Gli 11 scienziati più famosi e importanti d’Italia nel Novecento

I cosiddetti ragazzi di via Panisperna, ovvero alcuni tra i più grandi scienziati italiani del Novecento: da sinistra, Oscar D'Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti e Enrico Fermi. Segrè e Fermi vinsero il Nobel per la fisica in due momenti diversi

Qualche tempo fa, su queste stesse colonne abbiamo dedicato un articolo ai più importanti scienziati italiani viventi, spaziando da medici come Umberto Veronesi a fisici Fabiola Gianotti, da vincitori di Nobel come Carlo Rubbia a candidati per il futuro come Elena Cattaneo. Ma la scienza, in Italia, per fortuna non vanta solamente dei grandi rappresentanti oggi, ma ha anche un passato glorioso e importante.

E non serve per forza andare ai tempi di Galileo Galilei o Leonardo da Vinci: anche fermandoci al Novecento, infatti, abbiamo una sequela impressionante di vincitori di premi Nobel e di personalità che hanno lasciato un segno indelebile sulla fisica, la biologia, la chimica.


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Solo per fare un esempio, per motivi di spazio non troveranno il loro nome in questa lista personaggi del calibro di Daniel Bovet, Salvatore Luria o Mario Capecchi, tutti insigniti col Nobel, ma nemmeno Antonio Lanzavecchia, Napoleone Ferrara o Michele Parrinello, tra gli studiosi più apprezzati (e citati) all’estero.

La concorrenza era quindi piuttosto agguerrita, ma ecco gli 11 scienziati a nostro modo di vedere più importanti del Novecento italiano.

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1. Camillo Golgi

Alzi la mano chi sa chi è Camillo Golgi (laureati in Medicina esclusi).

Il nome di questo importantissimo medico è infatti oggi pressoché ignoto al grande pubblico, nonostante sia stato forse il più grande ricercatore italiano di ogni epoca nel campo della medicina, capace di effettuare scoperte che sono ancora oggi – a distanza di più di un secolo – considerate valide e illuminanti.

Non è un caso che portino ancora il suo nome un metodo (“Il metodo Golgi”) che permette la visualizzazione pressoché perfetta delle cellule del tessuto nervoso al microscopio e un apparato (appunto “l’apparato del Golgi”) che è una struttura interna alla cellula di composizione lipo-proteica.

Il medico che ha cambiato l’istologia

Nato il Val Camonica da un medico condotto nel 1843, si laureò a Pavia con Cesare Lombroso e iniziò a lavorare come ricercatore – in principio con mezzi economici scarsissimi – proprio nel pavese.

Insegnò poi per qualche tempo a Siena, fino a quando non riuscì a ritornare nell’amata Pavia, dove svolse tutte le sue ricerche più importanti e diede lustro ulteriore ad un’Università che era già tra le più importanti d’Italia e d’Europa.

Camillo Golgi a inizio Novecento

Vinse il Nobel nel 1906, quando era ancora molto attivo nella ricerca, per le sue scoperte nell’ambito dell’istologia del sistema nervoso, diventando il primo italiano in assoluto a conseguire tale onore.

Nel 1900, intanto, re Umberto I l’aveva nominato senatore per meriti scientifici, ma già da una decina d’anni s’era impegnato anche nella politica locale, diventando consigliere comunale e assessore al Comune di Pavia.

 

2. Guglielmo Marconi

L’inventore del telegrafo senza fili

Decisamente più celebre è invece il nome di Guglielmo Marconi, che oltre che fisico (e politico) fu anche inventore e imprenditore, cercando di mettere a frutto – come spesso accadeva in quegli anni ricchi di scoperte – anche economicamente le proprie innovazioni.

Nato nel 1874 a Bologna da una famiglia di proprietari terrieri, non fu un grande studente, ma già in gioventù cominciò ad interessarsi agli esperimenti sull’elettricità e soprattutto sulla telegrafia senza fili che venivano condotti da inventori del calibro di Heinrich Hertz, Thomas Edison e Nikola Tesla, iniziando a costruire prototipi per trasmettere i segnali dell’alfabeto Morse a distanza.

Guglielmo Marconi ritratto assieme alla sua più importante invenzione, il telegrafo senza fili
L’8 dicembre 1895 riuscì per la prima volta a far funzionare la sua radio, e poco dopo si trasferì a Londra per registrare il brevetto e trovare capitali per perfezionare la sua invenzione, precedendo una serie di altri scienziati (tra cui proprio Tesla, che probabilmente era arrivato prima di lui ai suoi stessi risultati) di poche settimane.


