So di non sapere: cinque citazioni di Socrate (tramite Platone)

Alcibiade e Socrate di François-André Vincent

«So di non sapere». Se avete studiato un po’ di filosofia al liceo o all’università, questa frase non può certo giungervi nuova. È il concetto cardine del pensiero di Socrate, maestro di Platone e primo dei tre grandi filosofi greci (assieme allo stesso Platone e ad Aristotele). Ma cosa significa, precisamente, questa frase?

Oggi cercheremo di spiegare questa e altre citazioni del filosofo ateniese, anche se si tratta di frasi che non siamo certi siano state pronunciate da lui. Come probabilmente ricordate, Socrate non scrisse infatti nulla, per precisa scelta. Il suo pensiero ci è stato quindi tramandato dai suoi allievi e da qualche altra fonte [1].

Le frasi che abbiamo scelto, comunque, arrivano da opere il cui contenuto è ritenuto abbastanza affidabile per conoscere il vero pensiero di Socrate. Sfrutteremo soprattutto l’Apologia di Socrate redatta da Platone subito dopo il processo al suo maestro.

La vita di Socrate, infatti, si concluse tragicamente nel 399 a.C., dopo un processo per empietà in cui fu condannato a morte dalla città. Davanti alla prospettiva di darsi alla fuga, Socrate decise di rimanere in carcere e anzi farsi portare un veleno – la cicuta – in modo da darsi la morte con le proprie mani.

Lì si concludeva l’avventura terrena del più rivoluzionario dei filosofi dell’antichità, di chi per primo spostò – assieme ai sofisti, suoi degni avversari – l’attenzione dalla natura all’uomo. E di chi per primo iniziò a stimolare le persone nella ricerca di una verità più profonda. Ecco quindi le citazioni e gli aforismi che abbiamo scelto.

 

1. So di non sapere

La frase-cardine, dall’Apologia di Socrate

Come abbiamo detto in apertura, la frase più importante, che meglio riassume il pensiero e le motivazioni di Socrate è quella che il pensatore presenta all’interno dell’Apologia: «So di non sapere». Una frase che pronuncia davanti alla giuria che deve giudicarlo, mentre cerca di esporre i motivi che l’hanno spinto a filosofare.

Secondo il suo stesso racconto, un suo amico, Cherefonte, si era recato a Delfi. Qui aveva parlato con l’oracolo, chiedendo alla Pizia – la sacerdotessa di Apollo – se esistesse qualcuno più sapiente di Socrate. Questa, con grande sorpresa del pensatore, aveva quindi risposto che non c’era nessuno più sapiente del suo amico.

La morte di Socrate, quadro di Jacques Louis David dedicato al filosofo del So di non sapere
La morte di Socrate, quadro di Jacques Louis David dedicato al filosofo del So di non sapere

Cherefonte ovviamente riferì del suo colloquio a Socrate, che subito iniziò a interrogarsi. Il pensatore greco era allora ancora giovane e, con grande onestà intellettuale, non si riteneva certo un sapiente. Gli pareva anzi che tutti attorno a lui sapessero molte cose che lui ignorava completamente.

Per questo decise di cominciare a dialogare con gli uomini più stimati di Atene, per cercare anche – grazie a loro – di venire a capo delle affermazioni dell’oracolo. Solo che questi colloqui con i sapienti finivano per convincere Socrate che queste sagge persone, in realtà, non sapevano nulla.

Il metodo socratico

Tramite questi dialoghi, Socrate andò infatti delineando il suo metodo. Un metodo che permetteva – soprattutto con la sua prima fase, l’ironia – di far capire all’interlocutore che le sue credenze erano in realtà superficiali, poco fondate.

Socrate infatti si fingeva ignorante, ponendo alla persona che aveva di fronte una serie di brevi domande, spesso ingenue. In questo modo, mirava a mettere in difficoltà l’interlocutore, chiedendo spiegazioni su cose apparentemente banali, ma che banali in realtà non erano.

Certo sono più sapiente io di quest’uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio un bel niente; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, se non so niente, ne sono per lo meno convinto, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmeno credo di saperlo.

Così facendo, Socrate arrivò a formulare la frase che potete leggere qui sopra. Nessuno dei suoi interlocutori, messo alla prova, si dimostrava in effetti sapiente. Tutti credevano di sapere, ma in realtà non sapevano nulla, perché fondavano le loro conoscenze su concetti acquisiti superficialmente.

Loro, quindi, non sapevano nulla dell’argomento di cui si discuteva, proprio come Socrate. Ma Socrate, in compenso, almeno una cosa la sapeva: lui fin dall’inizio sapeva di non sapere. Ed è quindi questa la conoscenza più alta e importante: la consapevolezza della propria ignoranza.

