. Vi è infatti in primo luogo il divieto da parte di Lisabetta di indagare su quanto sia successo a Lorenzo, un divieto imposto ancora una volta dai fratelli (anche se in questo caso in maniera esplicita).
Poi vi è la trasgressione, sempre compiuta da Lisabetta, che decide comunque di recarsi dove il sogno le annuncia che avrebbe trovato il corpo dell’amato. Infine vi è, a distanza di qualche tempo, il castigo: il vaso in cui ha nascosto la testa di Lorenzo le viene infatti tolto per sempre dai fratelli.