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La sua compagnia iniziò negli anni successivi a fornire il telegrafo alle navi, facendo nascere la figura del marconista e salvando molte vite in drammatici incidenti, cosa che aumentò notevolmente la fama dello scienziato italiano, che non a caso nel 1909 venne premiato col Nobel.

Nominato senatore a vita nel 1914, partecipò – ovviamente come ufficiale telegrafista – alla Prima guerra mondiale; con l’avvento del fascismo, al quale aderì fin da subito, fu celebrato in tutti i modi, acquisendo svariate onorificenze (tra cui anche un titolo nobiliare).

 

3. Enrico Fermi

Sicuramente il più grande fisico in senso assoluto del nostro secolo fu, però, Enrico Fermi, uno scienziato in grado di dare un contributo fondamentale alle scoperte della fisica nucleare a cavallo tra le due guerre mondiali, scoperte che portarono allo sfruttamento dell’energia atomica.

Nato a Roma nel 1901, fu uno studente particolarmente dotato e frequentò per questo la Scuola Normale di Pisa, interessandosi subito ai più recenti studi sulla relatività e la meccanica quantistica; dopo un periodo di studio in Germania, tornò in Italia e già nel 1926 vinse il concorso per la prima cattedra universitaria di fisica creata nel nostro paese.

Attivissimo nella ricerca e stimato in tutta Europa, formò attorno all’istituto romano di via Panisperna una squadra composta da giovani pezzi da novanta della ricerca come il futuro premio Nobel Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana (di cui parleremo ancora) e il chimico Oscar D’Agostino.

Il più grande fisico italiano del Novecento

Oltre al premio Nobel conseguito nel 1938, alla giovane età di 37 anni, il suo nome è ricordato anche nella tavola periodica degli elementi col Fermio, nelle unità di misura col Fermi (un sottomultiplo del metro) e nella fisica delle particelle con i fermioni (a cui si lega anche la famosa Distribuzione di Fermi-Dirac usata in meccanica statistica).

Ad ogni modo, il Nobel giunse quando Fermi aveva già deciso di lasciare l’Italia.

Enrico Fermi durante il periodo dell'insegnamento a Chicago, negli Stati Uniti
La promulgazione delle leggi razziali lo colpì personalmente, visto che sua moglie era di origine ebraica, ma anche la mancanza di investimenti pubblici nella ricerca – che impedivano al gruppo di via Panisperna di costruire un acceleratore di particelle che potesse competere con quelli americani – fu un elemento che lo convinse della necessità di espatriare.

Da Stoccolma emigrò, via Copenaghen, per gli Stati Uniti, stabilendosi a Chicago dove ancora oggi i laboratori portano il suo nome; lì fu, tra l’altro, uno degli esponenti di spicco del Progetto Manhattan.

 

4. Ettore Majorana

Nel gruppo di via Panisperna figurava anche un giovane ricercatore considerato, allora, tra i più dotati della sua generazione, che però oggi è ricordato non solo per il suo genio ma anche per una serie di misteri che aleggiano attorno alla sua figura: Ettore Majorana.

Nato a Catania nel 1906 da una famiglia più che benestante, visto che il nonno era stato anche più volte ministro dei governi Depretis, fu uno studente dotatissimo, tanto da conseguire la maturità classica a Roma addirittura prima di compiere i 17 anni.

Una delle rare foto di Ettore Majorana

Si iscrisse poi a Ingegneria, facoltà presto abbandonata per passare a Fisica e avvicinarsi al gruppo capitanato da Fermi. Soprannominato dai compagni “Il grande inquisitore” per via del carattere che lo portava ad esaminare il lavoro di tutti i colleghi, si laureò a pieni voti e partì subito per un giro di studio in Germania, dove conobbe anche Werner Heisenberg.

In Germania rimase affascinato dal regime nazista, esprimendo nelle sue lettere verso l’Italia opinioni poco apprezzabili sugli ebrei (tanto più che, come detto, Fermi aveva una moglie ebrea e pure Segrè e Pontecorvo lo erano).

Il genio scomparso

Rientrò stabilmente in Italia nel 1937, accettando la cattedra di fisica teorica offertagli dall’Università di Napoli e dopo aver rifiutato analoghe proposte che arrivavano dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti.

Da lì, nel marzo del 1938 si recò in piroscafo a Palermo per un paio di giorni di vacanza, ma da quel viaggio non fece ritorno, lasciando vari indizi enigmatici sul suo destino, comprese lettere e telegrammi contraddittori.

La prima ipotesi che le ricerche storiche ci hanno consegnato è quella del suicidio, legata anche ad un carattere particolarmente ombroso e alla prima lettera scritta ai parenti, che parlava espressamente di “lutto”.