   

 

2. Dall’ignoranza alla ricerca

Ancora dall’Apologia di Socrate

Il discorso che abbiamo appena presentato, che permette a Socrate di scoprire il valore dell’ignoranza, non è però fine a se stesso. Scoprirsi ignorante non serve a nulla, se questa ignoranza non diventa un punto di partenza.

Socrate non ambisce, infatti, solo a demolire le idee e le convinzioni degli interlocutori. Lui ha la pretesa di spingere se stesso e gli altri a cercare nuove verità più profonde. Non c’è, nel suo metodo, solo la pars destruens, la distruzione delle sicurezze altrui. A questa deve seguire sempre una pars costruens.

Una vita senza ricerca non è degna per l’uomo di essere vissuta.

Proprio in questo senso, risulta fondamentale la frase che trovate qui sopra. Dopo l’ironia deve arrivare la maieutica, la parte della ricerca. Socrate è infatti convinto – usando un linguaggio che in parte trae dalle esperienze familiari, visto che la madre era una levatrice – che le anime siano “gravide di idee”.

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Il suo compito, quindi, è quello di aiutare queste anime a partorire. Dopo aver demolito le credenze del suo interlocutore, pertanto, Socrate deve aiutarlo a cercare verità più profonde ed autentiche. Ma queste verità devono uscire dall’interlocutore stesso, non può darle Socrate, che non a caso si dichiara sterile.

   

 

3. Socrate davanti alla morte

La scelta raccontata nel Critone

L’Apologia di Socrate non è l’unico testo firmato da Platone a raccontare della morte di Socrate. Ce n’è un altro, in particolare, che ci riferisce quello che accadde tra la condanna e la morte del pensatore: si intitola Critone e fu scritto poco dopo l’Apologia.

In esso Socrate dialoga con uno dei suoi allievi, appunto Critone, che ha preparato un piano per aiutarlo a scappare dal carcere e rifugiarsi fuori città. Il processo, infatti, non si concluse nel migliore dei modi.

La morte di Socrate di Jacques-Philippe-Joseph de Saint-Quentin
La morte di Socrate di Jacques-Philippe-Joseph de Saint-Quentin

Dopo un’iniziale condanna, il tribunale chiese a Socrate di proporre egli stesso la pena per il suo reato. Solo che Socrate rispose dicendo di non ritenere giusta una condanna né una pena, e che anzi avrebbe dovuto essere la polis a pagarlo per i servigi dati in tanti anni alla città.

A quel punto i giudici, offesi dall’atteggiamento di Socrate, decisero di condannarlo a morte. È dopo tutto questo che prende avvio il dialogo con Critone, che insiste per aiutarlo a scappare.

La proposta di Critone e la risposta di Socrate

In realtà l’allievo non dà grande prova di sé. Nel cercare di convincere il maestro a darsi alla fuga, ad esempio, tira in ballo il disprezzo con cui sarebbero poi stati guardati gli allievi del pensatore, visto che sarebbero sicuramente stati accusati di non aver fatto abbastanza per mettere in salvo Socrate.

Davanti alle insistenze del giovane uomo, però, il filosofo pare inamovibile. Lui ha già deciso di accettare le conseguenze della condanna, e quindi di morire.

L’importante non è vivere, ma vivere bene.

La frase che vi abbiamo appena riportato è una delle più famose di questo testo. La fuga, infatti, significherebbe rifiutarsi di obbedire alle leggi della città; leggi che, anche qualora fossero ingiuste, sono sempre state accettate da Socrate, che non si è mai battuto per cambiarle.

Pertanto, fuggire significherebbe tradire la propria città e se stessi, non accettare le conseguenze delle proprie azioni. Vorrebbe dire, in ultima istanza, fare il male. E, come Platone avrebbe poi scritto nel Gorgia [2], per Socrate è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che commetterne una.

   

 

4. Conosci te stesso

Sul frontone del tempo di Delfi

Abbiamo detto in apertura che «So di non sapere» è la frase-cardine del pensiero di Socrate. Non è però l’unica. C’è un altro motto che Socrate fece proprio, dopo averlo scoperto sul frontone del tempo di Delfi.

Conosci te stesso.

Questo motto non fu quindi creato da Socrate, e anzi la sua origine è dubbia. Secondo quanto riportato da diverse fonti dell’antichità, la frase sarebbe stata scritta dai celebri sette savi, tra cui c’erano anche Solone di Atene e Talete di Mileto, il primo filosofo greco.

Alcuni studiosi, comunque, hanno avanzato l’ipotesi che il significato della citazione in origine fosse meno profondo di quanto non pensasse Socrate. Semplicemente, la frase forse faceva parte di un verso più lungo, in cui si invitavano i visitatori a pensare bene a quale domanda rivolgere all’oracolo (e quindi a guardarsi bene dentro, prima di entrare).