Una seconda, invece, parla dell’emigrazione sotto falso nome, magari legata ad alcune scoperte effettuate nel campo della fisica nucleare e suffragata da un consistente prelievo di denaro nei giorni immediatamente precedenti alla scomparsa. Il mistero, però, non è mai stato risolto.

 

5. Rita Levi-Montalcini

Purtroppo, per molto tempo nel corso del Novecento la carriera di ricerca è stata un’esclusiva di fatto maschile: fino alla fine della Seconda guerra mondiale le donne non potevano neppure votare, figuriamoci andare all’Università o tentare una carriera accademica.

Così, sono poche, pochissime le figure femminili che sono riuscite a farsi strada e a superare i pregiudizi di genere, ma alcune di esse hanno lasciato un segno indelebile non solo nella loro disciplina, ma anche nell’immaginario collettivo.

Una di queste è Rita Levi-Montalcini, scienziata venuta a mancare qualche anno fa alla veneranda età di 103 anni dopo una vita dedicata interamente alla medicina e alla divulgazione scientifica.

La studiosa che ha rivoluzionato la conoscenza del sistema nervoso

Nata a Torino nel 1909 in una famiglia ebrea sefardita molto istruita, si iscrisse all’università a Medicina, avendo come maestro quel Giuseppe Levi che era padre di Natalia Ginzburg, diventando in breve una degli esponenti di spicco di una generazione di ricercatori che avrebbe avuto altri due premi Nobel in Salvatore Luria e Renato Dulbecco.

Le ricerche della Levi-Montalcini si orientarono fin da subito sul sistema nervoso, vedendo i suoi studi parzialmente interrotti solo dalla Seconda guerra mondiale e dalle leggi razziali (anche se riuscì ad allestire in quegli anni vari laboratori domestici).

Rita Levi-Montalcini nel 2007 (foto di Jollyroger via Wikimedia Commons)
Rita Levi-Montalcini nel 2007 (foto di Jollyroger via Wikimedia Commons)

Nel dopoguerra si trasferì per un trentennio negli Stati Uniti, ottenendo risultati importantissimi nello studio della formazione delle cellule nervose e ottenendo per queste ricerche il Nobel per la medicina nel 1986.

Tornata in Italia dopo il pensionamento, rimase molto attiva collaborando con varie organizzazioni e istituti di ricerca e venendo nominata anche senatrice a vita nel 2001 dal presidente Ciampi.

 

Altri 6 scienziati italiani famosi del Novecento, oltre ai 5 già segnalati

Come promesso, abbiamo intenzione di non fermarci solo a 5 nomi, ma di arrivare fino a quota 11. Qui di seguito, più velocemente, troverete infatti le biografie di altri 6 grandi ricercatori italiani che si sono espressi in diverse branche della scienza. Eccoli.

 

Maria Montessori

Nemo propheta in patria, dice il celebre detto latino. E questa frase risulta tanto più vera quando si prende in mano la biografia di Maria Montessori. La grande pedagogista e neuropsichiatra infantile è infatti celeberrima all’estero, così come sono molto diffuse le sue scuole, ma è quasi dimenticata in Italia.

Eppure la sua storia è quella di un’italiana a tutto tondo. Nata in provincia di Ancona nel 1870, crebbe a Roma, eccellendo negli studi e riuscendo a laurearsi in Medicina, una delle prime in Italia (non dopo aver coltivato la speranza di diventare addirittura ingegnere, settore allora completamente precluso alle donne).

Maria Montessori, ormai anziana, in una scuola in cui si metteva in pratica il suo metodo
Nei primi anni del Novecento arrivò ad elaborare un suo particolare metodo educativo, sviluppato anche dopo aver lavorato con bambini con disabilità. Il suo metodo, perfezionato nel corso degli anni grazie all’esperienza sul campo, finì per colpire nel segno e per diffondersi rapidamente in tutto il mondo. Venne poi candidata ben sei volte per il Nobel per la pace.

Emilio Segrè

Nato a Tivoli nel 1905, Emilio Segrè è stato uno dei più grandi fisici del Novecento, non solo nel panorama italiano. E anzi, italiano lo fu solo in parte, visto che visse gran parte della sua vita negli Stati Uniti, ottenendo anche la cittadinanza del paese che l’aveva accolto.

D’altra parte, non era stata propriamente una sua decisione quella di lasciare l’Italia. Ebreo e sposato con un’ebrea tedesca rifugiatasi in Italia all’avvento del nazismo, lasciò la nostra nazione nel 1938, all’avvento delle leggi razziali, accettando un incarico a Berkeley, in California.

Emilio Segrè nel 1954

Prima di quel momento era professore ordinario a Palermo, ma negli anni precedenti aveva fatto parte del gruppo dei ragazzi di via Panisperna, essendo uno degli allievi più promettenti di Fermi. Collaborò col suo maestro anche in America, lavorando al Progetto Manhattan. Ricevette poi il Nobel per la fisica nel 1959 per la scoperta dell’antiprotone.

 

Riccardo Giacconi

Riccardo Giacconi è scomparso da poco, nel dicembre del 2018, all’età di 87 anni. Eppure alla sua morte non gli sono state dedicate grandi attenzioni in Italia, forse anche perché il nostro paese si era quasi dimenticato di quel suo figlio. D’altra parte, anche Giacconi era ormai da molto tempo cittadino americano.

Nato a Genova nel 1931, passò gli ultimi anni della giovinezza a Milano, dove poi si laureò. Già nel 1956 si spostò negli Stati Uniti, collaborando con Princeton e facendo ricerca sui raggi cosmici. Dagli anni ’80 ha insegnato stabilmente all’Università John Hopkins di Baltimora.

Riccardo Giacconi alla consegna della National Medal of Science nel 2003

Proprio quelle ricerche, e in particolare le scoperte delle prime sorgenti cosmiche dei raggi X, gli hanno consentito di conquistare nel 2002 il Premio Nobel per la fisica. In seguito è stato onorato anche in Italia col titolo di Cavaliere di gran croce e con la Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura.

Carlo Rubbia

Anche Carlo Rubbia si è aggiudicato il Premio Nobel per la fisica (nel 1984), come i due scienziati che abbiamo appena finito di presentare. A differenza loro, però, Rubbia ha continuato a lavorare anche in Italia, oltre che in varie altre parti del mondo e in particolare a Ginevra, dov’è stato direttore del CERN.

Nato a Gorizia nel 1934, è cresciuto a Udine. Laureato alla Normale di Pisa, è entrato al CERN di Ginevra nel 1960, diventandone poi direttore tra il 1989 e il 1994. Lì ha studiato le particelle elementari e in particolare le interazioni deboli, scoprendo poi nei primi anni ’80 i bosoni vettoriali W+, W− e Z.

Carlo Rubbia nel 2005

Negli anni ’90 è diventato anche presidente dell’ENEA, l’ente che si occupa di ricerca energetica, incarico che ha lasciato dopo qualche tempo per i contrasti col Governo Berlusconi. Oltre a numerosi premi e lauree honoris causa conseguite nel mondo, nel 2013 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

 

Giulio Natta

Vincitore del Premio Nobel è stato anche Giulio Natta, che si aggiudicò quello per la chimica nel 1963 assieme a Karl Ziegler. Nato a Imperia (che ancora si chiamava Porto Maurizio) nel 1903, si laureò prestissimo in Ingegneria Chimica. Iniziò altrettanto presto ad insegnare, prima in Lombardia e poi a Roma e Torino, stabilendosi infine al Politecnico di Milano.

Intanto si dedicava anche all’attività di ricerca, finanziato dall’azienda Montecatini. Tenendosi a contatto con Ziegler, arrivò prima ad ottenere i primi campioni di polipropilene e poi a scoprire i polimeri isotattici. Si dedicò poi anche ai polimeri a struttura cristallina.

Giulio Natta negli anni '60

Purtroppo, la sua carriera venne in parte resa più complicata dal sorgere della malattia di Parkinson. Diagnosticata nel 1956, ad appena 53 anni d’età, iniziò a peggiorare nei primi anni ’60, tanto che anche alla cerimonia di Stoccolma per il Nobel fu affiancato dal figlio e da altri colleghi. È scomparso nel 1979.

Renato Dulbecco

Chiudiamo la seconda parte della nostra panoramica con Renato Dulbecco, premio Nobel anch’esso ma per la Medicina, nel 1975. Nato a Catanzaro nel 1914, crebbe in Liguria, tra l’altro in quella stessa Imperia in cui era nato Natta (e che si formava in quegli anni dalla fusione di Porto Maurizio e Oneglia).

Si laureò a Torino, in un ambiente frequentato da altri futuri luminari della scienza come Salvador Luria e Rita Levi-Montalcini. Dopo la guerra proprio nell’ambiente torinese cominciò a studiare gli effetti delle radiazioni sulle cellule, prendendo anche una seconda laurea in Fisica per affrontare con maggior consapevolezza il problema.

Renato Dulbecco nel 1966
Poco dopo si trasferì in America, prima in Indiana e poi in California, collaborando coi più importanti ricercatori del tempo. In breve i suoi studi sui fagi lo portarono a scoprire il meccanismo d’azione dei virus tumorali sulle cellule animali, una scoperta di vitale importanza per la biologia, che gli valse infatti il Nobel. È morto in California nel 2012.

 

E voi, quale scienziato italiano del Novecento preferite?

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