L’interpretazione di Socrate

Al tempo di Socrate, questa eventuale lettura – a patto che sia quella corretta – era comunque dimenticata. E il pensatore ateniese ebbe gioco facile a far propria quella frase e ad usarla secondo i propri scopi.

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Nel pensiero di Socrate il “conosci te stesso” diventa un invito duplice: prima di tutto, significa che dobbiamo imparare a conoscere i nostri limiti, e quindi ad ammettere la nostra ignoranza. In secondo luogo, è un invito a guardare più profondamente dentro di noi, perché lì è nascosta la verità.

   

 

5. Che cos’è la morte?

I dubbi di Socrate

Quando si studia Socrate al liceo, si rimane spesso abbastanza delusi. Si arriva a lui dopo aver conosciuto i naturalisti e pensatori del calibro di Parmenide ed Eraclito, che sembravano avere una risposta – seppur a volte oscura – per i grandi quesiti del mondo. E poco dopo ci si imbatte in Platone e Aristotele, che questa tendenza la portarono alle estreme conseguenze.

Socrate, invece, fu un pensatore in un certo senso in tono minore. L’ateniese non ha infatti grandi verità da rivelarci, né su di sé, né sul mondo. Di lui si studia soprattutto un metodo, ovvero le modalità per trovare una verità; ma di verità se ne trovano poche.

Il bassorilievo Critone chiude gli occhi a Socrate di Antonio Canova
Il bassorilievo Critone chiude gli occhi a Socrate di Antonio Canova

Anche su temi fondamentali come quello della morte, Socrate riesce ad essere incredibilmente vago. Nell’Apologia di Socrate, il testo che riprendiamo per chiudere il nostro elenco, finisce anzi per non prendere una posizione chiara sull’argomento.

Davanti alla preoccupazione dei suoi discepoli, si limita quindi solo ad elencare alcune delle possibilità su cui si era già dibattuto, in ambito filosofico, fino a subito prima di lui.

In ogni caso, non bisogna temere la morte

Socrate infatti afferma che la morte può essere due cose [3]: o un non essere più nulla, o un mutamento di luogo. Nel primo caso, l’anima morirebbe col corpo e non ci sarebbe nulla nell’aldilà. Nel secondo, l’anima scenderebbe nell’Ade, dove comunque potrebbe conoscere e incontrare i saggi del passato.

Qualunque sia la verità, insomma, la morte non è per Socrate qualcosa di cui bisogna avere paura. Perché in ogni caso significa andare incontro a una situazione di benessere. E lo dimostra dunque anche la nostra frase conclusiva, che si concentra in particolare sulla prima eventualità.

Se la morte è assenza totale di sensazioni, come se si dormisse un sonno senza sogni, oh, essa sarebbe un guadagno meraviglioso.

 

Domande e risposte finali

Che cosa significa sapere di non sapere?

Il 'so di non sapere' è uno dei motti di Socrate, grande filosofo ateniese. Secondo lui, infatti, solo chi ammette la propria ignoranza può mettersi alla ricerca della verità; pertanto, solo l'ignorante è veramente filosofo. Per questo motivo secondo il maestro di Platone è necessaria, nell'indagine filosofica, una prima fase 'distruttiva', in cui si demoliscono le credenze superficiali dell'interlocutore, prima che dalla sua interiorità e dalla sua ragione possano scaturire verità più profonde.

Chi dice di sapere non sa?

Secondo Socrate sì, chi afferma di essere un sapiente molto spesso non sa in realtà nulla. Lui se ne rese conto quando l'amico Cherefonte, di ritorno da Delfi, gli disse che l'oracolo l'aveva scelto come l'uomo più sapiente. Socrate, in realtà, era convinto di non sapere, ma dopo vari colloqui si rese conto che i cosiddetti sapienti erano in realtà dai falsi sapienti, sicuri delle loro certezze ma incapaci di stabilirne i fondamenti; e che lui, ignorante, era invece più sapiente di loro, perché almeno sapeva di non sapere.

 

Da condividere sui social

Il so di non sapere di Socrate

 

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Note e approfondimenti

[1] Alcune di queste fonti, tra l’altro, non furono affatto tenere con Socrate. Basti pensare che il celebre commediografo Aristofane lo rappresentò nella sua commedia Le nuvole, mostrandolo come un sofista poco affidabile e dedito a un sapere vuoto e senza costrutto.
[2] Un altro dialogo giovanile di Platone, in cui Socrate si confronta con un importante filosofo sofista.
[3] In altri testi di Platone, in realtà, esaminerà anche possibilità diverse. Ma in quei dialoghi non è facile capire dove finisca il pensiero di Socrate e dove invece cominci quello del suo allievo.

 

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